Relazione introduttiva alla Giornata di studio: “Lazzaro Jerko dieci anni dopo” – Trieste 4 dicembre 2009
Commissione Grotte “E. Boegan” – Società Alpina delle Giulie C.A.I. Trieste
Dipartimento di Scienze geologiche – Università degli Studi di Trieste
Dopo le pionieristiche ricerche dell’acqua per Trieste della metà Ottocento, che portarono alla scoperta della Grotta di Trebiciano, raggiungere il fiume sotterraneo in un altro luogo del Carso è stato per oltre un secolo il mito della speleologia sportiva triestina. Il sogno è stato coronato dalla Commissione Grotte “E. Boegan” nel novembre 1999 al fondo della Grotta Lazzaro Jerko, dopo più di 370 uscite di lavoro in tre anni, senza contarne una quarantina dal 1967 al 1971 ed una quindicina nel 1987, effettuate sempre dal medesimo nucleo di persone. Nei dieci anni trascorsi da allora le ricerche sul Carso hanno però conseguito altri risultati di importanza eccezionale. Tre nuove finestre sull’acqua sotterranea sono state aperte in territorio sloveno, anche qui con le tecniche e la perseveranza dei lavori minerari.
Nella prima, una grotta conosciuta da tempo ai margini della grandiosa dolina Risnik di Divača, ad opera del locale Jamarsko Društvo Gregor Žiberna, in 53 uscite di lavoro sono state rimosse imponenti ostruzioni di detriti, incontrando tra l’altro vecchie opere di scavo probabilmente realizzate alla fine dell’Ottocento, ciò che ha valso il nome di Abisso delle tre generazioni (B3G – Brezno treh generacij). Al suo fondo, nel novembre 2000, è stata raggiunta una galleria allagata, poi riconosciuta come il “lago Phare” situato all’estremità sud-orientale delle gallerie nuove della Kačna jama (l’Abisso dei Serpenti), in direzione della Grotta di S. Canziano (Škocjan) e a meno di un chilometro di distanza da quest’ultima (il sistema Kačna jama – B3G si estende oggi, dopo le esplorazioni del 2010, per più di 15 chilometri). Nel tentativo di trovare nella Kačna jama nuove vie di accesso al fiume sotterraneo, gli speleologi del J.D. Gregor Žiberna in collaborazione con gruppi della Repubblica Ceca hanno compiuto importanti nuove scoperte all’estremità del Ramo Occidentale ed al fondo del Ramo Meridionale, denominato a fine Ottocento “Sala della Recca” per il constatato rimontare dell’acqua durante le piene.
Le altre due finestre sono state scoperte dallo Jamarsko Društvo Sežana e rivestono una particolare importanza per la quota dell’acqua sotterranea – che si trova ormai prossima al livello di base – e per la loro posizione rispetto alla Grotta di Trebiciano e alla Grotta Lazzaro Jerko. Nel dicembre 2003 gli speleologi hanno raggiunto un corso sotterraneo nella Grotta di Kanjaduce, nei pressi di Sežana, già nota per i lavori eseguiti dall’ing. Polley all’inizio del Novecento. Una serie di pozzi conduce ad una grande galleria percorsa dall’acqua, lunga 450 metri, con un dislivello di circa 30 metri tra il sifone di entrata e quello di uscita.
Nel gennaio 2004 gli stessi uomini hanno concluso l’esplorazione della terza finestra: l’Abisso della Stršinkna dolina nei pressi di Orlek, dove hanno scoperto un’ampia galleria allagata a 340 metri di profondità, lunga più di 300 metri. E’ stato il coronamento di quasi sei anni di lavori, iniziati con lo svuotamento della dolina d’ingresso con una pala meccanica. La corrente d’aria delle piene ha quindi indicato la via giusta da seguire, fino alla difficile risalita di un alto camino che immette nei grandi pozzi terminali della cavità.
In posizione intermedia tra questo abisso e la Grotta di Trebiciano, poco oltre il confine di Stato, un difficile lavoro di scavo viene continuato per anni dalla Sezione Grotte dell’Associazione Alpina Slovena di Trieste (Jamarski Odsek SPDT) in un altro promettente “soffiatoio timavico”, che dovrà però rivelarsi come un secondo ingresso dell’Abisso della Stršinkna dolina (Il fiume sotterraneo viene raggiunto il 6 marzo 2011 dagli speleologi sloveni che hanno collaborato con i triestini in questa onerosa impresa).
Importanti risultati sono stati raggiunti dalle esplorazioni speleo-subacquee effettuate nell’aprile, giugno e agosto 2009 nella Grotta di Kanjaduce, dove sono stati superati il sifone di uscita ed altri due sifoni successivi, con un percorso di oltre 400 metri, fino ad una caverna cieca intasata di sedimenti sabbiosi dopo il terzo sifone. A monte e a valle del primo sifone giungono nel corso sotterraneo consistenti apporti in cascata di acqua sporca e maleodorante, battezzati dagli speleologi Sežanska sramota (la vergogna di Sežana) di probabile provenienza dal vicino impianto di trattamento dei reflui, che evidentemente non li depura. E’ stato così constatato direttamente ciò che avviene in decine di altri luoghi nel Carso, dove acque nere si immettono direttamente nella circolazione idrica sotterranea.
Un’altra grande spedizione speleo-subacquea ceca e ungherese, con l’appoggio del gruppo Gregor Žiberna, nel luglio 2009 è riuscita a superare il sifone di uscita all’estremità settentrionale del Cimermanov Rov, nelle gallerie inferiori della Kačna jama, percorrendo 700 metri di nuove gallerie e di grandi vani (ulteriori 330 metri sono stati esplorati nell’agosto 2010). Un altro passo è stato in tal modo compiuto per seguire il misterioso corso sotterraneo della Reka, nel tratto di 5-6 chilometri in cui scende dai 150-180 metri di quota della Kačna jama ai pochi metri sul livello del mare nelle altre “finestre” di cui si è detto.
Da ricordare infine la scoperta della prosecuzione al fondo della Gabranca nella valle di Košana, con un grande scavo nei detriti concluso nel gennaio 2000 dal DZRJ Luka Čeč di Postojna, raggiungendo i 214 metri di profondità. La grotta come noto è normalmente l’inghiottitoio di un modesto ruscello, ma nei periodi di piena diventa una risorgiva con 3-4 m3/s di portata. Sarebbe interessante effettuare una consistente marcatura dell’acqua al momento dell’inizio della sua decrescita anche per poter valutare i rapporti con la circolazione sotterranea del Carso di questo inghiottitoio, nel quale scaricano i reflui inquinatissimi del vicino allevamento di polli di Neverke.
Anche in territorio italiano le ricerche speleologiche sono proseguite in questo decennio, con risultati promettenti ma non ancora definitivi. Dopo la scoperta della Grotta Lazzaro la Commissione Grotte Eugenio Boegan ha effettuato grandi lavori nella Grotta Gigante, raggiungendo per il momento la quota di una ventina di metri s.l.m., in uno stretto meandro che viene allagato in occasione delle piene. Altri lavori nella Grotta Nuova di Prosecco hanno consentito di giungere fino alla quota di 5 metri s.l.m. in un pozzo fangoso con tracce evidenti della temporanea presenza dell’acqua. Come per il vicino Abisso Massimo, si tratterà di accertare se si tratti di accumuli di acqua di percolazione o se invece sussiste un effettivo collegamento con il drenaggio profondo del Carso durante le piene, collegamento che è stato appurato nell’Abisso dei Cristalli dall’esame dei fanghi depositati. Un buon risultato esplorativo, con i 307 metri di profondità finora raggiunti, è stato conseguito con la campagna di scavi nell’Abisso Luca Kralj, dedicato alla memoria del pioniere dei lavoratori delle grotte, il primo a raggiungere il fondo della Grotta di Trebiciano. Lo scavo in una valle chiusa sulla dorsale collinare di confine ha reso accessibile questa interessante cavità, che per il momento termina con una strettoia alla quota di 41 metri s.l.m., ma i lavori sono soltanto temporaneamente sospesi. Sono tuttora in corso gli scavi nel Pozzo presso il casello ferroviario di Fernetti (87 VG), un altro degli accessi certi al fiume sotterraneo, segnalato fin dal 1851 da Adolf Schmidl e situato a circa metà distanza tra la Grotta Lazzaro e la Grotta di Trebiciano; dopo 165 uscite di lavoro, la profondità raggiunta per il momento non supera il centinaio di metri, ma la tenacia degli esploratori si mantiene ancora intatta.
Grandi lavori sono stati effettuati anche dal Club Alpinistico Triestino, dapprima nella storica Grotta dei Morti, nella quale è stata accertata l’impossibilità di proseguire, dopo aver superato di alcuni metri la fessura della tragica mina del 1866; quindi nell’Abisso di Rupingrande, dove è stata finora raggiunta la quota di 40 metri s.l.m. Il ritrovamento a quella profondità di crostacei cavernicoli, abitatori abituali delle acque di fondo, conferma la loro temporanea risalienza nella cavità durante le piene.
La Società Adriatica di Speleologia a sua volta ha portato avanti il suo progetto di realizzare nella Grotta di Trebiciano un sistema di acquisizione di parametri fisici abbinato ad una linea di trasmissione in fibra ottica, collegata con la Stazione Sperimentale Ipogea situata all’esterno a circa 500 metri di distanza, in modo tale da consentire un monitoraggio dei dati in tempo reale. Inoltre un gruppo di speleologi della medesima Società conduce da anni un difficile scavo a circa un chilometro dalla grotta verso Fernetti, in quella che era conosciuta come la “dolina delle Cloce”, nella quale la corrente d’aria ascendente faceva gorgogliare l’acqua piovana durante le piene; la profondità raggiunta è di 178 metri (235 metri nel 2010) ma la determinazione a continuare è sorretta dai buoni indizi e dalla certezza del risultato finale. Interessanti le osservazioni eseguite dagli stessi speleologi sui flussi d’aria, in uscita o in aspirazione, causati dalle piene del corso sotterraneo in questa grotta e nelle grotte di Trebiciano, 87 VG e Lazzaro, con diverse interpretazioni delle sequenze di attivazione.
In questo decennio sono anche proseguite le ricerche idrologiche, già avviate in precedenza, sulle acque sotterranee del Carso. Il Dipartimento di Scienze geologiche (ora Dipartimento di Geoscienze) dell’Università di Trieste ha continuato il monitoraggio in continuo, con strumentazioni di registrazione miniaturizzate per la misurazione di pressione (livello dell’acqua), temperatura e conducibilità elettrolitica. Oltre alle stazioni sistemate negli anni Novanta nella Grotta di S. Canziano (Ponte Hanke), nella Grotta di Trebiciano, nel Pozzo dei Colombi, alle risorgive del Timavo e nel lago di Doberdò, ne sono state poste altre saltuariamente nella Grotta Lazzaro, nella Grotta Lindner, alle sorgenti di Aurisina, nel lago di Pietrarossa, nella Grotta di Comarie e, più recentemente, al fondo del grande pozzo nella galleria Hanke della Grotta Skilan e nella perforazione piezometrica P1, effettuata nei pressi di Opicina per lo studio di fattibilità della galleria ferroviaria del Corridoio 5.
L’analisi dei dati registrati ha aperto nuovi interrogativi sulla circolazione profonda del Carso, evidenziandone la complessità e la differente dinamica a seconda dell’intensità delle precipitazioni e della loro distribuzione, se diffuse sull’intero bacino imbrifero del Timavo oppure localizzate soltanto sul bacino della Reka o sull’altopiano carsico. Infatti le variazioni di temperatura e conducibilità, se presentano in genere un andamento concordante (abbassamento dei valori in corrispondenza dell’onda di piena), in diversi casi presentano un trend opposto le une rispetto alle altre e talvolta non si verificano affatto, lasciando intravvedere situazioni di miscelazione ed altre di completa sostituzione dell’acqua – di provenienza diversa – nelle grandi condotte freatiche. Al livello di base, le variazioni dei parametri chimico-fisici di norma sono successive all’aumento del livello idrometrico, indizio di una iniziale trasmissione dell’onda di piena per pressione, seguita appena in un secondo tempo dall’arrivo dell’acqua della piena vera e propria. Talvolta invece le variazioni precedono l’aumento di livello, forse per l’effetto pistone su acque residenti in circuiti secondari o forse per l’aumento della velocità di deflusso che si verifica prima dell’aumento del livello vero e proprio. L’aumento di livello infatti non è sempre e soltanto una vera e propria onda di piena di tipo torrentizio, ma può essere anche l’effetto del rigurgito da valle verso monte causato dall’aumentare della portata, da restringimenti delle canalizzazioni o dalla confluenza a valle di altri apporti interdipendenti. E’ stato inoltre osservato che nella Grotta di Trebiciano e nella Grotta Lazzaro quasi sempre si verifica, a 10-20 ore dall’inizio della piena, un consistente arrivo di acque più conduttive, interpretato come un effetto-pistone sulle acque di riserva, a circolazione probabilmente più profonda ed in circuiti laterali rispetto alle grandi condotte del drenaggio principale. Si è constatato infine che in alcuni casi portate molto alte a S. Canziano provocano soltanto modesti incrementi nella Grotta di Trebiciano, dove invece altre volte le variazioni dei parametri rivelano l’arrivo, soprattutto nelle fasi iniziali della piena, di apporti estranei al corso sotterraneo della Reka. A loro volta le risorgive del Timavo aumentano in certi casi la portata senza incrementi sensibili nella Grotta di Trebiciano oppure, al contrario, non risentono di moderate piene registrate nella grotta. Ne deriva un quadro complessivo molto articolato e di difficile interpretazione, mutevole nei vari regimi idrologici, complicato dall’esistenza di vie di drenaggio ancora sconosciute ed indipendenti dai siti monitorati.
Da parte slovena, nell’ambito del Programma idrologico internazionale dell’UNESCO, a fine anni Novanta è stata realizzata sulla Reka – studiata come “bacino sperimentale” – una sofisticata stazione di monitoraggio, integrando l’idrometro del mulino di Cerkvenik (Cerkvenikov mlin) con un misuratore ultrasonico Doppler della velocità dell’acqua e sistemando più a monte, nei pressi della dismessa stazione di pompaggio dell’acquedotto, strumenti per la campionatura automatica – con registrazione dei dati ogni 10 minuti – dei sedimenti in sospensione e per la misurazione della temperatura, torbidità, conducibilità elettrolitica, pH e ossigeno disciolto. Funzionante per alcuni anni, la stazione è servita a raccogliere una grande quantità di dati sul trasporto degli inquinanti nell’acquifero carsico.
Inoltre nel 2005 dataloggers per la registrazione in continuo di livello, temperatura e conducibilità sono stati collocati nella Grotta di S. Canziano (Lago Martel), nella Kačna jama, nella Grotta di Kanjaduce e nell’Abisso della Stršinkna dolina, rilevando alcuni significativi episodi di piena; in uno di essi, l’abnorme aumento di livello nella Grotta di Kanjaduce fa supporre il contributo di un affluente sconosciuto a valle della Kačna jama. Sulla base dei dati raccolti, Franci Gabrovšek e Borut Peric hanno applicato un modello matematico per lo studio della dinamica delle piene nelle canalizzazioni sotterranee.
Da parte slovena sono stati effettuati anche due tracciamenti a cura dell’Istituto per le Ricerche Carsiche (Inštitut za Raziskovanje Krasa) di Postojna, uno nella discarica di Sežana, l’altro nell’alveo della Reka nei pressi di Gornje Vreme; hanno collaborato per le campionature in territorio italiano l’ACEGAS ed il Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università di Trieste. Nell’aprile 2005 sono stati immessi in un karren al margine della discarica 38 kg di uranina dilavati con 12 m3 d’acqua per trasportare il tracciante attraverso la zona vadosa fino al livello di base. Protratta per un anno la campionatura, con prelievi giornalieri al Timavo, sorgenti Sardos e sorgenti di Aurisina e più frequenti ancora alla stazione di pompaggio di Klariči (Brestovica) che alimenta l’acquedotto del Carso sloveno, è risultato che più del 90% del tracciante è fuoriuscito dalle risorgive del Timavo, con un picco di concentrazione a 23 giorni dall’immissione. Dopo un mese il tracciante è comparso in bassa concentrazione alle sorgenti di Aurisina e in concentrazione minima alle sorgenti Sardos e dopo 5 mesi, in tracce, nella stazione di pompaggio di Klariči.
Nell’ambito del programma di cooperazione transfrontaliera Interreg IIIA Italia-Slovenia, la nuova marcatura della Reka è stata eseguita il 4 settembre 2006 al contatto tra flysch e calcare, 300 metri a valle dalla stazione idrometrica di Cerkvenikov mlin e circa 7 km a monte della Grotta di S. Canziano (e delle ben note perdite nell’alveo inciso nella roccia calcarea, valutate a circa 1 m3/s in magra). L’interpretazione dei dati è stata resa a volte incerta a causa della piccola quantità di tracciante impiegata (5 kg di uranina) e dalla prolungata magra del fiume, con i fluorimetri registratori nelle grotte probabilmente rimasti fuor d’acqua per diversi giorni. Risulta comunque accertata la connessione con la Grotta di Kanjaduce – del resto già constatata con l’analisi degli impulsi di piena – con una curva delle concentrazioni regolare ed estesa nell’arco di 18 giorni; alle risorgive del Timavo il tracciante è comparso a 32 giorni dall’immissione, confermando la già nota velocità di deflusso delle acque carsiche in regime di magra.
Nel settore degli studi scientifici, oltre a vari lavori sul chimismo delle acque carsiche, Fabio Gemiti ed Enrico Merlak hanno pubblicato i risultati rimasti finora inediti della marcatura con tetracloruro di carbonio effettuata nel maggio 1982 nella Grotta Lindner, cavità che come è noto viene allagata – talvolta per più di 20 metri – durante le piene del Timavo maggiori di 40 m3/s, quando il livello idrometrico supera i 2 metri al Terzo Ramo. Il tracciante è stato immesso all’inizio della decrescita della piena ed è comparso quasi simultaneamente nelle sorgenti Sardos e nelle risorgive del Timavo (a circa 7 chilometri di distanza) dopo 9 giorni e 12 ore, con un tempo di fuoriuscita di circa 60 ore (lo stesso impiegato per lo svuotamento della grotta) ed una quantità restituita pressoché uguale alla quantità immessa. L’incongruenza con le conoscenze acquisite in precedenza sulle relazioni fra questi due importanti deflussi carsici è soltanto apparente. Si sapeva infatti, dal tempo del grande inquinamento organico della Reka, che travasi dal Timavo alle sorgenti Sardos avvenivano soltanto in occasione di forti piene ed apparivano in queste ultime sorgenti con almeno 24 ore di ritardo. In questo caso la comparsa simultanea del tracciante si spiega con la sua immissione nella circolazione sotterranea soltanto nella fase finale della piena, quando l’acqua inizia a decrescere nella grotta in quanto la pressione idraulica nelle grandi condotte profonde scende al punto da diventare inferiore a quella esistente nella zona epifreatica, consentendo all’acqua immagazzinata nei serbatoi laterali e nel reticolo di fessure alimentate dalla percolazione meteorica di penetrare nelle grandi condotte e di defluire attraverso le risorgive del Timavo. E’ un’ulteriore conferma che queste siano alimentate direttamente dalla Reka soltanto in condizioni di piena, con tempi di deflusso molto brevi (intorno alle 48 ore) e con acqua torbida, inquinata, con caratteristiche chimico-fisiche completamente diverse da quelle delle sorgenti Sardos (nelle quali le torbide sono invece molto deboli, rossastre e non grigio-brunastre come i fanghi del disfacimento del flysch). In condizioni normali e di magra nelle risorgive del Timavo sono invece prevalenti gli apporti della cosiddetta “falda carsica”, dotata di una piezometria più elevata delle acque del Timavo, come ha osservato Gemiti nel suo lavoro sulle sorgenti Sardos; in tali condizioni l’acqua di S. Canziano, in estrema diluizione, come si è detto impiega circa un mese per raggiungere le risorgive.
In Slovenia sono proseguite le indagini idrochimiche ed isotopiche dal dicembre 1998 al dicembre 2000 sull’acqua della stazione di pompaggio di Klariči (perforazione B-4) e, comparativamente, della perforazione B-3 poco distante, considerata rappresentativa della “falda carsica” locale; inoltre sull’acqua del Timavo, delle sorgenti Sardos, Moschenizze Sud e Moschenizze Nord, del canale di Sablici, del lago di Doberdò e dei fiumi Isonzo, Vipacco e Reka. La campionatura è stata eseguita di norma due volte al mese, ma anche più volte al giorno durante particolari episodi di piena, come nell’autunno 1999 e 2000. In base alle indagini sugli isotopi stabili dell’ossigeno e del carbonio e sui parametri chimico-fisici delle varie acque, Daniel H. Doctor ha ipotizzato il concorso alla circolazione sotterranea di tre principali componenti, in varie percentuali nelle diverse risorgenze e nei differenti regimi idrologici: gli apporti dell’Isonzo, gli apporti della percolazione meteorica (cui si sommano in maniera indistinta gli apporti della Reka per costituire la cosiddetta “acqua carsica”) e gli apporti dell’acqua di ritenzione carsica a lenta circolazione, caratterizzata da un’elevata concentrazione in cloruri e solfati per il presunto inquinamento delle attività umane e definita pertanto come il “componente antropogenico” (argomento peraltro non ancora adeguatamente chiarito). Sulla base dei parametri misurati, vengono calcolate le proporzioni di tali componenti nei principali deflussi carsici (Timavo, Sardos – Moschenizze Sud, Doberdò – Moschenizze Nord – Sablici, perforazioni dell’acquedotto di Klariči) con una valutazione del contributo delle acque isontine (20 m3/s nella media annua) notevolmente maggiore di quanto finora era stato supposto, argomento anche questo che dovrà essere oggetto di futuri approfondimenti. Notevole inoltre il tentativo di quantificare, sulla base dell’analisi delle curve di recessione delle portate del Timavo, la capacità totale d’immagazzinamento dell’acqua di fondo nel bacino sotterraneo del Carso, importante tema di discussione per la formulazione di un sempre più attendibile bilancio idrologico dell’acquifero.
Un ulteriore incremento alle conoscenze sull’idrografia del Carso Isontino è stato portato anche dalle ricerche effettuate dal Dipartimento di Scienze geologiche sui laghi di Doberdò e di Pietrarossa, con la rideterminazione di precisione della loro altimetria a mezzo di GPS differenziale e la sistemazione di stazioni di monitoraggio nei due laghi, sul fiume Vipacco e sull’Isonzo. L’analisi dei dati ha consentito una definizione più dettagliata dell’idrodinamica dei due laghi, in relazione soprattutto alle precipitazioni ed alle piene del Timavo; peraltro già gli esperimenti con le paratoie delle risorgive avevano suggerito l’esistenza di canalizzazioni dirette ed ampie tra queste ultime e il lago di Doberdò, dove le variazioni di livello sono state quasi immediate. Non ha portato invece a risultati definitivi il raffronto tra le piene dell’Isonzo e del Vipacco ed il raggiungimento del livello idrometrico massimo nei laghi carsici, trattandosi di apporti idrici che devono attraversare il materasso alluvionale adiacente alla roccia calcarea, attraverso il quale la trasmissione della pressione idraulica non è ancora chiaramente accertata nelle sue modalità (ed il tempo di transito dell’acqua della falda isontina è stato stimato – sulla base delle indagini isotopiche – a circa un mese fino alla zona delle risorgive).
Dati di grande interesse per la comprensione della circolazione idrica profonda si stanno ottenendo dal monitoraggio del piezometro di Opicina, una perforazione spinta una decina di metri sotto il livello del mare, nella quale l’acqua – sempre presente – in regime di magra si trova poco più bassa che nella Grotta di Trebiciano, mentre in occasione delle piene sale in misura variabile per decine di metri. La superficie piezometrica tuttavia non è da considerare continua e con la stessa conducibilità idraulica ovunque, in quanto non è detto che tutti i vuoti nella massa rocciosa siano sufficientemente continui, collegati ed ampi da consentire a tutto il volume ipogeo di riempirsi completamente e contemporaneamente. Per poter meglio chiarire questo dibattuto e fondamentale aspetto della dinamica della circolazione carsica sarà opportuno organizzare un sistematico monitoraggio nelle altre grotte temporaneamente allagate poco distanti (Nuova di Prosecco, Massimo e Cristalli) ma soprattutto nelle quattro finestre sul corso sotterraneo (Trebiciano, Orlek, Sežana e Monrupino), disponibili in tal numero per la ricerca scientifica come mai finora si era verificato, nella lunga storia degli studi sul Timavo. L’analisi dei parametri chimico-fisici dovrebbe essere naturalmente rapportata alla quantità ed intensità delle precipitazioni ed integrata dalla marcatura dell’acqua della Reka, da ripetere nei diversi regimi idrologici, in modo da verificare le sequenze di comparsa del tracciante nelle varie cavità e di poter meglio comprendere ciò che avviene nella profondità della massa rocciosa, in quello che Guido Timeus già cent’anni fa aveva ipotizzato come “un sistema reticolato di canali”. Maggiori saranno le conoscenze sull’idrodinamica del Carso e meglio sarà possibile attuare un’efficace tutela delle sue acque, risorsa che in futuro sarà sempre più preziosa e vulnerabile.
Mario Galli
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LAZZARO JERKO, DIECI ANNI DOPO
Convegno sul Carso Classico tenutosi il 04 dicembre 2009
Allo scopo di fare il punto sullo stato delle ricerche – partire dal presente per programmare il futuro – la Commissione Grotte “Eugenio Boegan” della Società Alpina delle Giulie sezione di Trieste del C.A.I. e il Dipartimento di Scienze geologiche, ambientali e marine dell’Università di Trieste hanno indetto un convegno sulle attuali conoscenze della idrografia sotterranea del Carso, che si è tenuto il 4 dicembre scorso nel teatro del comprensorio di S. Giovanni.
In apertura dei lavori Mario Galli, autore di alcuni apprezzati lavori sul Timavo, ha tracciato un quadro complessivo sulle ricerche effettuate in questi dieci anni, sia nel campo speleologico che geoidrologico, evidenziando la necessità di realizzare con gli Sloveni un coordinato programma di studi e di esperimenti di marcatura, ora che sono ben quattro, più la perforazione piezometrica di Opicina, le “finestre” che raggiungono l’acqua sotterranea del Carso.
Ha parlato poi Luciano Filipas, l’instancabile e caparbio animatore dei lavori nella Grotta di Lazzaro Jerko (e di quelli eseguiti successivamente nella Grotta Nuova di Prosecco, nella Grotta Gigante e nell’Abisso Luca Kralj) illustrando quanto resta da fare per rendere la grotta permanentemente accessibile, in vista della sistemazione al suo fondo degli occorrenti strumenti di monitoraggio. Attualmente infatti, dopo le grandi piene, rimangono allagati per lungo tempo i cunicoli che immettono nella caverna dove scorre il fiume sotterraneo.
E’ seguita la bella relazione di Matej Kravanja del Gruppo Grotte di Divaccia (Jamarsko Društvo Gregor Žiberna), corredata da splendide immagini, sul tema delle recenti scoperte effettuate nell’Abisso dei Serpenti (Kačna jama). E’ stato trovato, con grandi lavori di scavo, un nuovo accesso esterno all’estremità sud-orientale delle gallerie nuove della grotta (Abisso delle tre generazioni) e due anni or sono, in collaborazione con gli speleologi ceki, è stata esplorata un’interessante prosecuzione nel Ramo Occidentale. Nel luglio scorso infine, una grande spedizione speleo-subacquea ceka e ungherese, con l’appoggio del gruppo locale, è riuscita a superare il sifone di uscita all’estremità settentrionale delle gallerie inferiori (Cimermanov Rov), percorrendo 900 metri di nuove gallerie e di grandi vani. Lo sviluppo totale della cavità oggi supera i 14 chilometri.
Paolo Forti, chimico, docente di geomorfologia e speleologia all’Università di Bologna, ha poi tenuto un’interessante lezione di carattere generale sui parametri chimico-fisici che caratterizzano le acque carsiche.
Strettamente pertinente al tema del Timavo sotterraneo è stato invece l’intervento di Franci Gabrovšek, fisico, ricercatore dell’Istituto di Ricerche Carsiche di Postumia. Egli ha parlato del monitoraggio in continuo effettuato dal 2005 nella Grotta di S. Canziano, nella Kačna jama, nella Grotta di Kanjaduce e nell’Abisso della Stršinkna dolina, le due nuove “finestre” sull’acqua carsica in territorio sloveno, soffermandosi sulla dinamica di alcuni significativi episodi di piena.
Luca Zini, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze geologiche, ambientali e marine dell’Universitàdi Trieste, ha esposto le nuove acquisizioni sulla geologia del Carso ed in particolare sul preminente ruolo degli elementi strutturali (cioè della fratturazione della roccia) rispetto alla litologia (cioè la solubilità della roccia) a differenza delle vedute dei vecchi autori.
Sergio Dolce, direttore del Museo Civico si Storia Naturale, ha successivamente parlato sull’interpretazione dei traccianti biologici nelle acque sotterranee, soffermandosi in particolare sulle analogie e sulle differenze riscontrate nella Grotta di Trebiciano e nella Grotta di Lazzaro Jerko.
Dopo la pausa conviviale, non meno utile per stabilire diretti e amichevoli contatti tra gli artefici delle ricerche in corso, è seguito l’intervento di Rosana Cerkvenik, appartenente allo “Jamarsko Društvo Sežana” e collaboratrice del Parco delle Grotte di S. Canziano, con un dottorato di ricerca in corso di argomento speleologico. Ha parlato delle due nuove “finestre” sul fiume sotterraneo scoperte dal suo gruppo, a prezzo di grandi lavori, nei pressi di Sesana (Grotta di Kanjaduce) e di Orlek (l’Abisso della Stršinkna dolina), le quali rivestono una particolare importanza per la quota dell’acqua – che si trova ormai prossima al livello di base – e per la loro posizione rispetto alla Grotta di Trebiciano e alla Grotta di Lazzaro Jerko. Si è soffermata quindi sulle esplorazioni speleo-subacquee effettuate nei mesi scorsi nella Grotta di Kanjaduce, dove sono stati superati il sifone di uscita ed altri due sifoni successivi, con un percorso di oltre 400 metri.
Ha ripreso la parola Luca Zini con una dettagliata esposizione del monitoraggio in continuo realizzato in questo decennio dal Dipartimento di Scienze geologiche dell’Università di Trieste, con strumentazioni di registrazione miniaturizzate per la misurazione di pressione (livello dell’acqua), temperatura e conducibilità elettrolitica. L’illustrazione di particolari situazioni riscontrate, come l’andamento dei livelli nel piezometro di Opicina o la trasmissione degli impulsi tra il fiume Isonzo e il lago di Doberdò, è soltanto l’anticipazione di futuri approfondimenti sull’argomento.
E’ seguito l’intervento di Fabio Gemiti, già responsabile del laboratorio chimico dell’ACEGAS ed autore di importanti studi sull’idrodinamica del Carso, sia sotto l’aspetto teorico che sotto quello applicativo della gestione dei suoi deflussi. Ha parlato delle misurazioni di parametri chimico-fisici dell’acqua effettuate nella Grotta di Lazzaro Jerko subito dopo la sua scoperta, in confronto ai dati della Grotta di Trebiciano.
Sergio Piselli, l’attuale responsabile del laboratorio chimico dell’ACEGAS, ha poi illustrato i recenti studi effettuati sui deflussi carsici negli impianti dell’acquedotto per Trieste, soffermandosi sui sofisticati metodi statistici utilizzati per caratterizzare le varie acque sulla base dei loro parametri chimico-fisici.
Il presidente della Società Adriatica di Speleologia, Sergio D’Ambrosi, ha rievocato il lungo percorso della realizzazione della Stazione Sperimentale Ipogea nella Grotta di Trebiciano, con un sistema di acquisizione automatica di parametri fisici collegato con una linea di trasmissione in fibra ottica all’edificio situato all’esterno a circa 500 metri di distanza, in modo tale da consentire un monitoraggio dei dati in tempo reale.
Infine l’ex presidente della Commissione Grotte Eugenio Boegan, ha illustrato il programma di ricerche nella Grotta di Lazzaro Jerko che è stato elaborato già anni addietro, durante il suo mandato.
Il prof. Franco Cucchi Direttore del D.i.S:G.A.M.ed il Presidente della C.G.E.B. Louis Torelli hanno fatto da moderatori durante tutto l’arco della giornata informando il pubblico con tutte quelle notizie utili e correlabili agli argomenti trattati. L’iniziativa ha avuto molto successo. Sia da parte degli speleologi e ricercatori sloveni che italiani, è emersa l’esigenza di rinnovare manifestazioni di questo tipo al fine di aggiornarsi periodicamente sullo stato del monitoraggio delle acque carsiche profonde che interessano i nostri due paesi. Dopo la caduta dei confini dunque si ripropone con vivacità la problematica della conservazione dei bacini e degli acquiferi sotterranei anche per una più corretta fruizione delle risorse primarie di questo tipo. Tematica e approccio condivisi dal vice presidente della Provincia di Trieste Walter Godina intervenuto con l’assessore Rossi del comune di Trieste, (responsabile per l’area educazione), al convegno. Godina ha auspicato una maggiore sensibilità delle amministrazioni pubbliche sul tema ricordando come l’acqua in quanto fonte primaria di sostentamento e bene comune debba in qualunque caso essere protetta attraverso una moderna rete di monitoraggio che in questa circostanza in parte esiste già grazie agli sforzi degli speleologi e ricercatori italiani e sloveni. Infine l’assessore Rossi già partecipe alle varie fasi della scoperta della grotta Impossibile nel 2004 (allora era assessore ai lavori pubblici), ha rimarcato l’importanza anche a livello educativo e formativo per le nuove generazioni per un tema così importante, che sicuramente merita molto più spazio anche all’interno di un percorso didattico tradizionale.
Infine è emerso che i nostri due stati hanno un bene e una responsabilità comune per la salvaguardia del fiume Timavo (Reka) che, si inabissa alle grotte di San Canziano, ora parco protetto dall’UNESCO, fiume che percorre lungo un tracciato sotterraneo in direzione ovest per sfociare alle bocche del Timavo di Duino (San Giovanni in Tuba). Gli speleologi e ricercatori in materia di idrologia sotterranea ne conoscono una minima parte del percorso. Torelli ha ricordato durante il convegno, che nel 2001, nella grotta Lazzaro Jerko vide un bel branco di trote filare veloci in superficie attraverso le acque timaviche del grande lago della sala “Polley”posta a 300 metri di profondità sotto il comune di Monrupino. L’auspicio è che attraverso una conoscenza più approfondita si crei una cultura speleologica esplorativa volta alla salvaguardia ed alle tutela di questo fragile ecosistema invisibile ai più.
Trieste 08 dicembre 2009
La Redazione C.G.E.B.