Evidenze diluviali pleistoceniche

CONSIDERAZIONI SULLE EVIDENZE DILUVIALI PLEISTOCENICHE ACCERTATE SUL CARSO TRIESTINO POSTE A CONFRONTO CON SITUAZIONI IDROGEOLOGICHE E GEOMORFOLOGICHE PRESENTI IN DIVERSE AREE PREALPINE ED ALPINE

Pubblicato su HYDRORES – Anno 2006-7
Premessa
Le ricerche condotte per una trentina d’anni sui depositi di riempimento e sulla loro evoluzione, nelle doline e sulle situa­zioni morfologiche degli stessi depositi pre­senti nelle grotte, hanno portato ad una serie di considerazioni e di valutazioni, nel rite­nere che nel corso del Pleistocene tali depo­siti, tipicamente alluvionali, siano dovuti ad intensi e prolungati fenomeni diluviali. Va ricordato che la scienza ufficiale ritiene invece che il Pleistocene sia stato caratteriz­zato da morfologie condizionate da lunghi, complessi e morfologicamente indefiniti “periodi glaciali”, a cui si sono intercalati in misura alquanto approssimativa altri “periodi interglaciali”.
Troviamo infatti in E Forti (1995) e E Forti & Fu. Forti (2005) le prime considera­zioni dubitative dell’esistenza di climi definiti “glaciali” e quindi particolarmente “freddi”, da ricerche eseguite soprattutto sul Carso ed in contrapposizione viene segnalata invece, una lunga serie di motivazioni genetico-mor­fologiche, di un clima caldo-umido altamente piovoso (diluviale), che ha caratterizzato, con fasi alterne, tutto il periodo considerato.
Il dubbio sulla presenza di climi freddi sul Carso nel corso di un generico Pleistocene, è stato maturato anche dall’osservazione che negli ultimi 10-12.000 anni (Olocene), si è in presenza di una profonda variazione tipolo­gica del concrezionamento calcitico, molto bene documentata nelle grotte a galleria. I depositi di concrezioni calcitiche (stalagmi­tici in particolare), si sono morfologicamente modificati in conseguenza di un evidente rallentamento dello stillicidio e conseguen­temente anche della tipologia morfologica riguardante la crescita, loro evoluzione ed una decisa modificazione cromatica, dal giallo-rossastra al bianco. Si è avuta così conferma che proprio nel corso del Pleistocene, si era verificato un notevole aumento dello stillici­dio e quindi si è avuta una rapida ed assai dif­fusa crescita delle stalagmiti e soprattutto, un largo sviluppo delle concrezioni in generale. Tutto ciò non poteva essere condizionato altro che da una piovosità continuata e intensa, per dei periodi di molte decine, se non addirittura di centinaia di migliaia di armi e caratterizzato da una climatologia piuttosto caldo umida e quindi assolutamente non fredda.
Per una migliore comprensione di questa importante situazione riguardante l’evolu­zione climatica di tipo “diluviale”, nello stu­dio di F. Forti & Fu. Forti (2005), vengono elencate diverse situazioni morfologiche esterne (esogene) relative al Carso triestino, chiaramente determinate da alte piovosità. Sono descritte delle spiccate morfologie ero­sive e di accumulo, dovute ad acque torrenti­zie, che a quel tempo, nelle diverse condizioni meteorologiche rispetto ai climi olocenici ed attuali, scorrevano copiose sulle superfici car­siche e producevano dei solchi torrentizi, per evidente erosione meccanica (rotolamento di sassi e massi calcarci e dolomitici).
In seguito, nel corso dell’Olocene, con la cessazione delle grandi piovosità, sono stati osservati numerosi segni residuali di tali morfologie, assolutamente non legate a morfologie “gla­ciali” ed ancora, del tutto anomale in riferi­mento alle attuali condizioni climatiche.
                                                                                 FABIO FORTI – FULVIO FORTI