Eugenio Boegan

BOEGAN Eugenio (2.10.1875 – 18.11.1939)

Presidente dal 7 luglio 1904 al 18 novembre 1939
 Nato a Trieste il 2 ottobre 1875 da una modesta famiglia, Eugenio Boegan crebbe in quel clima di speranze e passioni che caratterizzò la Trieste irredentista. Dotato di un acuto spirito di osservazione e di un vivo senso di organizzazione già a 15 anni, nel 1890, assieme al fratello Felice fondò un gruppo escursionistico, il Club Alpino dei Sette, che aveva come scopo il turismo, l’alpinismo e l’esplorazione delle grotte. Il gruppo, animato da un acceso spirito patriottico, sotto la guida dei due fratelli Boegan – Felice ne era il presidente ed Eugenio il segretario – sviluppò ben presto una dinamica attività, soprattutto in campo speleologico ed escursionistico. Il suo periodico, “La Mosca”, si diffuse attirando numerosi giovani e suscitando vaste simpatie nell’ambiente studentesco. All’attività del gruppo pose termine un intervento della polizia austriaca, motivato da qualche manifestazione irredentistica forse troppo palese: la polizia non aveva infatti tardato a comprendere l’importanza che sul piano politico poteva assumere l’associazione. Impossibilitato quindi a svolgere la sua attività, il Club dei Sette si sciolse per volere del suo presidente, il quale assieme al fratello e ad alcuni amici, entrò a far parte della Società Alpina delle Giulie, distinguendosi particolarmente nella sezione speleologica che si chiamava “Commissione Grotte” e che 44 anni dopo, alla morte di Eugenio volle chiamarsi “Commissione Grotte Eugenio Boegan”.
(In realtà questo avvenne appena nel 1949).
Nel 1898 la Società Geografica Italiana bandì un concorso per uno “Studio su una caverna situata entro i confini della penisola italiana”. Eugenio Boegan, allora ai suoi primi lavori speleologici, partecipò al concorso vincendolo, con una monografia sulla grotta di Trebiciano, situata presso Trieste, a quel tempo il più profondo abisso del mondo. L’atto fu indubbiamente coraggioso per l’esplicita affermazione che queste terre appartenevano geograficamente all’Italia, cosa che non poteva certamente essere gradita alla polizia austriaca per l’evidente significato politico che ne risultava implicito. Non ci si deve meravigliare quindi se allo scoppio della guerra mondiale il politicamente sospetto Boegan fosse internato in un campo di concentramento nel cuore dell’Austria
(Va rilevato che i Boegan, originari di Chioggia, erano cittadini italiani, per cui l’internamento era scontato).
Egli non rimase però a lungo ospite dell’Imperatore d’Austria: infatti con un’avventurosa fuga attraverso la Svizzera riparò in Italia, mettendo a disposizione del Comando Supremo la sua perfetta conoscenza del territorio carsico.
Non sappiamo con esattezza quale fu la sua attività in questo periodo in quanto egli non ne parlò mai, neppure con gli amici più intimi. Si sa soltanto che nel 1921, tre anni dopo la fine della guerra, venne nominato “Cavaliere del Regno d’Italia” per le benemerenze acquisite in quella circostanza.
Dopo la guerra riprese il suo posto di lavoro quale idrologo della Società “Aurisina” passando poi all’Ufficio Idrotecnico Comunale ed infine al servizio acquedotti dell’Azienda Comunale Elettricità, Gas, Acqua e Tramvie. Si occupò particolarmente della costruzione del nuovo acquedotto di Trieste, facendosi notare per le sue elevate capacità tecniche.
Già nel 1904 era diventato Presidente della “Commissione Grotte”, dopo esserne stato il Segretario ed il Relatore. Mantenne la presidenza ininterrottamente, a parte la parentesi della guerra, per 35 anni, fino alla sua morte, dando un impulso eccezionale agli studi ed alle ricerche speleologiche non solo nella Venezia Giulia, ma in varie regioni italiane. I risultati delle sue ricerche sono raccolti in ben 140 pubblicazioni, alcune delle quali in lingua francese ed inglese. Il suo primo lavoro, una relazione sulla Grotta presso il Cimitero di Basovizza (Nr. 23 V.G.), nota anche sotto il nome di “Fovea Plutone”, risale al 1896. Da allora continuò ininterrottamente a pubblicare relazioni, articoli e studi speleologici soprattutto di idrologia carsica. Le sue opere principali sono il “Duemila Grotte” ed “Il Timavo”. Al “Duemila Grotte” collaborò con entusiasmo Luigi Vittorio Bertarelli, che attratto dalla speleologia ed appassionatosi ad essa in un’età in cui generalmente gli speleologi si mettono in pensione, volle partecipare a numerose esplorazioni, dedicandosi particolarmente alle Grotte di Postumia.
(L. V. Bertarelli (1859-1926), presidente del Touring Club Italiano, si interessò di grotte già dalla fine dell’Ottocento, ma soltanto nel dopoguerra conobbe il Carso sotterraneo e se ne innamorò, diventando nel 1924 socio della Commissione Grotte della SAG) .
Fu soprattutto per merito suo se fu possibile reperire i fondi per la pubblicazione del “Duemila Grotte” ideato da Eugenio Boegan e realizzato da lui e dai suoi collaboratori della Commissione Grotte. L’opera espone i dati completi di tutte le cavità naturali note allora nella Venezia Giulia ed è la più vasta e completa monografia speleologica regionale pubblicata in Italia e forse nel mondo. Ciò che ne ha fatto però un testo diffuso ed apprezzato in tutta Italia sono gli articoli che precedono la descrizione delle cavità della Venezia Giulia e che illustrano i problemi scientifici e tecnici della speleologia. Il “Duemila Grotte” contribuì con indubbia efficacia a suscitare in Italia l’interesse per le ricerche speleologiche e fu questo senz’altro uno dei maggiori meriti dell’opera.
(Grazie anche al fatto che alla sua diffusione ha contribuito essenzialmente il Touring Club Italiano, editore dell’opera).
Le critiche non sono mancate, e più volte si è detto che tutta l’opera del Boegan poco ebbe di scientifico, molto di approssimativo e che oggi tutto è superato e tutto è da rifare.
Ai facili critici del Boegan dobbiamo ricordare però che il “Duemila Grotte” fu scritto qualcosa come 42 anni or sono, che molti suoi studi risalgono ad oltre 60 anni fa e che non solo la speleologia, ma tutte le scienze hanno fatto dei passi avanti per cui è ovvio che i criteri di base ai quali si impostavano i lavori qualche decina di anni addietro oggi siano superati. In merito alle critiche sull’esattezza dei dati pubblicati, dobbiamo ammettere che il Boegan accettò forse con troppa leggerezza, senza controllarli, molti dati fornitigli dai suoi collaboratori, non tutti all’altezza dei compiti loro affidati; d’altra parte quando si entra nel tema di esattezza dei rilievi delle grotte, non dobbiamo dimenticare le polemiche sui dati di cavità oggetto di recenti spedizioni scientifiche di fronte alle quali ci sembra azzardato gridare allo scandalo se in un periodo ancora pioneristico l’approssimazione sia andata al di là dei limiti oggi ammessi. A dimostrare inequivocabilmente la validità dell’opera resta il fatto che a tanti anni di distanza essa è tuttora ricercata e consultata da tutti coloro, non solo a Trieste, ma in tutta Italia, che si interessano di speleologia.
(La polemica faceva riferimento ad alcune affermazioni di Walter Maucci in una sua nota catastale; che il Duemila Grotte fosse considerato valido è stato confermato nel 1986, quando una ristampa del libro (Fachin ed., Trieste) andò esaurita in poche settimane).
Il “Timavo”, una delle sue ultime fatiche (1938), raccoglie tutto ciò che allora si sapeva sul fiume Timavo: portata, temperatura, percorso sotterraneo certo e supposto, limiti, superficie e struttura geologica del suo bacino. Per quanto quest’opera risalga a quasi 30 anni fa, essa ancor oggi è l’unica fonte razionale e completa dalla quale attingere i dati necessari per compiere nuove ricerche sulla dibattuta questione. Dobbiamo infatti constatare che malgrado il progresso della speleologia e delle nuove tecniche di studio dell’idrologia, ben poche notizie possiamo aggiungere ora a quelle contenute nel “Timavo”.
Oltre a queste opere, che sono i frutti delle sue maggiori fatiche, vanno ricordate le varie monografie su singole cavità (come quelle sulla Grotta di Trebiciano, pubblicate nel 1910 e nel 1922) o su determinate zone (le cavità di Dignano, l’altipiano di S. Servolo, le grotte di Oppacchiesella). L’elenco delle sue opere dà l’idea di quanto imponente sia stato il contributo da lui dato alla speleologia. Ciò che invece non risulterà da quell’elenco, sono i suoi lavori rimasti inediti: “La Storia della Speleologia”, di cui si sono potute conoscere soltanto alcune cartelle; “La Bibliografia Speleologica Mondiale”, giunta a noi come un ammasso enorme di note e di appunti, privi purtroppo della chiave per un’esatta interpretazione; “La Valsecca di Castelnuovo”, ampio studio sulla Valle di Castelnuovo (Istria), utilizzato poi da altri studiosi per l’interpretazione di alcuni problemi del Carso triestino.
Con la fondazione dell’Istituto Italiano di Speleologia Eugenio Boegan, che fu tra i suoi promotori, ebbe modo di dedicare le sue migliori energie alla diffusione della Speleologia in Italia ed alla formazione del “Catasto Speleologico Italiano” creato sul modello di quello – da lui voluto e organizzato – della Venezia Giulia. Dalle pagine della rivista ufficiale dell’Istituto Italiano di Speleologia “Le Grotte d’Italia”, di cui fu Direttore e Redattore responsabile dalla fondazione avvenuta nel 1927, alla sua morte, combatté la battaglia per il Catasto delle grotte italiane, riconoscendone per primo quell’importanza che oggi è ormai un fatto acquisito per chiunque si interessi di speleologia. E’ certamente soprattutto a lui che dobbiamo se in Italia esiste un catasto nazionale, sia pure ancora lontano dalla funzionalità da tutti auspicata, ma che nazioni speleologicamente più avanzate di noi non possiedono ancora.
Tutto questo fervore di attività non gli tolse il tempo di preparare le varie spedizioni della Commissione Grotte nella regione e fuori e di curare il riattamento delle grotte turistiche della Società Alpina delle Giulie, particolarmente della Grotta Gigante e delle Grotte di San Canziano, queste ultime rimaste ora oltre il confine jugoslavo.
Ancora a lui si deve l’iniziativa e l’organizzazione, nel 1933, a Trieste del I Congresso Speleologico Nazionale, che vide per la prima volta riuniti tutti gli speleologi italiani.
Eugenio Boegan morì travolto da un rapido e violento male, il 18.11.1939, lasciando un vuoto doloroso nella Commissione Grotte e nella Società Alpina delle Giulie. Con la sua morte, avvenuta a poca distanza da quella del Perco e del Martel, scomparve una delle più grandi figure del periodo eroico e romantico della speleologia. Egli iniziò la sua attività quando l’esplorazione era considerata un’ardimentosa impresa di pochi audaci, animati soltanto dalla volontà di raggiungere, a qualunque costo, il fondo dell’abisso che rappresentava per loro uno dei punti della terra non ancora sottomessi al tallone dell’uomo. Non a torto gli speleologi furono definiti “gli ultimi esploratori della terra”. Nell’ultimo periodo della sua vita l’esplorazione speleologica era già considerata un mezzo di indagine indispensabile per lo studio del fenomeno naturale “grotta” considerato alla stregua degli altri fenomeni naturali, e quindi da studiare ed esaminare con criteri e metodi scientifici, nelle sue varie manifestazioni. Di questa evoluzione del concetto base della speleologia, Eugenio Boegan fu il tipico rappresentante. Nato esploratore, divenne scienziato, studiando nell’età matura geologia ed ingegneria idraulica per poter meglio comprendere ciò che andava scoprendo. Chi ha letto le sue opere, non avrà difficoltà a rilevare l’evoluzione del suo pensiero confrontando i lavori giovanili con quelli dell’età matura
A ricordo della sua opera di cittadino e studioso il Comune volle dedicargli una delle strade di Trieste. Nel XXV anniversario della sua morte, affinché la sua opera venisse ricordata soprattutto dai giovani, la Commissione Grotte istituì il premio “Eugenio Boegan” per uno studio sul Carso triestino eseguito da uno studente o da un giovane laureato dell’Università di Trieste. Certamente però il ricordo migliore dell’opera di Eugenio Boegan è affidato alle sue pubblicazioni che abbiamo voluto raccogliere ed elencare, di seguito a questa breve esposizione della sua vita.
Testo di Pino Guidi e Marino Vianello pubblicato su Atti e Memorie, III , 1963; le note in grassetto non appartengono al testo pubblicato, ma sono state inserite in sede di stesura della presente scheda.

E’ stato membro della Commissione Grotte dal 1894 al 1939

UN OMAGGIO ED UN RICORDO DI EUGENIO BOEGAN DA PARTE DI UN CARSISTA CHE SI RITIENE UN SUO CONTINUATORE IN TALI STUDI

Mi voglio solamente soffermare su tre fondamentali lavori, per lo più sconosciuti, ma che rivestono una grande importanza per comprendere le enormi difficoltà di quel periodo, definibile di ricerca vera e del tutto iniziale, sul grandioso problema delle acque carsiche: Le Sorgenti di Aurisina (1906), La Grotta di Trebiciano (1910 e 1921). Il tutto è tratto da un lungo studio di Fabio Forti & Fulvio Forti dal titolo: 200 anni di storia della speleologia triestina attraverso le ricerche sull’andamento ipogeo del Fiume Timavo,… di oltre cinquanta pagine, di cui il tutto, era stato pubblicato in forma riassuntiva in tre pagine, da Fabio Forti (2013) in occasione degli Atti del XXI Congresso Nazionale di Speleologia, Trieste 2-5 giugno 2011. Ma iniziamo con il 1883 che fu l’anno in cui a Trieste, la gioventù di quei lontani tempi, si esaltò alla luce delle affascinanti scoperte che riguardavano il Carso, ossia le grotte e soprattutto sul problema del miste­rioso Fiume Timavo. Con grande entusia­smo sorsero dei gruppi autonomi di esplo­ratori di grotte. Da questi gruppi, merita far menzione, per capacità esplorativa ed orga­nizzativa, nonché per una cospicua produ­zione di scritti scientifici, che caratterizzaro­no poi, tutta la prima metà del XX secolo,… di Eugenio Boegan, (1875 – 1939 del Club Alpino dei Sette), il primo vero studioso del Timavo e per lunghi anni fu poi Presidente della Commissione Grotte della Società Al­pina delle Giulie; l’altro fu Giovanni Andrea Perko, (1876 – 1941 del Hades Verein), gran­de esploratore di grotte e futuro direttore e valorizzatore della Grotte di Postumia. I rispettivi gruppi speleologici di appar­tenenza di questi due giovani, furono però sciolti dalla polizia austriaca per diverse mo­tivazioni. Gli – italiani – confluirono così nella Commissione Grotte della SAG, gli – austriaci – nel Club Touristi Triestini. Con queste nuove forze e con idee molto più avanzate, l’attività speleologica cambiò completa­mente rotta. Un po’ alla volta la Carsia Giulia venne sistematicamente setacciata, furono esplo­rate, rilevate e catastate tutte le grotte gran­di e piccole che erano state trovate. (Non dimentichiamoci che questi due personaggi furono gli iniziatori della realizzazione di un primo catasto speleologico). In particolare sul presunto corso sotterraneo del Tima­vo tale attività fu maggiormente capillare. In fondo la chimera non poteva essere che quella di arrivare con queste esplorazioni sistematiche al Timavo in un qualche altro punto, oltre che in quello allora già noto, della Grotta di Trebiciano. Ma qui verrà ricordato solamente il Bo­egan, per commemorare degnamente gli ottanta anni dalla sua scomparsa, avvenu­ta appunto nel 1939, dopo quarant’anni di attività dedicati a tali ricerche, dove ebbe modo di esprimere attraverso i suoi numero­si scritti, il pensiero ed in seguito le sue con­clusioni di un grandioso problema: …quello delle acque carsiche. È del 1906 il suo primo fondamentale lavoro sull’idrografia della Carsia Giulia: Le Sorgenti di Aurisina. Dopo la disgrazia della Grotta dei Morti, il Boegan ci ricorda che il Comune di Trieste incaricò nel 1870, l’ing. Burkli di Zurigo a fornire un (ulteriore) parere per la – migliore – soluzione sull’approvvigio­namento idrico di Trieste. Il Burkli, pur dichiarandosi in favore di una derivazione idrica che capti le acque dalle Sorgenti del Risano (invero un po’ lon­tane), svolge delle osservazioni sulle acque del Carso, sostenendo che tutte, assieme a quelle provenienti dai terreni impermeabi­li del Timavo superiore, convergono a San Giovanni di Duino. Ma, secondo il Burkli, ciò: …Segue le stesse leggi d’un fiume scorrente nella pro­fondità di una vallata cui concorrono da ogni parte confluenti minori che accrescono a poco a poco il volume dell’acqua. Signifi­ca propendere per un solo fiume incanala­to nella massa calcarea, seguendo così le teorie del Martel o meglio dell’unicità dei percorsi ipogei secondo appunto, la scuo­la francese. Era questa allora, una ipotesi abbastanza diffusa, anche se molto dopo, risultò completamente errata. Altro argomento affrontato dal Boegan, è stata un’indagine sul pensiero del geologo Torquato Taramelli, che nel 1878, a propo­sito delle Sorgenti di Aurisina, così si espri­meva: …In quanto all’origine ed al decorso, senza entrare nella questione della continu­ità idrografica dalla Voragine di San Canzia-no fino alla foce del Timavo a San Giovanni di Duino e senza pronunciarsi intorno alle ipotesi dell’unico fiume sotterraneo o del duplice corso d’acqua rispondente all’anda­mento geologico superficiale, non può es­sere revocato il dubbio che le polle di Santa Croce siano emuntori di un sistema sotter­raneo, alimentato sia in parte dalle acque meteoriche di uno speciale territorio idrico, le quali attraverso la superficie del Carso precipitano nel caratteristico reticolato di fratture, in gran parte quasi verticali, che co­stituisce la compagine del nostro altipiano, per poi unificarsi in più importanti meandri a contatto della creta impermeabile. Quindi il dubbio sul meccanismo della circolazione idrica carsica appare palese! Soffermiamoci però su un problema geologico affrontato dal Taramelli: …creta impermeabile. A quel tempo, ed il Boegan seguirà poi questa teoria già enunciata del resto dal geologo svizzero Kossmat per la Grotta di Trebiciano, che: …si era convinti esistesse in seno alla massa rocciosa del Carso, un -livello di rocce impermeabili – costituito dai Calcari della parte inferiore del Cretacico (creta impermeabile) e questo formasse – li­vello di base carsico – ossia di scorrimento idrico di tutte le acque provenienti dall’Alto Timavo e da quelle relative alla percolazio­ne carsica diretta. Appena negli anni nostri è stato evidenziato che solo in parte ciò è vero. Nella Grotta di Trebiciano prima e nell’Abisso dei Serpenti più tardi, si è visto che il livello del fiume, in pratica il suo letto di scorrimento, è effettivamente sostenuto da un Complesso dolomitico cenomaniano, ma che agli effetti del (solo processo carsi­co) è da classificare come semipermeabile (semicarsico o paracarsico). Boegan ci ricorda anche che il Sal­mojraghi nel 1905, partendo dal principio che le sabbie convogliate dal fiume, origina­te dall’erosione delle rocce marnoso – are­nacee, costituenti il bacino dell’alto corso, potevano servire anche da: …indicatore di provenienza. Questo Autore studiando la composizio­ne mineralogica e la proporzionale dei suoi componenti, aveva dedotto che le sabbie del Timavo superiore, quelle trovate nelle Grotte di San Canziano, nell’Abisso dei Ser­penti, a Trebiciano e nel Timavo inferiore, erano molto simili. A riprova di ciò, Boegan ci ricorda che il Lindner nel 10° pozzo di Tre­biciano, corrispondente ad una profondità di circa 220 m, rinvenne una pala di ruota di mulino che non poteva arrivare altro che dall’Alto Timavo e qui depositata, in occa­sione di una forte piena. Interessante è a questo punto segnalare che allora vennero anche considerate le sabbie trovate nel­la Grotta presso la stazione ferroviaria di Nabresina (N°89 VG), il cui fondo si trova a 35,40 m s.l.m., in cui si supponeva che nelle grandi piene, il fiume riuscisse a lam­bire la parte inferiore di questa grotta. Ma il Salmojraghi notò una certa differenza nella composizione mineralogica, per cui espres­se dei dubbi, che provenissero dall’Alto Timavo. Ammise invece la continuità delle acque tra l’Abisso dei Serpenti, la Grotta di Trebiciano ed il Timavo inferiore, poiché se confrontate con quelle del Timavo superio­re, costituiscono una prova sulla continuità del Timavo stesso. È molto importante ricordare che: …ap­pare alquanto problematico accettare que­sto “tracciante sabbioso”, dato che le are­narie del Flysch hanno composizioni assai variabili ed il materiale di risulta esprime sempre una “media”; inoltre, …all’epoca del Salmojraghi non era noto che, (solo negli anni più recenti), venne scoperto che il Timavo nel suo ultimo tratto sotterraneo prima dell’area delle risorgive scorre nuo­vamente sul Flysch, dovuto ad un contatto tettonico per sovrascorrimento, pertanto il “mescolamento” delle sabbie rende per­fettamente inutile, accettare questo tipo di tracciante. Ma per il Boegan, nel ricercare gli spandimenti del Timavo superiore presenti in al­veo, osserva che dopo aver percorso una cinquantina di chilometri sul terreno mar­noso – arenaceo del Flysch, ad Auremio superiore (Gornje Vreme), passa sui calcari (attenzione eocenici) prima di immettersi, dopo 7 km, sui calcari (cretacici) nel sistema ipogeo di San Canziano. Riporta, che l’11 agosto 1876, tali spandimenti, in corrispon­denza del contatto con i calcari, a San Can­ziano defluivano 31.908 mc/g, mentre ad Auremio ne passavano 53.293 mc/g; il 17 dello stesso mese, si riscontrava una porta­ta prima degli spandimenti di 114.048 mc/g e dopo gli stessi appena 25.583 mc/g. Il 18 settembre 1879 a San Canziano l’alveo del fiume era completamente asciutto, mentre ad Auremio la quantità d’acqua era ancora di 46.000 mc/g. Il Boegan compie così le seguenti os­servazioni, piuttosto interessanti per quel nuovo periodo di tali ricerche: … Queste tortissime perdite del fiume si spiegano col carattere della roccia, di natura cavernosa che quelle acque incontrano nel loro per­corso. Il calcare, già da per sé permeabi­lissimo, è ricco di fenditure, che permetto­no il sollecito smaltimento delle acque, ed inoltre l’inclinazione stessa degli strati, che più si avvicina alla verticale, facilita ancor più l’assorbimento, che in generale, è leg­ge ormai nota e illustrata pure dallo Stop-pani, che le rocce stratificate si mostrano più permeabili in quelle parti che formano le testate degli strati, che non lungo la loro superficie… Particolare cura il Boegan dà all’analisi delle portate del Timavo, nel suo corso su­periore, a San Canziano, a Trebiciano, alle sue risorgive. Si tratta per lo più di dati d’altri Autori, ma sono comunque piuttosto incerti a causa dei metodi di rilevo allora adottati. Importante sottolineare invece, che si era alle indagini preliminari e si discuteva sulla continuità del Timavo sotterraneo. Il Boegan notava che la direzione dei rilievi e lo svi­luppo subaereo delle valli, relativo alla parte ipogea del Timavo, da San Canziano a Dui­no, è secondo SE – NW è la stessa dell’inte­ro percorso subaereo per circa 47 km. Tale constatazione gli è stata suffragata dalla di­rezione di altre vallate presenti nella regione (Isonzo, Idria, Tribussa), similmente alle linee costiere istro – dalmatiche e delle stesse iso­le del Quarnero. Prosegue affermando che: …Inoltre è legge pur nota che in un terreno permeabile le acque sotterranee seguono le movenze del terreno, cioè a dire la direzio­ne predominante dell’orografia superficiale, quella delle maggiori depressioni, tanto più che la stratigrafia delle rocce, di una incli­nazione immergente verso Sud-Ovest ad angoli varianti, talvolta quasi verticali, è pur diretta da Sud-Est a Nord-Ovest. La natura stessa della roccia che separa S. Canziano da Duino e ch’è tutta composta di calcare cretaceo permeabilissimo, rappresentereb­be il principale argomento in favore della esistente continuità sotterranea del fiume fra le due località sopra accennate. Quando ci sarà dato di constatare l’esistenza sotter­ranea di qualche strato di roccia impermea­bile, sufficiente a sbarrare il supposto corso sotterraneo del Timavo – ciò che non venne da alcuno dimostrato – allora appena potrà sorgere il dubbio che le sue acque, anziché riversarsi a Duino, possano prendere altra via, ma finché ciò non sia dimostrato si deve ritenere per certo che l’idrografia sotterra­nea del Carso è fra essa comunicante. Si tratta di concetti piuttosto semplici, che però si sono protratti nel tempo fino agli anni cinquanta del secolo appena trascor­so. In seguito, con una diversa, organica ed articolata indagine geologica, si sono avute nuove visioni e di conseguenza altre certez­ze. Per fare un semplice esempio segnalia­mo quella della sostanziale differenza disso­lutivo – carsica tra i calcari cretacici e quelli eocenici, quest’ultimi di gran lunga meno carsificabili! Ma è ormai accertato, che le vie del­le ricerche possono essere molteplici e se non si riescono a compiere delle verifiche dirette, si passa alle indagini indirette. Ecco allora che Boegan, Burkli, Grablovitz, Du­cati, Salmojraghi, vollero avventurarsi sulle relazioni numeriche fra le precipitazioni at-mosferiche, le portate dei corsi d’acqua del Carso, quella delle varie sorgenti. In altri ter­mini volevano fare ciò che oggi chiamiamo un – bilancio idrico – tra afflussi e deflussi, per dare una spiegazione matematica al problema della continuità. Ma questi calcoli possono pure essere variati, applicando dei coefficienti correttivi, il tutto per dover arri­vare ad un necessario pareggio. Il Boegan, nell’ottica di una ricerca sulla continuità Timavo superiore – Timavo infe­riore, volle però tracciare un profilo che par­tendo dalle Grotte di San Canziano e pas­sando per l’Abisso dei Serpenti, la Grotta di Trebiciano, arrivasse alle sorgenti di Duino. Su questo profilo altimetrico segnò tutte le principali cavità ivi rilevate, in particola­re quelle che avrebbero dovuto trovarsi in corrispondenza del presunto percorso sot­terraneo del Timavo. Risultarono tutte ben lontane (come profondità) dall’ipotetico fiu­me misterioso ed il Boegan così concluse: …Tale linea, ripetiamo, non rappresenta che quella traccia che più si avvicinerebbe, se­condo il nostro modo di vedere, al corso se­guito dal fiume sotterraneo; perché, eccetto la Grotta di Trebiciano dove si conosce l’e­sistenza di un fiume, per tutte le altre grotte non si posseggono che degli indizi, dai quali non si possono fare che delle supposizioni. Purtroppo il seguire questo concetto è stato uno di quegli errori che nel passato, hanno fatto ritardare molto nella ricerca del fiume sotterraneo. Secondo i più recenti studi, tale indagine doveva svolgersi anche altrove e assai più vicina al margine dell’altopiano del Carso Triestino, ma non solo! Boegan, affrontò anche il problema se il Timavo scorresse in un unico canale, oppu­re in un: …reticolato di vari rami seconda­ri, da formare, con una estesa rete di vene d’acqua, un grande lago sotterraneo. In base alle ipotesi sulle acque ipogee carsi-che allora in voga, preferì la prima soluzione, avvalorandola con delle considerazioni rela­tive ai fenomeni di piena, dipendenze ter­mometriche e seguendo così il concetto del Burkli, che qualora l’acqua fosse particolar­mente diffusa in una rete di canali nella mas­sa calcarea, dovrebbe sorgere in maggiore o minore quantità su tutta la linea di costa laddove il calcare si affaccia sul mare: …né si troverebbe concentrata in tale quantità in un solo punto, come succede coll’attuale sbocco del Timavo. Egli conclude col dire che la grande quantità d’acqua che deflui­sce in un solo punto, giustifichi pienamente l’ipotesi che l’acqua scorra in un ben deter­minato canale ipogeo che, dalle Grotte di San Canziano si prolunga attraverso la Grot­ta di Trebiciano, fino alle foci del Timavo. Allora si ignorava che gli spandimenti del fiume lungo il tratto costiero Sorgenti di Au-risina – Foci del Timavo erano molto grandi, da ridurre ad esempio lungo un tratto costie­ro di 7 km di sviluppo, la salinità del mare al 50%. All’epoca del Boegan non si sapeva dell’esistenza di una continuità della linea di costa calcarea tra le Sorgenti di Aurisina, la Baia di Sistiana e fino alle foci del Timavo, a contatto per faglia da sovrascorrimento tettonico sul Flysch, per cui lungo tutto tale piano di contatto tettonico, esistono grandi spandimenti di acque carsiche. Ciò ha por­tato così, ma ai tempi nostri, ad una diversa configurazione idrogeologica dell’intero si­stema timavico. Altra interessante convinzione di allora, fu che nella Caverna Lindner della Grotta di Trebiciano, convogliassero due corsi d’ac­qua, l’uno dall’Alto Timavo e l’altro dalla zona: …M.te Concusso – M.te Castella-ro, nonché dalla Valsecca di Castelnuovo (Matarsko podolje), cioè da un bacino che si estende a SE di Basovizza e passa per Erpelle – Cosina, Obrovo, Castelnuovo (Po-dgrad) e che raccoglie una ventina di torren­telli in altrettanti inghiottitoi, provenienti tutti dal Flysch dell’area della Birkinia. Tra le varie ricerche del Boegan sulle Sorgenti di Aurisina, che allora captavano le acque per l’acquedotto triestino, un dub­bio lo rileva dagli stessi suoi concetti: …L’i­potesi già svolta, che il fiume sotterraneo scorra incanalato in un solo ramo principa­le, crediamo che faccia una prima e forse unica eccezione per la plaga di Nabresi-na. Quindi, secondo il Boegan, il Timavo avrebbe dovuto scorrere in un’unica gran­de galleria lungo l’asse del Carso triestino e lontano da quest’area sorgentifera. Ciò doveva essere spiegato come una – deri­vazione – causata da un fattore geologico. Ulteriore incertezza espressa dal Boegan è quando afferma che: …queste però sgorgano nell’unico sito dove l’arenaria, per brevissimo tratto, sprofonda sotto il livello marino e l’abbassamento si spiega col fat­to dell’esistenza di una pronunciata sincli­nale diretta da Sud-Ovest a Nord-Est, che da Aurisina va verso la villa omonima. Tale sinclinale non esiste, ma lo abbiamo ac­certato da complessi studi geologici, solo ai tempi delle nostre ricerche. Per quanto riguarda la presenza del Flysch, sappiamo invece che essa è continua lungo la linea di riva, anche se ricoperta da detriti e ciottoli calcarei e che in parte mascherano le con­dizioni di un vero e proprio caso di sovra-scorrimento tettonico, addirittura di calcari del Cretacico superiore sul Flysch. Sempre nei lavori sulle Sorgenti di Auri­sina, Boegan ci riporta però, anche una no­tizia interessante, che nel corso delle opere di costruzione delle dighe e dei bacini di raccolta, vennero effettuati parziali prosciu­gamenti del fondo, ma per quanto si abbas­sasse il livello della sorgente, tanto più si doveva aumentare il pompaggio. A prosciu­gamento quasi totale, è stato riferito che si poteva scorgere: …lo sgorgare dell’acqua sotto pressione dalle fenditure della roccia calcarea. Molto interessante questa osser­vazione che ci conduce al concetto ed alla realtà che tali acque provengono da un si­stema sottostante di gallerie, che sono sta­te sommerse dall’ingressione marina di fine Pleistocene. Rimanendo nel campo delle risorgen­ze – secondarie – quesito che non è stato affrontato dal Boegan, riguarda un gruppo di sorgentelle che sgorgano dal Flysch nel­la zona di Santa Croce. Sette di queste si trovano al livello del mare e sono dei deboli fili d’acqua che al giorno d’oggi sono quasi completamente scomparsi dall’urbanizza­zione selvaggia di quel tratto di costiera. A quell’epoca, la più importante è stata “Bella-vigna”; la seconda sotto la località denomi­nata “Causse”; la terza a valle della Stazione Ferroviaria di Santa Croce, in località “Sau-niki”; la quarta presso il porticciolo di Santa Croce, chiamata “Mulli”; la quinta sotto alla località “Randelli”; la sesta con più scarichi, sotto “Lahovec” ed infine la settima, la più copiosa, in prossimità del confine censuario di Prosecco, “Ceserinovec” o “Draga”. Secondo i racconti degli abitanti dei luoghi, quando vennero eseguiti i lavori di allaccia­mento delle polle dalla N.1 alla N.7, dell’Ac­quedotto di Aurisina, di conseguenza fu anche aumentata la loro portata ed allora, in tutte le sorgentelle sopra citate, si verifi-cò una forte diminuzione del loro deflusso. Ma Boegan ci segnala ancora la presenza di una sorgentella perenne a monte della linea ferroviaria, ai piedi del paese di S. Croce, al contatto tra i calcari e le arenarie, in località denominata “Skedenz”, posta ad una quota di circa 120 m s.l.m. Tale sorgentella risul­terebbe così essere la più elevata in quota della costiera triestina. In chiusura, il Boegan ci fa questo scien­tificamente onesto commento: …Il regime idrico sotterraneo di una regione, complessa come la nostra, racchiude tante incognite, che il pretendere di esser già arrivati a sve­larne una bella parte, sarebbe, presunzione fuori posto. Il nostro proposito fu quello di raccogliere quei dati e quelle esperienze a noi note, che potessero portarci, sotto vari aspetti, qualche contributo per la soluzione dell’intricato problema idrico della nostra re­gione, che non è ancora studiata quanto lo richiede la sua importanza. La Grotta di Trebiciano (N°17 VG) ebbe l’onore di due studi per opera del Boegan (1910 e 1921), dove tentò di descrivere l’o­rigine della cavità. È importante ripercorrere il suo pensiero su questa genesi, per vedere fino a che punto, si era allora arrivati, su un complesso problema, legato agli studi sull’i­drologia della regione carsica. Secondo il Boegan tale grotta, assieme a tutte le altre cavità presenti sul Carso, hanno un’origine dipendente dal Timavo, al tempo in cui questo scorreva in superficie: …lavorava lungo il suo percorso principal­mente in due forme, coll’erosione e colla corrosione, benché non sia del tutto escluso che al suo passaggio dall’alveo subaereo a quello sotterraneo abbiano cooperato altri fattori. Il Timavo con la sua considerevole massa d’acqua asportando il manto are­naceo e trovando condizioni favorevoli, sia in preesistenti spaccature, sia in un facile deflusso, lungo il suo percorso subaereo, forava il calcare in numerosissimi punti, dove le condizioni della roccia lo permettono. Lo stesso concetto è stato poi ripreso dal prof. Antonio Marussi (1940), per sviluppare una sua teoria sull’idrologia carsica e sulla genesi del carsismo. Il Boegan conclude il suo pensiero: …Questo continuo lavorio, di­remo così di trapanazione, che si effettuava dall’alto in basso, l’acqua, oltre che altrove, la eseguiva anche nella Voragine di S. Can-ziano. Qui abbandonato il fiume il suo let­to arenaceo impermeabile su cui scorreva, e incontratosi col calcare, roccia questa molto permeabile, principiò l’azione sua di erosione e corrosione, che più tardi doveva condurlo a formarsi un letto sotterraneo, che nei primi tempi sarà stato molto più alto più angusto e più irregolare dell’attuale: E con­tinuando coll’opera sua dissolvente, forse con una parte del volume d’acqua, si sarà fatto strada anche nella Grotta di Trebiciano per continuare nella trapanazione poi fino allo sbocco del mare. Si tratta di semplici concetti, basati sulle allora limitate conoscenze culturali del carsi­smo, parte scientifica questa che cominciò realmente a svilupparsi attraverso dettagliati rilevamenti geologici, appena dopo il 1950. Attualmente, salvo rare eccezioni, sono an­cora intese delle superficialità che rivestono gli studi carsici, ma non certo per colpa del Boegan, per cui sul percorso dell’evoluzione degli studi sul Fiume Timavo, è necessario risalire a quanto Fabio Forti & Fulvio Forti hanno trattato in: …Il Fiume Timavo, un pro­blema carsico – geologico. Alpi Giulie, anno 111- N°2/2017. Ma il Boegan dai suoi studi, introduce anche qualcosa di nuovo, derivato dalle os­servazioni sulla forma e struttura dei pozzi della Grotta di Trebiciano, formulando un’i­potesi sulla genesi e cioè sull’erosione e corrosione delle acque sotterranee in sen­so contrario alla gravità: …Uno splendido esempio di questo fenomeno lo si riscontra nella serie dei pozzi della Grotta di Trebicia­no. Sono essi fessure diaclasiche verticali, di varia profondità e di differente diametro, congiunti insieme, non mai colla loro parte superiore, ma a 10 o 15 metri più sotto, da brevissimi ed angustissimi canali litoclasici, di una inclinazione sempre ascendente che va dal pozzo inferiore a quello superiore. In questi pozzi è caratteristica la forma acumi­nata con cui essi terminano superiormente che assomiglia ad un enorme cappello co­nico. Oltre all’erosione ed alla corrosione delle acque che risalgono periodicamente per questi pozzi verticali e sulle cui pareti le scanalature della roccia si riscontrano di­stintissime e in gran copia, v’è l’azione della pressione idrostatica che si manifesta pure in tutte le direzioni e quindi anche in senso contrario alla gravità. Nella realtà dei fatti tale fenomeno delle piene occasionali con grandi risalite d’ac­qua, non può ampliare in salita un pozzo carsico. Le acque di risalita dalle piene del fiume, non sono di scorrimento e non fanno altro che tenere bagnato in modo statico e per tempi piuttosto brevi, la superficie roc­ciosa interessata. Al contrario, se l’acqua cade dall’alto, allora avremo una solubilità dinamica, la quale ha dato – solo – luogo alle scanalature citate dal Boegan. Un dubbio però traspare dai suoi studi e lo rileviamo dalle sue stesse ammissioni: …Difficile sarebbe arguire fino a qual punto della grotta questa deve l’origine sua all’azione delle acque dal disotto all’insù e quale dall’azione delle acque subaeree in senso della gravità. Dagli studi pubblicati nel 1921 sulla Grotta di Trebiciano, riferisce che la cavità nel 1912 fu completamente attrezzata per le discese, con scale e ripiani in legno. Nel 1913 venne eseguita una livellazione di pre­cisione, fissando i vari capisaldi lungo i poz­zi e si eseguì una quotazione degli idrometri, sistemati sulla collina di sabbia della grande caverna, dal pelo dell’acqua in magra e fino alla base dei pozzi di discesa. Nove furono i capisaldi, di cui i principali che costituiscono ancora oggi i punti chiave della grotta, sono i seguenti: Esterno, Q. 341,035 m s.l.m.; al fondo dei pozzi Q. 68,66 m s.l.m.; Caver­na Lindner presso l’idrometro II Q. 15,07 m s.l.m. Queste misurazioni, furono eseguite dall’ing. Giulio Milesi. Molto importanti furono invece le rileva­zioni sulle piene del Timavo ed in partico­lare una eccezionale seguita in tutto il suo interessante svolgimento: …Il 12 febbraio 1915 il personale dell’Ufficio Idrotecnico Comunale, recatosi all’imbocco della grot­ta per effettuare la consueta giornaliera di­scesa, avvertì che una colonna d’aria usciva con grande violenza dal pozzo di discesa. Il  tentativo di penetrare nella caverna, due volte ripetuto, condusse il personale fino alla seconda cavernetta; la discesa nel suc­cessivo pozzo non fu possibile causa la violenza della corrente d’aria e l’esaurimento delle forze. Il giorno successivo i fenome­ni di espulsione dell’aria erano scomparsi.Discesi nel pozzo, si constatò che l’acqua aveva già superato il cunicolo che mette al vecchio accesso della caverna aprentesi sulla volta. L’acqua arrivava precisamente allo scalino IX della scala LXIV e, durante la permanenza di 15 minuti dei rilevatori, essa si innalzò ancora di 1,35 m. Il giorno dopo, 14 febbraio, l’acqua raggiunge la sua massi­ ma altezza finora constatata, e precisamen­te la quota 115,06 m s.l.m. Sulla parete del pozzo venne fissata una targa in ottone delle dimensioni cm 14,5 x 4,5 recante una linea orizzontale e la data: 14 febbraio 1915. Il 15 febbraio l’acqua discese di 55 cm, decre scimento che progressivamente aumenta nei giorni successivi. La caverna maggiore era totalmente invasa dall’acqua dal giorno 12 all’inclusivo 26 febbraio e quindi ben 15 giorni consecutivi. Questi valori della piena hanno fatto testo, in tutte le pubblicazioni successive. Una prova particolarmente interessan­te tra le acque che scorrono nella Grotta di Trebiciano e quelle che risorgono a San Gio­vanni di Duino, riguardava i rapporti idrome­trici tra le due località e ciò per un’ulteriore conferma sulla continuità del Timavo ipo­geo. I rilievi eseguiti giornalmente dall’Uf­ficio Idrotecnico Comunale per 29 mesi, interrotti allo scoppio della Grande Guerra, permisero l’esecuzione di un diagramma con i livelli dell’acqua rilevati a Trebiciano ed al Timavo, in cui si può osservare la perfetta concomitanza delle piene e delle magre tra le due località. A tutte le punte del diagramma che se­gnano le piene del fiume nella Grotta di Tre­biciano corrisponde  un  innalzamento  del pelo dell’acqua alle Foci del Timavo anche se con un breve ritardo. È noto che lo sbocco del fiume a San Giovanni di Duino è sbarrato in ciascuno dei suoi tre rami principali, da roste e pa­ratoie, così il Boegan afferma che nell’e-seguire gli esperimenti sulle condizioni del fiume sotterraneo, i vari portelloni di scarico vennero aperti o chiusi, cosicché fu possi­bile conoscere l’influenza che, ad esempio, un abbassamento del pelo dell’acqua allo scarico, provoca sull’intera falda acquifera ipogea e rispettivamente nella Grotta di Tre­biciano. Boegan volle dimostrare l’indiscutibile relazione tra queste acque. Con le attua­li conoscenze sulla vasta diffusione delle acque in seno alla massa rocciosa carsica, va precisato, che chiudendo i portelloni a Duino, il fenomeno della ritenzione idrica si ripercuote inevitabilmente su tutta la com­plessa reticolazione carsica a livello delle acque di base, indipendentemente dalle fonti di alimentazione della falda stessa, per cui ciò non costituisce certezza sulla conti­nuità diretta. Su di un’altro studio per la continuità del Timavo, furono le indagini termometriche delle acque scorrenti a Trebiciano e sui rap­porti con quelle del Timavo inferiore, hanno così dimostrano che si tentarono allora tutte le strade per stabilire, con deduzioni indiret­te tale continuità. La temperatura dell’acqua nella Grotta di Trebiciano, a causa del suo primo e più rapido percorso sotterraneo, giunge con temperature che variano da un minimo di 4,6 gradi centigradi ad un massimo di 17,8; mentre dalle osservazioni fatte alla foce del Timavo, risulta che le temperature dell’ac­qua hanno una variabilità fra i 7,8 e i 14,1. (Letture giornaliere, eseguite dal 27 agosto 1909 al 21 maggio 1915). Sulla base delle attuali conoscenze sull’idrologia carsica, le acque nel tratto Trebiciano – Timavo in­feriore, stabilizzano la loro temperatura con quella della roccia e ciò a causa delle ritenzioni idriche ed anche in questo caso indipendentemente dalla loro provenienza a monte, cioè dall’Alto Timavo, oppure da qualsiasi altra area di provenienza. Da quanto sopra esposto si evince con molta chiarezza l’alta professionalità che il Boegan ha voluto esprimerci in merito a due problemi di idrologia carsica. Ossia quello delle Sorgenti di Aurisina e della Grotta di Trebiciano. Problemi questi che allora erano stati affrontati con grande coraggio e determina­zione. Ma la realtà che la struttura geologica del Carso triestino e del Carso Classico in generale, è stata appena iniaziata ad esse­re capita, vent’anni dopo la scomparsa del Boegan e che forse ai giorni nostri, quindi ad ottanta anni dai suo ultimo lavoro:

Il Timavo – Studio sull’idrografia carsica subae­rea e sotterranea, pubblicato nelle Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia (1938) e presentato da Michele Gortani, abbiamo avuto delle certezze, in base a lunghe inda­gini geologiche, che al suo tempo erano im­possibili anche da immaginare. Mi riferisco in particolare, che Boegan era sì arrivato, ad ammettere una circolazione carsica alquan­to ramificata, ma dai suoi schemi appare anche una conseguente, forse esagerata diffusione di cavità illustrate con una indi­cativa simbologia, quasi volesse rappresen­tare anche, una constatazione d’immagine statica un po’ forzata. Ma d’altra parte, in questo importante studio, Boegan ci indica un suo pensiero, legato al tratto del corso del Timavo dalla Grotta di Trebiciano, alle sue risorgive, ossia suppone due percor­si incanalati, l’uno seguendo l’andamento secondo – l’attuale – livello del mare ed un altro, novità assoluta per quel suo tempo, presente anche molto al di sotto di tale li­vello! (Vedi schema a pag. 75, Tav. 39, de “Il Timavo” 1938). Verissimo, ma lo abbiamo scoperto e correttamente interpretato, ben dopo il 1950, come già prima è stato ricordato, ma appena negli anni 2000 dopo il grande pro­getto di esplorazione “Timavo 2000”. Potete trovare, come già ricordato, il tutto esposto nel lavoro di Fabio Forti & Fulvio Forti – Il Fiume Timavo, un problema carsico – ge­ologico. Alpi Giulie, anno 111 – N.2/2017, Trieste.

Fabio Forti

 EUGENIO BOEGAN, QUESTO SCONOSCIUTO

È sempre difficile parlare di una persona che non si è conosciuta direttamente ed è questo il caso di Eugenio Boegan, del quale la Commissione Grotte porta il nome da oltre settant’anni. Non ci resta quindi che analiz­zare i comportamenti da lui tenuti nel cor­so della sua vita, tratteggiata a grandi linee nella commemorazione di Luciano Medeot pubblicata sulla Rivista Alpi Giulie nel 1940, caratterizzata dallo stile un po’ retorico pro­prio dell’autore ed usuale in quei tempi. E non ci soccorrono i suoi scritti, nei quali il nostro caro “Genio” non ha detto nulla di se stesso e della sua vita privata. Era nato a Trieste nel 1875 da una fa­miglia originaria di Chioggia e cominciò a scendere nelle grotte della zona di Basoviz-za al tempo del liceo, assieme ad altri sei amici, ma già nel 1894 entrò a far parte del Comitato Grotte della Società Alpina delle Giulie, un sodalizio al quale aderivano molti irredentisti che simpatizzavano per l’Italia e quindi tenuto d’occhio dalle autorità austria-che. Al momento il Comitato conosceva sol­tanto una ventina di cavità, di cui solo una parte erano state rilevate ed anche questo in modo approssimativo. Grazie alla mag­gior capacità tecnica del nuovo arrivato, le esplorazioni si estesero a grotte più impe­gnative, nei limiti di una squadra composta da persone di lui meno esperte. In un suo articolo, comparso nel 1896 sulla rivista so­ciale, Boegan espone con molta chiarezza le sue intenzioni per la creazione di un archi­vio nel quale raccogliere, sotto un numero progressivo, i dati ed i rilievi delle cavità na­turali compiutamente investigate, un’istitu­zione nuova in tutto il mondo che se non era ancora chiamata Catasto, ne aveva tutte le caratteristiche. A questa sua creatura, ma soprattutto al fascinoso mistero del Timavo, Boegan ha dedicato praticamente tutta la sua esisten­za e le sue risorse intellettuali, ed infatti non risulta che abbia avuto altri interessi o che si sia dedicato a qualche diversa attività. Potremmo definirlo un uomo culturalmen­te limitato agli argomenti relativi al mondo sotterraneo, sul quale si era documentato con una certa profondità, a giudicare dalle esaurienti bibliografie compilate in vista della pubblicazione dell’opera che lo rese noto, il DUEMILA GROTTE, con la quale Luigi Vitto­rio Bertarelli – il presidente del Touring Club Italiano – intese erigere una sorta di monu­mento alle bellezze ipogee della regione da poco annessa all’Italia ed all’eccellenza de­gli speleologi triestini, all’epoca i più forti al mondo. Nessuno può conoscere meglio di noi i difetti e le carenze di questo volume, tuttora una rarità libraria ed infatti ristampato una trentina di anni fa. Posto che a distanza di quasi un secolo i vari capitoli introduttivi han­no perso ogni valore scientifico e tecnico, le maggiori carenze sono quelle della rassegna catastale, nella quale meno del 40% delle cavità sono prive di rilievo e di dati completi. Tra queste c’è la Grotta dei Morti – teatro nel 1866 di una grave disgrazia – alla quale sono state dedicate solo tre righe. Le ragioni di tali manchevolezze vanno ricercate nell’affret­tata chiusura del volume: Bertarelli, che lo aveva finanziato, stava morendo e forse non lo vide pubblicato, anche se portava la data 1925, la data della drammatica esplorazione dell’Abisso di Raspo, al quale venne dato il suo nome. In quella notte da tregenda Boe-gan credette che tutti i suoi uomini fossero stati travolti dalla piena e la terribile angoscia lo segnò per sempre, come è stato per Carlo Finocchiaro dopo la tragedia del Canin. Boegan aveva cinquant’anni e ormai non scen­deva più in grotta, al contrario di ciò che ac­cade oggi con i nostri ammirevoli ottantenni. Poi, un po’ alla volta, i migliori elementi della squadra di punta abbandonarono l’attività, tranne il bravo Gianni Cesca, che parteci­pava negli anni ’50 alle nostre uscite con il camion militare. Ad alimentare le speranze del Boegan di poter programmare un ciclo di indagini meno dispersive ed inconcludenti ecco pre­sentarsi all’inizio del 1936 quattro liceali mo­tivati e pieni di entusiasmo, che negli anni seguenti diedero prova delle loro capacità non solo esplorative scendendo nell’Abis­so di Leupa sulla Bainsizza, una verticale di 285 metri. In quel tempo Boegan era occupato nella stesura dell’opera dedicata al Timavo, concretizzazione di un sogno cul­lato da chissà quando; ma oramai venti di guerra attraversavano l’Europa e non era più il tempo di andar per grotte in territori dove gli abitanti erano sempre più ostili verso gli italiani. A far cadere ogni progetto ven­ne nel 1938 la definitiva rottura tra Boegan e la Società Alpina delle Giulie – di cui era vicepresidente – che utilizzò il fondo cas­sa della Commissione Grotte per lavori nei rifugi alpini. Già da allora la Commissione Grotte era considerata una strana conventi­cola di individui dall’inesplicabile ed insana predilezione per il sottosuolo, una sorta di lontani parenti di basso ceto dai comporta­menti imprevedibili, da trattare senza molti riguardi. E fu così che l’amareggiato e triste Eugenio ruppe ogni rapporto con il sodalizio nel quale militava da 45 anni. Il volume sul Timavo uscì verso la fine del 1938 e l’intera tiratura fu consegnata alla Società, la quale non seppe curarne la distribuzione. Infatti a metà degli anni ’50 c’erano ancora nella sof­fitta della sede di via Milano alcuni cassoni pieni di questi libri, nei quali l’autore aveva riversato i risultati delle indagini di una vita operosa e tenace. Allo scoppio della guerra Boegan era già molto malato, poi sembrò essersi ripreso, ma la morte lo colse il 19 novembre 1939, sembra per le complicanze di una grave forma di diabete che lui sicu­ramente trascurò, avendo anche perduta la voglia di vivere. Fedele alla sua ermetica riservatezza, Boegan non ha mai parlato di se stesso per cui, al fine di far un po’ di luce sulla sua sfug­gente personalità, non ci resta che far ricor­so ad intuizioni più che a incerte deduzioni. Anche di certe tappe importanti della sua esistenza si sa poco o nulla, a cominciare dall’indirizzo degli studi e del momento in cui fu assunto con la qualifica di idrologo dalla Società Aurisina che si occupava del riforni­mento idrico di Trieste. Nulla ci è noto della missione in Croazia ed in Bosnia Erzegovina, dove c’era il problema dei periodici allaga­menti dei ponor carsici e ancor meno egli parlò della fuga dal campo d’internamento in cui era stato chiuso nel 1915, mentre è co­perta dal segreto militare la collaborazione con il Comando della Terza Armata, incari­cata di conquistare Trieste, che gli valse la nomina a cavaliere. In una data imprecisata Eugenio trovò il tempo per prendere moglie, ma senza che nessuno l’abbia vista e tanto meno sia stato nella loro casa di via Boccac­cio. L’aver portato gli scampati del Bertarelli a ringraziare la Madonna di Lipizza lascia in­tendere che sia stato credente, se non pro­prio religioso praticante e che, come tale, non abbia mai prevaricato sul suo prossimo. Insomma una persona fondamentalmente onesta e di buoni costumi che visse in modo semplice, con il pensiero sempre rivolto al Carso ed alle sue grotte, al punto di non aver avuto l’occasione di coltivare una vera ami­cizia. Fin qui ho esaminato le qualità morali di quest’uomo schivo che, a quanto risulta, non si occupò di altre cose, ed ora è neces­sario scandagliare quali sono i risultati delle sue ricerche, escludendo a priori la possibi­lità di definirlo uno scienziato. È stato senza dubbio un compulsivo raccoglitore di dati spesso fine a se stessi e non suscettibili di una qualsiasi interpretazione, e mi riferisco in particolare a quelli catastali, che dopo il 1914 furono accettati all’ingrosso, senza il rigore vigente in precedenza. Boegan si fida­va dei suoi strumenti, che sapeva utilizzare al meglio, ma poi non seppe ricavare dalla sue misurazioni qualche ipotesi che potesse spiegare l’enorme divario delle portate del Timavo cosiddetto soprano rispetto a quel­lo delle scaturigini di San Giovanni di Duino, dove anche nei periodi di grande siccità fuo­riescono, nelle 24 ore, almeno 800 mila m3 d’acqua. Ora sappiamo che i bacini imbriferi di superficie corrispondono solo in parte con gli acquiferi ipogei, tra i quali vi sono travasi impensabili che forse non saranno mai de­finiti, e ciò malgrado la scoperta recente di quattro grotte sul fondo delle quali scorre una corrente idrica. Il nostro caro Boegan fece quanto era possibile con le risorse ed i metodi investi­gativi del suo tempo e oggi si sorride guar­dando la sezione del Carso – apparsa in varie pubblicazioni – la quale ipotizza che il Timavo, incanalato in un’unica galleria, scor­ra al di sotto di una serie di grotte il cui fondo si avvicina di più all’acqua di base, un’idea commovente nella sua ingenuità. Al di là delle facili critiche, Boegan merita tutto il rispetto e l’ammirazione dovuti a co­loro che si sono dedicati con inesausta de­dizione e disinteresse ad una loro passione. Il suo nome sta su una targa stradale di Trie­ste, ma non c’è sull’Enciclopedia Treccani, E, a nostra vergogna, giace dimenticato in una modesta tomba di famiglia, sulla quale nessuno di noi ha da tempo posto un fiore. Da oltre cinquant’anni il Timavo non ha più le piene di una volta, quando i cavallo­ni fangosi erompevano tumultuosi da sotto i frontoni delle tre bocche. Ora nel quieto bacino del ramo Terzo i lunghi filamenti del­le piante acquatiche rivelano il lento fluire dell’acqua. Non lo vedo, però sento che Eu­genio Boegan sta accanto a me sulla spon­da del fiume che fu sacro alla sua mente e al suo cuore e qui, o nella Grotta di Trebicia-no, si sarebbe dovuto ricordarlo. Ma ormai è troppo tardi e averne legato il nome alla Commissione non è servito a perpetuare la sua memoria in un mondo in cui ciò che ap­partiene al passato non importa a nessuno.

Dario Marini

Ulteriori notizie su Eugenio Boegan si possono trovare in:

Anelli F., xxxx: Eugenio Boegan, Le Grotte d’Italia, s. II,
Cocevar C., 1968: Premio “Eugenio Boegan”, Rass. Spel. It., 20 (3/4): 263-264, Como 1968
Kobau – Cavalli S., 1990: Come conobbi il mio caro e vecchio amico Eugenio Boegan, Progressione 23: 54-55
Forti F., 1989: Il pensiero di Eugenio Boegan sull’idrologia carsica, Atti e Memorie, 28: 15-33
Forti F., 1998: Eugenio Boegan, Giovanni Andrea Perko, Franco Anelli, Progressione 38: 60-62
Forti F., 2002: Gli studi sul Fiume Timavo – Nel ricordo di Eugenio Boegan e di Guido Timeus. Alpi Giulie, 96, 1: 44-70, Trieste.
Galli M., 1999: Timavo. Esplorazioni e studi, suppl. 23 di Atti e Memorie CGEB, Trieste 1999, pp. 198
Galli M., 2000: La ricerca del Timavo sotterraneo, Museo Civico di Storia Naturale, Trieste 2000, pp. 174
Guidi P., 1990: Eugenio Boegan, a mezzo secolo dalla morte, Progressione 23: 53
Guidi P., 1990: Speleologia. Eugenio Boegan, Rivista del CAI, 111 (4): 60-67
Guidi P., 1990: Eugenio Boegan, il padre del Catasto, Speleologia 22: 39-40
Guidi P., 1994: Ricordati i presidenti Carlo Finocchiaro ed Eugenio Boegan, Progressione 31: 65-67
Marini D., 1986: Eugenio Boegan, in “Duemila Grotte”, di L. V. Bertarelli & E. Boegan, ristampa anastatica, Fachin ed., Trieste 1986,
Medeot L., 1940: Eugenio Boegan, Alpi Giulie, n. 1, Trieste 1940
Medeot L., 1940: Eugenio Boegan, Le Alpi, rass. mens. del CAI, annata 1939/1940: 120
Mottola S.,  1949: Ricordo di Eugenio Boegan, Alpi Giulie, 1949/II
Vianello M., 1965: Ricordo di Eugenio Boegan, Rass. Spel. It., 17 (1/4): 87-88
Vassallo M., 1999: Eugenio Boegan, Progressione 41: 55-56

Seneraro R., 2019: Quest’anno ricorre l’ottantesimo della morte di Eugenio Boegan: un’occasione per non dimenticarlo, un pretesto per rilanciare il suo messaggio, Sopra e Sotto il Carso Anno VIII N.7, 35-37

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