PROFILO SPELEOBOTANICO-VEGETAZIONALE
Pubblicato sul n. 48 di PROGRESSIONE – anno 2003
“BURRONE DI BASOVIZZA”(69/118 VG) SULL’ALTIPIANO CARSICO TRIESTINO
PREMESSE
Numerose sono le cavità, di passata e recente scoperta, che si aprono nel territorio carsico circostante il paese di Basovizza. Molte di esse risultano interessanti sotto aspetti diversi: morfologico, idrologico, storico, folkloristico, faunistico e vegetazionale. Una trentina circa sono quelle incluse nel Bosco Igouza, una pineta vecchia di 110 anni, attualmente in fase di rapida conversione a boscaglia illirica, situata nella zona che si estende immediatamente a nord-nord-est dell’abitato sino al confine di Stato con la Slovenia. In una lieve depressione di questo particolare ambiente si apre ad esempio la Grotta Skilan (5070/5720 VG) che, allo stato attuale, detiene sia il primato di maggior sviluppo (6350 m) fra gli ipogei del Carso triestino che quello di massima profondità, con un dislivello complessivo di 380 m. Ma si segnalano nel Bosco Igouza pure altre cavità di una certa importanza, soprattutto idro-morfologica, quali ad esempio la Grotta della Neve (1147/3468 VG) e la Grotta Silvia Lauri (2660/4879 VG). La prima, ad andamento prevalentemente orizzontale, si apre con uno stretto ingresso nell’uniforme boscaglia, alla quota di 386 m, 100 m a sud-est della dolina “Konjske staje”. Individuata da Dario Marini (CGEB) nel 1959 in una giornata in cui la coltre nevosa era spessa una quarantina di cm e rilevata dallo stesso speleologo il 9 novembre del 1969 assieme a C. Cocevar, la cavità presenta uno sviluppo complessivo di 256 m, con due pozzi interni di 8 e di 20 m. Se è vero che all’interno si rivela piuttosto complessa, è altrettanto vero che essa elargisce al visitatore suggestive quinte con sfavillanti concrezioni calcitiche. Una nota interessante è data dal fatto che la grotta fu visitata dall’uomo in epoche remote, come lo testimonia il rinvenimento di un gruppo di basse stalagmiti, fra le quali vi figuravano, al momento della scoperta ed ordinatamente appoggiati, alcuni tronconi di stalattiti. La seconda, dedicata alla memoria di Silvia Lauri, si apre alla q. di 388 m sul fianco orientale di un’ampia dolina (“Rence staje dolenje”). E’ stata scoperta e quindi rilevata (4 maggio del 1975) da G. Nicon e B. Vigna del Gruppo Grotte “De-beljak”. Lo sviluppo è di 215 m e la profondità complessiva di 63 m. E’ costituita da una successione di pozzi (quello d’accesso è di 22 m), di caverne e di gallerie ben concrezionate dalle quali si sono progressivamente materializzate pittoresche e scintillanti colate calcitiche accompagnate da splendidi fiori cristallini. Il fondo è occupato da copioso materiale di crollo da cui emergono blocchi calcarei di notevoli dimensioni. Nel passare in rassegna gli ipogei del Bosco Igouza non si può però tralasciarne uno, il Burrone presso Basovizza (69/ 118 VG), rilevante soprattutto sotto il profilo speleobotanico. Prendere in considerazione gli aspetti vegetazionali di questa profonda e ragguardevole cavità baratroide costituisce lo scopo essenziale del presente contributo. Dal punto di vista climatico, il territorio nel quale si apre il pozzo appartiene alla 6.a zona. In essa gli influssi, ancora temperati, denotano tuttavia caratteri marittimo-mediterranei già sensibilmente attutiti. Prevalgono invece, nell’arco dell’anno, notevoli aspetti subalpini continentali. La bora, anche se un po’ deviata ed attenuata dal Monte Cocusso, si riversa ancora con molta violenza soprattutto sulla zona piuttosto aperta, compresa fra Basovizza e Trebiciano. Le brezze marine risultano moderate, non tanto per la distanza dall’ambiente marino, quanto per l’ostacolo prodotto del sollevamento marginale carsico. Infatti esse sono notevoli ed accentuate solamente sul versante più elevato del Monte Cocusso. Nella sottostante tabellina viene riportata la situazione dei principali caratteri del clima (temperatura dell’aria in °C, precipitazioni in mm, umidità relativa in %), propri della località di Basovizza e, per puro confronto, a quelli di Padriciano-Banne (Area di Ricerca), Borgo Grotta Gigante e Trieste. I dati si riferiscono al trentennio 1951-80 per Basovizza e per Padriciano-Banne, al periodo 1967-2001 per Borgo Grotta Gigante ed al decennio 1985-1994 per Trieste.
Località | Quota m | Temperatura media annua (°C) | Precipitaz. media annua (mm) | Umidità rel. media dell’aria (%) |
Basovizza | 375 | 11,1 | 1145,0 | 71,0 |
Padriciano-Banne | 360 | 11,2 | 1180,0 | 69,0 |
Borgo Grotta Gigante | 275 | 12,1 | 1344,7 | 69,0 |
Trieste | 11 | 14,5 | 1132,2 | 66,0 |

IL BURRONE DI BASOVIZZA (69/118 VG)
L’ampia cavità baratroide, conosciuta anche come “Pozzo a Nord di Basovizza”, “Fovèa o Foiba Zaganghe” (“Zagovje”) e “Namenlöser”, fu indagata e descritta per la prima volta da Eugenio Boegan, il 19 ottobre 1895. Nella sua relazione, Boegan segnalava pure l’altro stretto ingresso che tuttora sprofonda presso l’orifizio principale e che sbocca in quest’ultimo a circa 20 m di profondità. Il pozzo veniva tuttavia considerato dall’illustre speleologo come appartenente alla “serie comunissima di tanti altri sparsi sulla Carsia”, non presentando, a suo parere, né un grande interesse né una rilevante attrattiva. Ciò non di meno, lo studioso – al cospetto di altri ipogei simili a questo – ne riteneva meritevole sia la visita, sia il rilievo che la descrizione. Si sarebbero raccolti così dei preziosi dati, essenziali per “poter un giorno ricostruire l’idrografia di età remote, e ritrovare le acque scomparse che lasciarono indubbie tracce della loro presenza nell’erosa superficie della Carsia”. Un successivo rilievo, ad opera di Ottavio Mavricich, risale al 20 settembre 1931. Secondo i dati tratti da questo speleologo, la cavità, che si apriva alla quota di 386 m, era profonda complessivamente 46 m, con un primo pozzo di 36 m. La lunghezza totale era di 24 m. Un ulteriore rilievo, dovuto a Dario Marini e Gianfranco Tomaselli – effettuato il 26 agosto 1957 – confermava in linea di massima le precedenti misure, ad eccezione della lunghezza, che veniva precisata in 15 m. L’ultimo aggiornamento, relativo all’ipogeo, è quello di Giorgio Nicon, del Gruppo Grotte “Carlo Debeljak” (1 novembre 1978). Era stata allora riscontrata una minore profondità del pozzo e la causa di ciò andava probabilmente ricercata nella grande quantità di legname gettatovi in seguito ad uno sfoltimento del bosco. Veniva pure segnalato e rappresentato nel rilievo (scala 1:100), a 6 m di distanza dall’orlo del Burrone, il pozzo più stretto comunicante, 20 m più in basso, con quello principale. Un riposizionamento regionale, con GPS differenziale ed a cura di M. Manzoni, risale al 2000. Le coordinate geografiche della cavità, relative alla Tav. 1:25000, F° 53A N.E. “S. Dorligo della Valle”, Ed. 5.a, 1959-62, sono le seguenti: lat.: 45° 39′ 13,3″ N; long.: 1° 25′ 01,0″ E. M. M.; q. ingresso 386 m, q. fondo 340 m. Secondo la Carta Tecnica Regionale (CTR 1:5000), Elemento 110113 (Padriciano), le coordinate geografiche sono invece le seguenti: lat.: 45° 39′ 18,3″ N; long.: 13° 52′ 10,1″ E Gr.; q. ingresso 390 m, q. fondo 344 m. Attenedosi pure all’elemento della precedente CTR, risultano anche disponibili le coordinate metriche (GPS): long. 2431850 e lat. 5056272. Se ci si riferisce infine al Progetto Cartografico Europeo (EHRENDORFER & HAMANN, 1965), la cavità si trova nella sezione e quadrante “M.te dei Pini -0349.I. c”, relativa all’area di base “103/49 Basovizza”. Per raggiungere il fondo del burrone, che si presenta pianeggiante e cosparso di detriti, è opportuno scendere lungo il pozzo più stretto, separato da quello principale da un sottile diaframma roccioso. Dal fondo stesso si può procedere attraverso una stretta fenditura nella parete e raggiungere due vani sormontati da alti camini, nei quali si deve scendere con molta attenzione superando alcuni salti formati da pietrame piuttosto instabile. Si ricorda che nella grotta, alla conclusione dell’ultima guerra, giaceva una gran quantità di ordigni esplosivi di vario genere; questi furono successivamente rimossi dal Gruppo Rastrellatori.
LA VEGETAZIONE NEL POZZO
L’ambiente nel quale si apre il Burrone di Basovizza è rappresentato, come già inizialmente detto, da una vecchia pineta (Bosco Igouza) in fase di riconversione a boscaglia, con prevalenza in essa del carpino nero (Ostrya carpinifolia) e dell’orniello (Fraxinus ornus) rispetto alla roverella (Quercus pubescens), visibilmente qui infrequente. Per quanto riguarda più specificatamente l’aspetto vegetazionale della zona esterna circostante la cavità, esposta alla luce diretta (zona liminare), si possono individuare, nello strato arboreo-arbustivo, alcuni carpini neri (Ostrya carpinifolia), qualche corniolo (Cornus mas), un paio di cerri (Quercus cerris), alcuni esili ornielli (Fraxinus ornus) e qualche raro esemplare di biancospino (Crataegus monogyna). Sul margine ovest, due notevoli tigli (Tilia cordata) protraggono i loro lunghi rami sull’ampia voragine. Più a sud-ovest, su un’infida cornice rocciosa, si sviluppa la non comune fusaria rugosa (Euonymus verrucosa). Euonymus verrucosa, individuabile soprattutto per la corteccia verde cosparsa di numerose piccole verruche nere più che dal fiore di piccole dimensioni, è un elemento SE – Europeo-Pontico che predilige boschi submediterranei (querceti) e cespuglieti degradati. Sull’altipiano carsico triestino colonizza siti ombrosi e talvolta, come in questo caso, ripiani e cenge di pozzi, burroni e cavità baratroidi. Nello strato erbaceo posto sul margine settentrionale – esposto a meridione -si sviluppa, relativamente abbondante, il pungitopo (Ruscus aculeatus). Questa Liliacea tende pure a scendere nel pozzo per circa 4-5 metri, beneficiando della radiazione luminosa che vi perviene ancora con un certo vigore. Nella sottostante zona subliminare (compresa fra i 6 ed i 18 m di profondità), abbastanza umida e muscosa e nella quale la luce penetra in modo piuttosto frammentario ed attenuato, si trovano quasi commisti sia il polipodio sottile (Polypodium interjectum) che la lingua di cervo (Asplenium scolopendrium). Queste due felci colonizzano i vari ripiani ed i gradini rocciosi che la cavità mette qui in evidenza. I nuclei della lingua di cervo sono particolarmente rigogliosi ed un paio di essi, d’un verde brillante, sono costituiti da una quindicina di lunghe fronde. Si ricorda, a tale proposito, che la lingua di cervo non è molto diffusa sull’altipiano carsico triestino. Attualmente essa è presente in poco più di quaranta cavità catastate. Da alcune di esse, a causa della variazione climatica in atto, in questi ultimi anni la specie va rarefacendosi. Non manca peraltro, nelle fessure delle rocce, l’erba rugginina (Asplenium trichomanes), la felce più abbondante nelle cavità carsiche ma anche in tutto il territorio del distretto triestino. Altre specie, che si possono osservare in questa fascia, esposta ad una radiazione luminosa attenuata, sono la comune edera (Hedera helix), la mercorella ovale (Mercurialis ovata), la dentaria a nove foglie (Dentaria enneaphyl-los), l’erba limona comune (Melittis me-lissophyllum), la lattuga dei boschi (Myce-lis muralis), il geranio di San Roberto (Geranium robertianum), il sigillo di Salo-mone Polygonatum multiflorum) ed il ciclamino (Cyclamen purpurascens). Più in basso, ad una profondità che varia dai 18 ai 30 m circa, con l’evidente diminuzione sia della radiazione luminosa che della temperatura, scompaiono quasi del tutto le felci e subentrano in maniera preponderante i muschi (zona suboscura), qui molto rigogliosi. Nella sottostante zona oscura (dai 30 ai 46 m di profondità), che si accentua sul fondo del pozzo (q. 344 m) e nella quale i raggi luminosi non riescono più a penetrare, si possono riscontrare soltanto scarse fronde sterili di muschi cui si sostituiscono, ben presto ed in modo deciso, popolazioni stabili di alghe (soprattutto Cianoficeae). Il fenomeno dell’inversione termica nell’ipogeo è molto accentuato, soprattutto nel corso delle mattinate – e specialmente dopo una notte calma, con cielo sereno o con bora molto leggera di precoci periodi primaverili. Nel periodo invernale, data la brevità del riscaldamento solare, si può avere una sequenza di settimane durante le quali, nella zona prossima al fondo, permane costantemente aria fredda e, in caso di nevicate, l’accumulo di una duratura coltre nevosa. In tali condizioni si possono formare delle stalattiti e stalagmiti di ghiaccio di vario spessore. La cavità, analogamente a diverse altre presenti sul Carso triestino, è sede dell’allocco (Strix aluco). Mentre risultano rare nel Bosco Igouza le zone prative o relativamente aperte, e così pure quelle di orlo o con ampie radure, numerosi sono per contro gli avvallamenti e le doline, anche di notevoli profondità e dimensioni, talvolta a schietto carattere baratroide, che si aprono in esso. In alcune di queste risulta molto sensibile il fenomeno dell’inversione termica, con la conseguente particolare distribuzione della vegetazione che assume talvolta spiccati connotati subalpini o continentali. Si ricorda a tale proposito in località “Nad Lanišče” il “Baratro del Poly-stichum”, di recente rilevamento ma non ancora catastato, che include un’inedita stazione di felce aculeata (Polystichumaculeatum). Anche alcuni avvallamenti, situati lungo la fascia di confine di Stato, presentano aspetti morfologici baratroidi con una flora tipica di tali ambienti, comprendente ad esempio la felcetta fragile (Cystopteris fragilis) e, ancora nelle adiacenze, la rara felce certosina (Dryopteris carthusiana).
Polypodium interjectum. (Foto E. Polli)
Principali specie speleobotaniche all’imboccatura della 69/118 VG. Rilevamento botanico a cura di Elio Polli. (Dal rilievo di Dario Marini e Gianfranco Tomaselli, CGEB – 26 agosto 1957)
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Con l’esame speleovegetazionale del Burrone di Basovizza si è compiuto un ulteriore passo

verso una conoscenza più approfondita della flora cavernicola dell’altipiano carsico triestino. È stata così qui considerata, sotto il profilo botanico, una cavità piuttosto interessante del territorio; cavità che, proprio per l’appartata e complessa ubicazione – non esisteva sino a qualche anno addietro l’estesa rete di sentieri che attualmente ne sfiora i margini – veniva individuata nei tempi passati quasi sempre con una certa difficoltà. E di conseguenza risultava poco frequentata. La situazione botanica della cavità, pur priva di specie di grande o d’estremo interesse, è comunque degna di nota e potrà fornire un prezioso contributo nel tentativo di conoscere, nel modo più completo possibile, gli aspetti sia della flora cavernicola del territorio carsico ma anche di quella a carattere più generale.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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Elio Polli