Abisso lariceto

 

STORIA DELLE ESPLORAZIONI

Sosta a -400 sotto il pozzo “Refe” Foto (D.Creavatin)

Pubblicato sul n. 46 di “Progressione “ – anno 2002

Io e Davide stiamo andando in Canin per andare in Gortani a rifare il rilievo, assieme ad un sacco d’altra gente. Arri­viamo già con un discreto ritardo.., la vo­glia è poca, ma si sa! Dato il SI non si scappa. Arriviamo al Gilberti e troviamo gli amici di sempre… Mario, Glavu, Ra­gno, Spartaco… chiacchieriamo un po e in noi cresce sempre di più la voglia di non andare in Gortani e di restare invece con loro. Detto fatto, dopo un po stiamo andando al DVP ad avvisare che tiriamo “il pacco” alle squadre rilievo.
Male, molto male! Già…
Sta di fatto che dopo qualche ora sia­mo all’ingresso del Laricetto. Glavu c’in­forma che questa grotta, tanto per cam­biare, l’ha trovata lui mentre faceva una delle sue solite battute di zona nei pressi del Gilberti, che sono fermi sotto il pozzo d’ingresso su una strettoia che spira una corrente d’aria fuori del comune e che lo scopo della giornata-nottata, è quello di allargare la strettoia.
Bene! Sono circa tre anni che non metto piede in Canin e mi ritrovo in esplo­razione! Non posso chiedere di più. Pas­siamo la notte a fare su è giù per il pozzo d’ingresso tra un turno e l’altro di scavo e, finalmente, il lavoro è quasi completato. L’entusiasmo è alle stelle… si sente che c’è qualcosa di grosso là sotto e Glavu e Ragno ben lo sapevano visto che scavano in questa grotta da svariati anni.
Si torna dopo qualche settimana, si supera la strettoia allargata e si va avanti: si scende qualche salto e si arriva su un pozzacchione (P70). L’imbocco è costitu­ito da un breve tratto di meandro strettis­simo… passiamo solo io e Davide. Gli al­tri, un po’ più ingombranti di noi, vengono rifiutati. Glavu mi dà il grande onore di scenderlo per prima. Mi piace. Stupendo! Il pozzo ha una morfologia che incanta: le pareti sono lisce, senza nemmeno una pietra in bilico, si vede a picco il lontano tondo. Quando tocco la base, vedo che la grotta continua. Davide mi raggiunge per confermare e ce ne torniamo su a dare la lieta notizia. A Glavu ride anche il… beh, del resto sto buco è una sua creatura!
Altro giorno, altra esplorazione. Que­sta volta siamo in tantissimi! Non ricordo bene, ma circa otto persone. Ci conoscia­mo tutti da tanto tempo e siamo allegri come non mai. Scendiamo il salto che abbiamo lasciato l’ultima volta e… ualà! Strettoia infame. Non è giusto. Ogni volta cosi. Ci lamentiamo un po’, ci sconsolia­mo, e ce ne torniamo a casa. L’aria c’è, vero, ma la fiducia in questi casi, forse per scaramanzia, se ne va un po’. La settimana seguente Qui, Quo, Qua (Vibro, Gianni e Walter) sono in Canin a fare il solito campo estivo. Decidono di andare a fare una punta in Laricetto! Considerato che pesano la metà dei chili del più pic­colo di noi, spaccando un po qua e un po’ là, riescono a passare la strettoia. Ricomincia l’entusiasmo: hanno trovato un bel pozzo … non solo profondo, ma pro­prio bello. Dall’alto i vari ponti naturali di­segnano degli enormi occhi e creano un effetto estremamente suggestivo.
In fretta e furia.., torniamo la settima­na seguente, allarghiamo come si deve il passaggio e giù a vedere cosa hanno tro­vato i bimbi. Rimaniamo ammutoliti per la bellezza e, ancor più, rimaniamo ammutoliti da quello che c’è dopo. Un meraviglioso enorme pozzo (P 100) che va giù verticale come non mai. Siamo tutti alla base e Spartaco ci guarda sconsolato: “chiudi muli”. Noi recriminiamo indispettiti: ma non è possibile! Dov’è finita tutta ‘aria e… come segugi, elettriche accese a cercare qualche finestra. Quasi ridicolo cercarla con un’elettrica dalla base di un P100. Invece, vuole il caso, Davide vede una finestra quasi insignificante, vicino, o qua­si, alla base, e ci vien la voglia di rag­giungerla. Mandiamo Giannetti, nostro giovane compagno d’esplorazione, il qua­le dopo un po’ la raggiunge e ci dà la grande notizia. Aria da far paura e bel pozzacchione. Fibrillanti lo raggiungìamo e scendia­mo il pozzo che segue (P70). Un po’ bagnato… ma va bene così. Lo scendia­mo e proseguiamo tra un passaggio oriz­zontale e qualche salto fino a giungere all’ingresso di un mega meandro. La mia fifite acuta di farmi fratture esposte men­tre arrampico con spaccate tirate a sva­riati metri da terra mi smorza l’entusia­smo della scoperta… gli altri decisamente più sciolti, quasi corrono presi da un’eb­brezza malata nel tentativo di vedere dove porta quel meraviglioso meandro. Forse ad un pozzone, forse a delle gallerie… forse al non lontano BP1 !!
Ah, ah, ah… che ridere. Perché? Per­ché la domanda: dove porta ‘sto mean­dro”, ha avuto risposta quasi un anno dopo. Già! Non di certo perché non ci siamo più andati, ma semplicemente per­ché c’era sempre meandro. Chi non cre­de vada a vedere. Beh! In quell’occasione decidemmo di fermarci, ormai le ore a disposizione era­no passate. Altro giro altra corsa.
Non ho preso nota di tutte le punte, stadi fatto che sono state svariate le volte che abbiamo passato tutto il tempo del­l’esplorazione in meandro. Una punta che sicuramente ricordo molto bene è quella passata con Lazzi e Davide! Il ricordo per me non è dei più belli, considerando che una fetta piutto­sto grande del mio sedere è rimasta lun­go le pareti del meandro, ma in compen­so mi sono divertita un sacco a guardare Davide e Lazzi. Nono, come al solito, nonostante il suo piede ciompo voleva fare sempre tutto da solo. Insomma, mentre stiamo navigando in questo stretto meandro, perdendoci di tanto in tanto, scivolando e dando delle mega stincate qua e là, arriviamo ad un passaggio largo con un piccolo salto da scendere. lo ci provo e lascio perdere. Davide spinge per passare lui e, tra un mugolio e l’altro, ce la fa. Riparto io… turno di Lazzi. Bene col piede buono, non tanto con quello col “zapo de plastica”. Davide offre il suo aiuto… ma figurarsi. Poi, all’improvviso, vediamo la gamba piegarsi in maniera anomala … a quel pun­to Davide rinnova l’invito e LUI, col suo faccione, lo guarda e dice: mmmmh, ora si, go bisogno de una man. Insomma, io guardo e a momenti muoio dal ridere. Davide si avvicina, Lazzi mette una gam­ba a cavalcioni, poi segue una sorta di sado maso con conclusione, un po’ sof­ferta, di Lazzi sulle spalle di Davide e Davide in spaccata in meandro. Avrei fat­to di tutto per avere la macchina fotografica in quel momento. Bene, si continua, si sbaglia strada più e più volte, si espIo­ra e si torna a casa.
Giro di telefonate, come di consueto:‘come xe andà muli. Come al solito: meandro stretto, semo rivai allo stesso punto per due strade diverse; merda, la prossima volta o vien quei che voleva rile­var, o dovemo farlo noi perché seno no se capisi niente”.
Si rientra dopo qualche settimana. Questa volta è con noi anche l’antico Refe. Continuiamo lungo il meandro fino a giun­gere ad un bel pozzo (pozzo Refel Lo sa ben lui perché). Siamo quasi convinti che sia finito il meandro ma… ah, ah, ah non è così. Dalla base del pozzo, sen­za farsi troppo attendere ricomincia. Bene, è deciso, la prossima volta si comincia il rilievo.., senno non lo faccia­mo più. Rilevare in meandro è pratica­mente una punizione ma è necessario, se non altro per capire un po’ dove stiamo andando. Già, la prossima volta. Alle volte si dà tutto per scontato, ma non è cosi. La prossima volta c’è stata per tutti noi, a parte Lazzi. Ha avuto un infarto, in grotta, alla Lazzaro Jerko ed è morto così, ina­spettatamente. Un velo di tristezza si posa sulle nostre anime e tutti i discorsi e le fantasticherie su dove andrà a finire sto buco diventano quasi istantaneamente una cosa del passato. Non si gioca più, non si ride, non ci si prende più in giro. Niente. Solo una serie d’immagini e di sguardi che non potranno più esserci. Le parole escono copiose da molte bocche a ricordano e noi, invece, ammutoliti, non abbiamo proprio nulla da dire. Pensiamo solo: non è giusto! Non serve certo sottolinearlo. L’entu­siasmo se ne va e decidiamo di darci una piccola sosta. Non per strani motivi ma proprio per il fatto che non ne abbiamo voglia. Passa poco più di mese e Glavu decide di avere una bella ulcera perfo­rante! Glavu, per capirsi, era il nostro tanto atteso rilevatore e Ragno era l’altro rileva­tore che, senza Glavu, non viene di certo.
Dopo l’ulcera, mentre stava ancora in ospedale, decide di prendersi anche una bella infezione polmonare riducendosi così ad uno straccio in meno di un mese. I dottori gli bloccano l’attività per almeno sei mesi. La nostra mitica squadra di esplora­zione, composta da un massimo di quat­tro persone, specie dopo aver cominciato il meandro, si riduce drasticamente. Pas­sano un po’ di mesi ed in attesa che Glavu si riprenda decidiamo di partire col rilievo e di farlo fino all’ultimo punto d’esplora­zione. Ci vogliono ben tre punte comple­te per rilevare quanto fatto! Che palle! Però, allo stesso tempo, cominciamo a metterlo su carta e la soddisfazione non tarda a farsi sentire. Glavu a questo pun­to ci incita a continuare senza di lui. Ac­cade così che io Davide e Scrat, ci ritro­viamo in grotta a rilevare ed esplorare in contemporanea. Ormai siamo velocissimi ed organizzatissimi. Lavoriamo là sotto quasi come se ci dessero uno stipendio all’uscita ma alla fine, è fatta. Tutto a posto, tutto in ordine.
A settembre andiamo a fare un’altra punta, con Stefanin. La più brutta di tutte. Raggiungiamo l’ultimo punto di esplora­zione, facciamo due curve in meandro e ualàààà, strettoia. Non è possibile! Io provo a passare, sento pure di farcela, ma il problema è che le pareti sono visci­de e assolutamente prive di appigli. Il ri­sultato? Si scivola bene in giù e poi non si torna più su. Decidiamo di desistere e di tornare ad allargare. La volta dopo vie­ne Spartaco, si allarga quanto serve, e dopo essersi presi una botta di freddo immane si torna fuori (lo, Spartaco, Davi­de, Cavia e due suoi amici sloveni). All’uscita come di consueto, ci spo­gliamo e quasi come un deficiente Davi­de ride guardando Spartaco. Non capi­sco, poi abbasso gli occhi e vien da ridere anche a me. Ha le ginocchia di tutti i colori del mondo e i gomiti non da meno. Mi do un’occhiata anch’io e scopro di essere divelta. Davide, dal lato suo, tanto ride ma è quasi peggio di noi. Siamo a pezzi e il giorno dopo scopriamo che Spartaco ha fatto una specie di bagno nel Lasonil, dice che funziona. Inutile dirlo: quel pez­zo di meandro è stato immediatamente denominato: meandro Lasonil (quello so­pra, non da meno, è stato chiamato Kla­tovski… noto fisioterapista mio, di Davide e Scrat).
Nelle settimane seguenti decidiamo di fare un campo interno.., ormai le ore di esplorazione sono parecchie, noi siamo antichi e voglia di correre e stressarsi anche il week-end non ce l’abbiamo. Re­sta un piccolo problema. Dove ! Fatti i nostri dovuti calcoli ci resta solo un po­sto, all’inizio del meandro, in un piccolo slargo dove, con un po’ di buona volontà si riesce anche a distendersi. Viene un sacco di gente a darci una mano ad alle­stirlo compresi Glavu (quasi guarito) e Ragno. La soddisfazione nel vedere gli occhi di approvazione degli ospiti è grande! Ci sembra quasi di avere invitati a cena. Poco più tardi, vedere invece l’espressio­ne degli stessi occhi quando abbiamo mostrato il punto nel quale volevamo fare il campo, ci ha insospettito. Beh! Per farla corta, gli unici che riu­scivano a stendere le gambe in tendina eravamo io e Davide, i nani del gruppo, gli altri, invece, erano costretti a sacrifica­re i piedi o la testa. lo, in compenso, avevo un’enorme pietra sotto la schiena! Detto alla buona “un posto più merd… di que­sto non penso esista”. La punta dopo terminiamo di esplora­re il meandro e arriviamo alla sala del tè. Qui, nuovamente, sembra chiudere! Inve­ce, in mezzo al ghiaione che costituisce la base della sala s’apre un insignificante passaggio che dà su un altro meandro. E molto fangoso e bisogna camminare di sbieco, ma almeno si tocca terra.
Le volte dopo vengono anche Guido e Glavu nonchè grande ospite di eccezzione, Guidotti. Tre bellissime punte, forse quelle di maggiore soddisfazione. La grot­ta piano piano acquista dimensioni uma­ne e i pozzi si fanno più frequenti… fatta! Pensiamo, abbiamo sfondato. È un momento magico da assaporare appieno. Detto, fatto… siamo al cavernone a —700. Porc Put, pozzetto e chiude. Di nuovo delusi, di nuovo fuori, di nuovo dentro!!!
Penultima punta: Davide e Glavu da una parte, io Scrat e Guido dall’altra. Sim­patico il nostro pezzo. Ci dobbiamo infila­re in un cunicoletto alto non più di 50 cm. poco più avanti, senza possibilità alcuna di salvarsi, dobbiamo strisciare in una pozzanghera lunga qualche metro e poco dopo, strisciare in una sorta di sabbia. Altrimenti detto “passaggio ljubljanska o per il resto d’italia, passaggio alla bistec­ca alla milanese farcita con prosciutto cotto e formaggio”. Siamo ghiacciati come non mai, c’è aria e la roccia fa i capricci. Guido pianta tre spit prima di riuscire a metterne uno decente. Vale la pena però. Partono delle gallerie. L’emozione mi ammutolisce! Vor­rei fare qualcosa per esprimere la mia felicità ma non ci riesco. La fatica, il fred­do, la tuta completamente bagnata e le svariate ore che mi separano dal campo non so cosa siano. La stanchezza, quasi per miracolo, non c’è più e vorrei vedere quelle gallerie andare avanti per chilometri. Frena!!!!! Che chilometri! Dopo pochis­sime curve siamo già su un salto. Lancia­mo una pietra: acqua! No xe posibile! Riproviamo e confermiamo. Guardiamo l’ora e siamo in mega ritardo. Avevamo appuntamento con Davide e Glavu in cavernone ad una certa ora. Porca mise­ria. Boh… non fa niente, vuoi dire che tor­neremo tutti assieme.
Passa qualche settimana ed eccoci pronti a Sella Nevea. C’è da fare la pista a piedi e come al solito la voglia è minima. Non solo, piove! Siamo costretti a cammi­nare con le ombrelle… scomodissimo. Non ci preoccupiamo più di tanto però perché stiamo già assaporando la punta. Siamo in vero assetto di guerra. Abbiamo corde a non finire, la sacchetta d’armo strapiena di tutto, per “l’eventuale” traver­sata del “presunto” lago e, perché no! Il canotto!!!! Comperato rigorosamente nel mitico negozio di Resiutta. Già all’ingresso qualcosa ci dice che ricorderemo questa punta. Essendo co­minciato il disgelo, le stalattiti di ghiaccio dell’ingresso, nonché la neve, hanno co­minciato a fare un simpatico rigagnolo d’acqua che, una volta giunti al primo fraz, assolutamente immobilizzati dalle esigue dimensioni del posto, arriva tutto sulla testa e, soprattutto, dentro nel collo della tuta fino giù, nelle mutande. Facciamo tutti finta di niente ma, alla base del primo pozzo, è già impossibile fermarsi a fumare una sigaretta perché si battono i denti dal freddo. “Bon movemo­se dèi … forse se sughero !” Frase di con­solazione ma alquanto errata. Arriviamo al P70 e scendiamo letteralmente con la pioggia. Il buco è sicuro, non va in pie­na… questo però non implica che non ab­bia uno stillicidio incredibile. Non fa niente… andiamo avanti con l’idea di asciugarci al campo… tanto ab­biamo gli scaldini e i saccopiuma. Chi se ne frega. Pronto tutto, scaldini ai piedi, nella pancia e via… nanna. Ci si sveglia la mat­tina e niente da fare… completamente ba­gnati. Scrat è zuppo, Glavu ha dormito con mezzo corpo fuori dalla tenda, è trop­po lungo per la capanna, quindi gli si è bagnato anche il sacco, Totò non ha pro­prio dormito perché gli è stata predesti­nata la peggiore delle posizioni del cam­po… quella coi piedi sopra un masso, quindi ha dovuto lottare tutta la notte con la completa assenza dì circolazione san­guigna ai piedi: Davide, come al solito, ha dormito disturbando tutti con il suo russo. lo? Lasciamo perdere. Tre scaldi­ni, il giubbotto in piuma, il sacco a pelo e il cambio di calze non sono bastati a farmi sentire del tepore. Glavu, invece, mi fa notare chwe le ginocchia blu di colpi gli hanno fatto da calorifero tutta la notte… provo quasi invidia. Ci alziamo e partia­mo. Il primo passaggio da fare è l’entrata in meandro… e la prima cosa che accade è che ci laviamo nuovamente. Pace, sta punta va cosi. Proseguiamo senza inter­ruzione al fondo. C’è qualcosa di strano. Non c’è aria. Porca miseria non c’è aria. Spartaco giura con me che l’altra volta c’era. Mah… gli altri sono perplessi. Davide si prepara per armare il pozzo, Spartaco lo segue, noi rileviamo. Sentiamo un’esclama­zione: sifone! Le imprecazioni vengono spontanee. Un’altra esclamazione: cìo muli, semo in Fonda… vedo la sagola. Non sappiamo se essere contenti o meno. Certo è che sapere che là, tot anni prima era arrivato Baxa e aveva attaccato la sagola. dà una certa emozione… ma anche cominciare a disarmare e portar fuori quel po’ po’ di roba dà la sua emo­zione. Come cani bastonati, terribilmente autoironici sul fatto che abbiamo fatto una punta di 20 metri ci incamminiamo verso la sala del tè, disarmando tutto. I sacchi sembrano fatti di piombo e noi siamo come alberi di natale. Giunti alla sala, ci facciamo la nostra canonica sosta tè.
Inutile dirlo.., abbiamo disarmato la grotta a tempo di record (3 punte) e, senza batter ciglio, una volta lavate le corde, le abbiamo rimesse in lavoro al BP1 … dobbiamo assolutamente attaccar­lo al Laricetto. O lui, o qualche altro buco.
Vogliamo fare il “Complesso Alberto Lazzarini”. Chissà se ci riusciremo?
Partecipanti, in ordine di frequenza, alle esplorazioni svolte dal 1996 al 2002: Davi­de (Crevatin), Betty (Elisabetta Stenner), Scrat (Spartaco Savio), Glavu (Maurizio Glavina), Totò (Paolo Bruno de Curtis), Lazzi-Nono (Alberto Lazzarini). Guido (Gui­do Sollazzi), Papo (Paolo Alberti), Giannetti (Gianni Cergol), Refe (Fabio Feresin), Ra­gno (Adriano Ragno), Vibro (Alessandro Zorn), Lapsus (Walter Boschin). Cavia (Mar­co Sticotti), Cusman (HAD). lvan (Glavas del HAD), Guidotti (Gianni Guidotti), FabiTomè), Lucio (Lucio Comello), Scopaz (Um­berto Scopaz), Stefanin (Stefano Kriscjak) della CGEB, della SAG, del HAD, del CAT, del 6556, del 6SF.
                                                                                              Elisabetta Stenner

RELAZIONE TECNICA

Riposo al campo a – 450 (Foto G. Cergol)

L’ingresso dà accesso ad un P 50 che inizialmente è molto stretto mentre dopo pochi metri si allarga fino a divenire am­pio circa 5×6 m (7 frazionamenti). Sul fon­do, costituito da detriti, s’apre un passag­gio che immette in un cunicolo lungo circa 5 m, piuttosto basso e largo non più di 80 cm, che termina in un P8 (2 fraziona­menti). Da qui si diparte un tratto di me­andro largo, seguito da un cunicolo lun­go circa 3 m, quindi ancora meandro ed un pozzetto di 4 m. Sceso questo biso­gna fare un breve innalzamento e prose­guire nel meandro stretto per 7-8 m per­corsi i quali si giunge all’imbocco di un P5. Questo salto non si scende fino sul fondo ma si fa un pendolo, sulla sinistra, a circa 2 m dal fondo. Si accede quindi ad un meandro piuttosto angusto e sco­modo che porta, dopo una decina di metri, al P70 (11 frazionamenti). Questo è inter­rotto, a pochi metri dal fondo, da un evi­dente terrazzo.
Dalla base si prosegue con un P15 (3 frazionamenti) sul fondo del quale uno stretto passaggio orizzontale permette di accedere al P70 (12 frazionamenti). Que­sto è molto articolato ed è caratterizzato da numerosi ponti naturali di notevoli di­mensioni. Dalla base si prosegue scen­dendo in P100 (10 frazionamenti), molto ampio, che termina con un fondo pratica­mente piatto costituito da detriti. Qui, da un lato s’apre una finestra che porta ad un breve ramo laterale, poco distante, si trova una pozza d’acqua larga circa 1×2 m e, sul lato opposto del punto dal quale si è scesi, a circa 15 m d’altezza, s’apre la finestra che porta alla via del fondo (ar­rampicata artificiale – 10 frazionamenti)
La finestra dà accesso ad un P80 (11 frazionamenti); dopo circa 25 m bisogna pendolare sulla sinistra, guardando la parete, e proseguire il pozzo dall’altro lato. Alla base si trova una china detritica piut­tosto scoscesa e instabile che porta ad un piccolo passaggio, con aria, oltre ai quale comincia il grande meandro.
Dopo una trentina di metri si scende un P5 (1 frazionamento) in meandro e un P15 che conduce alla parte attiva dello stesso. Si prosegue scendendo altri tre salti, un PS. un Pi ed un P20 e si giunge quindi alla zona del campo base caratte­rizzata da un discreto stìilicidio.
Da qui si procede in meandro altri 150 m, scendendo un P3 (2 frazionamenti) ed un P15 (3 frazionamenti). Quindi si conti­nua per altri 150 m fino a giungere ai pozzo Refe (15 m, 3 frazionamenti). Alla base, poco spostata sulla destra, si trova una pozza d’acqua con acqua corrente. Dalla parte opposta continua il meandro. Questo tratto, lungo 180 mt, è inizilmente largo (1,5-2 m) poi si restringe in ma­niera decisa fino ad avere una larghezza media di 30-50 cm. in questo tratto ci sono due salti di 5 m ed un pozzo di 20. Que­st’ultimo, però, non bisogna scenderlo tutto ma fermarsi su un terrazzo legger­mente spostato sulla destra (—500). Da qui si prosegue nuovamente in meandro. Questo tratto è molto scomodo non solo perché è stretto (30-40 cm) ma anche perché è estremamente scivoloso.
Ai termine di questo si giunge ad un P35 (5 frazionamenti) che porta alla Sala del Thè. Questa è molto grande e con il fondo costituito da un ghiaione in mezzo al quale, tra pietre instabili, si apre un passaggio che permette di accedere al­l’ultimo tratto di meandro, lungo circa 80 metri. Questo è più comodo degli altri in quanto è leggermente più largo e permette di camminare sui fondo ma, a differenza del resto della cavità, comincia ad esser­ci del fango. Questo tratto di meandro è interrotto da un P7 e verso la fine, da un P55 (8 frazionamenti). Dalla base di quest’ultimo si diparte nuovamen­te un meandro, sempre abbastanza largo (80-1 00 cm) ma decisamente più fangoso del precedente e si susseguono una pic­cola arrampicata di 2-3 m. un PS ed un P25. Quest’ultimo termina su un enorme terrazzo dal quale si può proseguire in tre direzioni diverse.
Da un lato si può effettuare una ar­rampicata lungo uno scivolo di fango molto scosceso e piuttosto pericoloso che porta ad un ramo alto. Dall’altro si può scendere un altro pozzo che porta ai “pri­mo fondo”, mentre attraverso un nasco­sto passaggio che s’apre tra due pietre alla base della parete, si prende la via che porta al sifone terminale, lo stesso del Fonda.
Una volta superato questo passaggio si giunge ad un cunicoio alto non più di 40 cm caratterizzato da una pozzanghera lunga circa 2 m d’acqua mista a latte di monte oltre la quale si trova un breve trat­to con fondo quasi sabbioso (passaggio ljubijanska). Una volta usciti dai cunicoio si prosegue scendendo un P30 che porta ad una galleria piuttosto ampia, con dia­metro di circa 3-4 m, con fondo sabbio­so, interrotta da due piccoli salti.
Ai termine della galleria s’apre un P15 che porta ai sifone dei Fonda dove è vi­sbile la sagola legata da Baxa.
                                                                     Davide Crevatin, Elisabetta Stenner

ABISSO LARICETTO CENNI GEOMORFOLOGICI

La cavità si sviluppa interamente nella formazione dei Calcari del Dachstein (No­riano-Rethiano), calcari chiari, prevalen­temente grigiastri e compatti, con tessitu­ra a grana fine interessati da livelli fossiliferi di Megalodon (mollusco bivaive).
L’ingresso, situato a quota 1860 m alla base delle pareti orientali dei Bila Pec sui massiccio del Monte Canin (Alpi Giuiie), impostato su una frattura NW-SE, presenta le caratteristiche tipiche di pozzo di cor­rosione profonda. La sua genesi è perciò riconducibile ad un progressivo allarga­mento lungo la discontinuità, rappresen­tata dai piano di frattura, ad opera del­l’acqua di velo in regime vadoso.
li breve tratto a forra che parte alla base, immette in una sequenza di pozzi, P10, P70 e P100, di cui gli ultimi due potrebbero essere considerati, dai punto di vista strutturale, appartenenti ad un’uni­ca grande verticale, dai momento che non presentano un particolare scostamento tra i loro assi verticali di sviluppo.
La genesi di questi pozzi è imputabile ai due principali sistemi di fratturazione con direttrici NW-SE e NE-SW che condi­zionano tutto lo sviluppo della cavità. Dal punto di vista morfologico, essi presenta­no una sezione sub-ellittica “lobata”, an­che di notevoli dimensioni (P100), attri­buibile alle docce di erosione, (peraltro non più particolarmente attive), impostate lungo le suddette direttrici e caratterizza­te da evidenti erosioni regressive. Tali premesse ci permettono di ipotizzare un’evoluzione da “pozzo di corrosione profonda” a “pozzo cascata”.
Alla base dei P100, tramite una breve risalita, si accede ad un pozzo parallelo di 80 m alla cui base una china detritica, di circa 30 m, porta ad una forra ad an­damento “meandreggiante” che si svilup­pa mediamente in direzione NW-SE ,fino ai campo base a quota —420 m. Da qui la grotta prosegue in direzione NE-SW, dap­prima verso NE, poi, dopo una brusca inversione di 1800, verso 5W. fino ad in­tercettare un pozzo profondo 15 m, in corrispondenza dei quale muta direzione per reimpostarsi lungo l’altra principale famiglia di fatturazione (NW-SE).
E così fino all’estremo NW della cavità dove, i due piani strutturali principali, si incrociano nuovamente. Quindi, ritrovata la direttrice di sviluppo NE-SW, percorso un breve tratto, si giunge ad una zona particolarmente disturbata in corrispon­denza della quale, un altro approfondimento verticale (P35), conduce ad una sala di crollo.
Da qui il “meandro”, ovviamente a quote inferiori, si sviluppa lungo il piano strutturale precedente (NW-SE), verso SE.
Si prosegue senza rilevanti cambia­menti di carattere morfologico-strutturale fino ad incontrare un’importante verticale (P55), alla cui base la grotta sembra mutare morfologia. Viene intercettata in­fatti una galleria ad andamento prevalen­temente rettilineo, (vedi pianta rilievo), con evidenti caratteristiche di quella che do­veva essere una condotta freatica e che, essendosi impostata lungo il medesimo piano di frattura, mantiene la direzione NW-SE. Le sezioni di questo tratto sono caratterizzate da dimensioni modeste e dalla tipica morfologia subellittica molto schiacciata lungo l’intero suo sviluppo.
Questo livello sembra non essere sta­to interessato in misura importante da una successiva evoluzione a carattere vado-so, in quanto non è evidente, al letto, alcun approfondimento o segno di scorri­mento “a pelo libero”. Si può ipotizzare perciò, dopo una prima fase freatica ed epifreatica un abbandono repentino e l’ina­bissamento, a monte, del flusso idrico.
Dopo circa sessanta metri di sviluppo. la galleria si raccorda ad un P25, dopo aver intercettato la diaclasi (con direzione NE-SW) che ne origina io sviluppo. Alla base di quest’ultimo. vi è una sala di crol­lo nella quale hanno origine alcuni appro­fondimenti, che portano a degli “attivi”, stagionalmente anche a carattere epifrea­tico, la cui esplorazione è però interdetta da passaggi sifonanti in ghiaia.
Dalla sala diparte inoltre un sistema di gallerie interstrato a direzione prevalente­mente NE-SW che mantengono sulla vol­ta parte della tipica morfologia ellittica­ subcircolare e, al letto, imponenti depositi argillosi ne testimoniano la successiva fase vadosa e deposizionale.
Questo sistema di gallerie porta a quella che sembra essere la parte termi­nale della cavità caratterizzata da compli­cazioni strutturali e conseguenti fenomeni di crollo e che tramite un pozzo dì mode­ste dimensioni porta ai lago-sifone finale.
                                                                                              Paolo Bruno de Curtis