La zona “subliminare”

 

La zona “subliminare”

La zona “subliminare”, di oscurità parziale, detta anche “Zona delle Pteridofite” o “Zona delle Felci”, in un tipico pozzo carsico è compresa fra i 15 ed i 25 m di profondità. E’ generalmente contraddistinta da una luminosità che da 1/200 giunge ad 1/700 di quella esterna. Vi sono incluse quelle specie che di norma costituiscono la cosiddetta “flora cavernicola”. Qui colonizzano abitualmente due felci: il Polipodio sottile (Polypodium interjectum) e la Lingua di cervo o Lingua cervina (Phyllitis scolopendrium).
Polypodium interjectum è relativamente ben diffuso nella fascia prealpina friulana orientale, nella quale però non risulta vincolato né a fenomeni carsici epigei né a quelli ipogei; preferisce piuttosto gli ambienti umidi di gole, forre e di fondo valle con boschi evoluti, con particolare predilezione per le stazioni rupestri calcaree. Si sviluppa, infatti, su substrato ad elevata rocciosità, in boschi ad Acero montano e Frassino maggiore (Aceri-Tilietum, Phyllitido-Aceretum), comunque a quote inferiori ai 600 m di altitudine (Poldini & Toselli, 1981, 1982).
Polypodium interjectum, sul Carso triestino, occupa sia i versanti rocciosi delle doline – specialmente se baratroidi ed asimmetriche – sia le pareti strapiombanti di numerose voragini e pozzi ove può ben esprimere la sua vigorìa vegetativa e riproduttiva (Poldini & Toselli, 1981, 1982), certamente meglio di quella manifestata dalle altre due specie di Polypodium (P. vulgare, P. cambricum ssp. serrulatum) presenti pure sul territorio. Polypodium interjectum è stato sinora rilevato in circa 100 cavità dell’altipiano delle 150 prese in considerazione per gli aspetti speleovegetazionali. Si sviluppa sempre su substrati rigorosamente calcifili.
Particolarmente rigoglioso appare nel Baratro presso Monrupino (4444 VG), nel Baratro del casello ferroviario di Opicina Campagna (4989 VG), nell’Abisso fra Fernetti e Orle (157 VG), nella Fovèa Persefone (185 VG), nella Fovèa Maledetta (822 VG), nel Pozzo di Gabrovizza (“Berlova Jama”, 823 VG), nella Grotta Noè (90 VG), nell’Abisso della Volpe (155 VG), nel Pozzo presso Gropada (“Pignatòn”, 273 VG) e nella Voragine di San Lorenzo (“Oslinka Jama”, 294 VG).
Phyllitis scolopendrium è pure presente nella zona “subliminare”, ove si associa generalmente ad un Muschio, la Plagiochila delle caverne (Plagiochila asplenioides f. cavernarum), formando una tipica cenosi: l’associazione della Lingua di cervo e della Plagiochila delle caverne (Phyllitido-Plagiochiletum cavernarum Tomazic 46). In essa, quali specie differenziali di associazione, Livio Poldini include l’Ortica mora montana (Lamiastrum montanum), la Falsa ortica (Lamium orvala f. Wettsteinii) ed il muschio Thamnium alopecurum. Per quanto riguarda i rapporti tra l’ambiente ed i gruppi di specie e di individui (sinecologia), questa associazione rappresenta un aspetto ricorrente della zona subliminare, scendendo in essa sino alla profondità limite dei 25 m.
La Lingua di cervo, sino ad alcuni decenni addietro maggiormente diffusa nelle cavità carsiche, oggi tende a regredire da esse. Ciò è probabilmente dovuto alla variazione climatica in atto (Polli S., 1980).
Le attuali condizioni climatiche sull’altipiano carsico denotano infatti regimi più secchi e meno continentali, con temperature invernali meno rigide e con minor quantità di precipitazioni (diminuzione del 10% negli ultimi decenni), pur meglio distribuite: potrebbero queste essere le principali cause della progressiva rarefazione o, come è avvenuto in diversi casi, della totale scomparsa di Phyllitis scolopendrium da alcune cavità dell’altipiano.
Misure microclimatiche della temperatura, dell’umidità relativa e della radiazione luminosa in due voragini carsiche (Grotta Noè, 90 VG, e Abisso di Bonetti, 765 VG), tendenti a scoprire il comportamento dell’aggregato Polypodium associato a Phyllitis scolopendrium, furono eseguite nel 1982 da Poldini e Toselli.
Phyllitis scolopendrium è attualmente presente in 47 cavità carsiche anche se in diverse di esse i nuclei nastriformi sono pochi e scarsi e, ad ogni successivo sopralluogo e rilievo, si nota come essi tendano progressivamente a rarefarsi. Da indagini in tal senso (Polli E., 1995), risulta che diverse altre cavità presentavano, sino a non molti decenni addietro, P. scolopendrium: ad esempio la Grotta Gigante (2 VG), la Grotta dell’Orso (7 VG), l’Abisso del colle San Primo (160 VG), la Grotta del Bersaglio Militare (1778 VG) e la Grotta del Frassino (2432 VG).
Le due cavità in cui la felce si presenta per contro in modo addirittura lussureggiante sono il Baratro a N di Bristie (Baratro “Phyllitis”, 3763 VG) e la Grotta del monte Napoleone (4286 VG) presso Slivia. Altre Fanerogame che si possono rinvenire in questo ambiente sono il Geranio roberziano o Erba cimicina (Geranium robertianum), l’Actea (Actaea spicata), l’Ortica mora (Lamiastrum montanum), la Lattuga di muro (Lactuca muralis) e la Moehringia a tre nervi (Moehringia trinervia). Talvolta, in ambienti relativamente frequentati e visibilmente antropizzati, possono svilupparsi anche le Parietarie (Parietaria diffusa, P. officinalis), l’Ortica (Urtica dioica), la Celidonia (Chelidonium majus) e, in qualche sporadica occasione, anche la Fitolacca (Phytolacca americana), le cui bacche sono usate per la colorazione del vino. Non manca quasi mai l’Edera (Hedera helix) che, in lunghi festoni pendenti e con foglie di forma diversa, conferisce un coreografico e pittoresco aspetto a tutto l’ambiente. Spesso vi figura pure il Sambuco (Sambucus nigra), sia in esemplari di ragguardevoli dimensioni, sia in fase di plantule.
Oltre alle due Felci poco sopra considerate (Polypodium interjectum e Phyllitis scolopendrium), si può agevolmente individuare in questa fascia, ma con minor frequenza, un’altra Pteridofita: l’Erba rugginina (Asplenium trichomanes). Spesso questa presenta qui fronde depauperate ed incomplete, denotando di conseguenza evidenti differenze strutturali, come pure il ridotto spessore delle fronde, che appaiono costituite da pochissimi strati di cellule. Numerosi contributi di K. Dobat (1970, 1981, 1988, 1997), relativi all’evoluzione speleo-vegetazionale dall’ambiente esterno a quello interno di una cavità, anche in prossimità di sorgenti luminose, mettono in evidenza come Asplenium trichomanes sia la felce ipogea più comune, superando per la sua valenza ecologica tutte le altre specie. Questo fatto era peraltro già stato osservato da Ivancich (1926) che la considerava come la vera felce cavernicola potendo essa vegetare, in forma sterile, ancora ad un’intensità luminosa pari a 1/1380 di quella esterna. A seconda delle condizioni di luminosità, essa può presentarsi allo stato fertile oppure sterile.
Le Briofite (Epatiche e Muschi), già peraltro ben presenti nella zona “liminare” di vegetazione (ad esempio Neckera crispa, Anomodon viticulosus e Thuidium tamariscinum), accentuano qui, oltre che la loro rigogliosità, anche una maggiore varietà di forme.