LA SITUAZIONE GEOCARSICA DELLA GROTTA LAZZARO JERKO (NOTIZIE PRELIMINARI)
PREMESSA
Lo studio di questa nuova cavità del Carso Triestino, sul cui fondo si trovano acque che dalle prime valutazioni idrologiche e biologiche, fanno ritenere trattarsi di quelle del Timavo ipogeo, necessita di una lunga serie di ricerche in tutti i campi.
Il presente lavoro tratta principalmente della parte geologica e morfologico-carsica che interessa un’area di stretta pertinenza della cavità, notizie queste reperite nella vasta letteratura esistente in materia.
Sulla grotta in particolare, vengono fatte solamente delle considerazioni geologico-strutturali e geomorfologiche che vengono poi confrontate con precedenti indagini eseguite nella Grotta di Trebiciano, per le evidenti similitudini genetico-evolutive.
STRUTTURA GEOLOGICA
L’accesso alla cavità si trova sul fianco orientale di una modesta dolina posta poco a Nord della Conca di Percedol, tra la strada che da Opicina porta a Monrupino e il rilevato della linea ferroviaria un tempo nota come “Transalpina”. La dolina e I’area circostante è stata parzialmente modificata proprio dall’esecuzione del tracciato ferroviario, avvenuta nei primi anni del XX Secolo.
Dal Foglio Geologico 1:75.000 “Triest und Capodistria” di G. Stache pubblicato a Vienna nel 1920, si rileva che la posizione dell’ingresso della grotta è posto quasi al limite tra il “Repener Strandkalk, Rudistenbreccienkalk” ed il “Hauptradiolitenkalkstufe des Karstes”. Identica situazione la troviamo nella Carta Geologica dei dintorni di Trieste 1 : 100.000 di F. Blasig, pubblicata a Trieste nel 1921, i cui orizzonti geologici sono tratti dallo Stache e solamente tradotti in: “Calcare di Monrupino e brecce con Caprina” e “Calcare Radiolitico principale”. Invece dalla Carta Geologica delle Tre Venezie 1 :100.000 di 6. Martinis, “Gorizia Fo 40”, pubblicato a Firenze nel 1951, la posizione della cavità è semplicemente compresa nelle rocce del Turoniano in generale Calcari in prevalenza grigi e chiari, spesso cristallini oppure brecciati ricchi di Rudistae e Chondrodonta johannae. Tutto ciò è stato ricavato dalla cartografia geologica ufficiale.
Nel 1987 e poi anche nel 1989, ad opera di F. Cucchi et altri, tutta la successione stratigrafica carbonatica compresa nella “Formazione dei calcari del Carso Triestino”, venne a sua volta suddivisa in diversi membri e, in particolare l’area in esame dovrebbe trovarsi tra il “Membro di Zolla” inferiormente ed il “Membro di Borgo Grotta Gigante”. A proposito di quest’ultimo membro, comprende ben sette diversi orizzonti litostratigrafici istituiti a suo tempo da G. Stache, compreso quindi il “Repener Strandkalk ecc.” sopra citato.
Secondo delle indagini del tutto preliminari, la successione dei pozzi della cavità fino alla profondità di 120 m dal piano di fondo della dolina è tutta compresa in un’orizzonte molto simile ai “Calcari nerastri e grigi” del Cenomaniano superiore, per la prima volta segnalati da F. Forti & T. Tommasini nel 1967, lungo una sezione geologica condotta dal Monte Lanaro alla località Cedas, sezione questa abbastanza prossima alla zona in esame. Più sotto e fino alle grandi caverne finali, la successione dei pozzi, dei cunicoli, dei brevi tratti in gallerie, la litologia è data dalle “Dolomie cristalline grigie” del Cenomaniano medio-superiore, sempre secondo l’interpretazione data da F. Forti & T. Tommasini nel 1967.
Tale orizzonte dolomitico corrisponde al: “Obere Dolomitstufe, ecc.” di G. Stache nella carta geologica del 1920 ed infine al “Membro di Rupingrande” di F. Cucchi et altri del 1987 e 1989. Sempre dalle indagini preliminari sulle rocce che compaiono nelle grandi caverne finali, sembra che qui la successione stratigrafica sia data da dei calcari scuri a stratificazione piuttosto fitta. Del resto una situazione geologica consimile è stata accuratamente studiata per la Grotta di Trebiciano, da F. Forti, R. Semeraro & F. Ulcigrai nel 1979.
Dai rilievi è stato riscontrato infatti che in particolare nella parte inferiore della Caverna Lindner, la roccia è prevalentemente costituita da dedolomiti, con una dedolomitizzazione anche piuttosto intensa. Si auspica che con altrettanta precisione venga eseguito il rilievo litologicostratigrafico e geomorfologico-carsico, anche per la Grotta Lazzaro Jerko. Per quanto riguarda la successione carbonatica nella prima parte costituita da pozzi di questa importante grotta, è da sottolineare che gli affioramenti esterni ci indicano un calcare grigiastro, piuttosto impuro a Foraminiferi, con potenze stratigrafiche pluridecimetriche, mentre nella parte corrispondente al “Pozzo Nero”, dove gli ambienti sono particolarmente stretti, il calcare è decisamente più scuro, nerastro e nero-bituminoso, a stratificazione più fitta (decimetrica) e laddove ha inizio il “Pozzo Milic” entriamo nella zona delle dolomie. A proposito di questo orizzonte calcareo grigio-nerastro intercalato tra le dolomie ed i “Calcari di Monrupino”, non era stato segnalato nei lavori geologici di G. Stache, almeno per quanto riguarda la parte sudoccidentale del Carso Triestino. Per contro, nel Foglio Geologico 1 :75.000 “Goerz und Gradisca” sempre dello Stache, si osserva che nella parte settentrionale del Carso (Comeno) e nordorientale, tra le dolomie (inferiormente) ed i “Calcari di Monrupino” (superiormente), compare un: “Obere Kalkstufe, Hornsteinkalke und Kalkschiefer mit der Fischfauna von Komen”. Forse, questi calcari nerastri e grigi potrebbero essere una facies un po’ eteropica di questo “Obere Kalkstufe etc.” che lo Stache potrebbe non aver considerata come tale e quindi non segnalato la sua presenza (tra le dolomie ed i Calcari di Monrupino), nella parte sudoccidentale del Carso. È questa un’ipotesi di lavoro ancora tutta da verificare!
Dal punto di vista geostrutturale a più ampio orizzonte, l’area carsica comprendente la Conca o Dolina di Percedol e l’allineamento di altre piccole doline poste a settentrione, è interessata dalla presenza di una faglia con il piano (o vari piani subparalleli) ad andamento subverticale, orientata secondo SSW-NNE, di tipo trascorrente. Tale faglia inizia dalla “soglia dell’Obelisco” e prosegue verso settentrione fino ad incontrarsi con un’altra grande faglia anche questa di tipo trascorrente, ma ad andamento dinarico, compresa in territorio sloveno, nell’area posta tra i Torrenti Branizza e Rasa. Tutti questi elementi strutturali sono stati ripresi dai lavori di A. Cavallin et alii del 1978 per la realizzazione della Carta Neotettonica d’Italia. Sembra che questa faglia, nel caso della dolina ove si apre la Grotta Lazzaro Jerko, passi un po’ ad E della dolina stessa.
Va osservato inoltre che mentre l’andamento generale della direzione della stratificazione per la parte nordoccidentale del Carso Triestino è orientata secondo NW-SE, tra Rupingrande e Monrupino, almeno per la parte stratigraficamente inferiore della successione carbonatica, tende invece ad orientarsi nettamente secondo W-E. Infatti proprio nell’area compresa tra Monrupino e Fernetti, si assiste alla tendenza della stratificazione a stabilirsi tra la suborizzontalità ed una debole immersione verso S e SSE.
Secondo L. Ballarin & R. Semeraro in uno studio molto dettagliato della geologia del Carso di Trieste, relativo alla competenza del Comune di Trieste, pubblicato nel 1997, viene osservato che nell’area compresa tra Percedol, Monte dei Pini e Basovizza, l’asse dell’anticlinale del Carso appare ruotato in senso antiorario, dando luogo a delle deboli culminazioni anticlinaliche locali, attorno a Fernetti ed al Monte Gaia di Gropada. Praticamente in questo tratto si passa dunque ad una stratificazione ad andamento ondulato, segnalata anche da F. Cucchi, F. Forti & F. Ulcigrai in uno studio del 1976, sulle relazioni tra tettonica e morfogenesi della Dolina di Percedol. Questa ricerca voleva segnalarci che le doline si aprono preferibilmente in corrispondenza di pieghe anticlinali, in cui i sistemi di fessurazione di tipo tensionale dovrebbero essere più frequenti e soprattutto maggiormente beanti e quindi di più incisiva possibilità dissolutiva.
Partendo ora dal fondo delle doline, al di sotto di esse si sviluppano necessariamente delle cavità ad andamento prevalentemente verticale che drenano tutte le acque meteoriche, le quali hanno portato, portano e porteranno in soluzione, tutti quegli enormi volumi di roccia, che nel momento attuale, costituiscono lo spazio vuoto che da luogo alla morfologia “dolina”.
Strutturalmente molto simile alla Lazzaro Jerko, uno degli esempi più classici è dato dalla Grotta di Trebiciano, citata anche da J. Cvijic nel 1960 in un lavoro postumo, in cui trattando della: … formation des gouffres, aven et abimes du type Trebic, ci dice che: … Nous avons vu que la plupart des avens sant des dolines reliées à de petites grottes aveugles assez rapprochées de la surface. Questa cavità, di 329 metri di profondità, si apre sul fianco NW di una modesta dolina posta a 341,23 m s.l.m.; l’area circostante corrisponde ad una culminazione anticlinalica secondaria, per cui i piani di stratificazione nell’area della dolina hanno un andamento pressochè suborizzontale.
La grotta è costituita per i primi 273 m, partendo dal fianco della dolina, da una successione di 15 pozzi verticali, interrotti da brevi vani di raccordo. Al loro fondo si apre una vasta cavità, la Caverna Lindner, alta circa 60 m e lunga secondo l’asse maggiore oltre 150 m. Nella parte più bassa della caverna si trova un corso d’acqua che è stato identificato come Fiume Timavo.
Per quanto riguarda la Grotta Lazzaro Jerko, questa ha 298 metri di profondità, si apre sul fianco orientale di un’altra modesta dolina, posta a 302 m s.l.m. Anche questa grotta per circa 240 m è costituita da una successione di pozzi ed al loro fondo si trovano due ampie gallerie (Caverna Medeot e Caverna Polley), alte una quarantina di metri e lunghe nel complesso circa 400 metri, congiunte da un basso passaggio.
GEOMORFOLOGIA DELLA GROTTA LAZZARO JERKO
Per quanto riguarda l’aspetto geomorfologico generale della Grotta Lazzaro Jerko, si osserva che la cavità si apre dalla parte più acclive del fianco della dolina, dove inizia con una serie di pozzi. Quelli del ramo Est nei primi 20 metri, sono in roccia, mentre quelli del ramo Ovest, sono stati forzatamente aperti in un corpo di frana, fenomeno questo abbastanza tipico per le doline del Carso Triestino. Queste frane sono costituite da degli ammassi di blocchi di calcare delle dimensioni medie di 50×50~30 cm, frammisti a massi del volume anche di 1 mc. Intercalati tra questi grossi clasti sono presenti dei detriti, che vanno a costituire nell’insieme un certo tipo particolare di sedimento piuttosto uniforme e compatto. Tutti i clasti sono a spigoli vivi e nell’insieme vi è anche una frazione argillosa, limitata ad alcune sacche. Si suppone che questa scarsa presenza di sostanze argillose sia dovuta all’attività di una circolazione idrica proveniente dalla soprastante dolina, che ha gradualmente drenato in profondità i sedimenti più fini.
La situazione di frana si sviluppa continua fino a circa 80 metri di profondità. Sarà comunque necessario eseguire una campionatura di questo corpo di frana per I’individuazione delle litologie presenti ed i rapporti di questi clasti con le rocce affioranti nell’area circostante la dolina. Segue una successione di stretti pozzi in roccia impostati nei calcari nero-bituminosi, in molti casi certi passaggi sono stati allargati artificialmente, poichè erano costituiti da “fessure” debolmente beanti.
Proprio dove hanno inizio questi calcari neri, si diramano lateralmente dei vani ad andamento suborizzonale, con piccoli pozzi di approfondimento, dal lato esplorativo da considerare ciechi. Questo fenomeno di solito sta ad indicare una ritenzione idrica, che è causata dalla sottostante presenza di calcari da classificare come poco carsificabili o meglio a carsificabilità ridotta.
Tale successione di calcari neri ha termine all’incirca a 120 metri di profondità, da dove partono verso il basso dei pozzi molto più ampi, con diametri anche di 4-6 metri che si sono sviluppati nelle dolomie grigie e grigio-scure cristalline a struttura saccaroide. Le pareti dei pozzi sono solcate da evidenti forme di erosione selettiva, con presenza di lame astrutturali di roccia e piccoli ponti naturali, indici questi di una notevole erodibilità (azione meccanica) da parte delle acque in caduta.
Un interessante fenomeno si osserva all’inizio del primo pozzo di 40 metri in cui appare un fortissimo caso di consumazione dissolutiva su di un bancone di concrezione calcitica parietale, in cui nei profondi solchi scavati dalle acque, viene posta in evidenza la struttura interna di accrescimento della colata.
Fenomeni di dissoluzione assai spinta SU rocce e concrezioni calcitiche sono stati più volte segnalati in diverse cavità del Carso. Nella maggioranza dei casi si tratta di fenomeni dovuti a stillicidi di acque che superiormente al punto di consumazione, hanno circolato in calcari nero-bituminosi.
Un classico esempio si trova nella cosidetta Ultima Sala della Pisani rov (Grotta del Tricolore) del grandioso sistema delle Grotte di Postumia. Una parte di questa “sala” risulta tutta fortemente concrezionata, mentre l’altra metà ne è completamente priva ed i massi rocciosi ai suolo con forati dallo stillicidio. E evidente che in questa parte della cavità le acque sono fortemente aggressive e, osservando le rocce affioranti sulla volta della cavità, vi è un evidente passaggio (forse per faglia) da calcari chiari fossiliferi (che danno luogo ad uno stillicidio costruttivo) a calcari nero-bituminosi (che danno luogo ad uno stillicidio distruttivo). Secondo alcuni Autori questo fenomeno sarebbe dovuto alla presenza di “sostanze” acidoaggressive nei calcari neri, oppure qualche situazione “ionica” che tende a produrre questo particolare “effetto dissolutivo”.
Lungo le pareti del pozzo si osservano delle morfologie erosive determinate da una gradinatura nelle dolomie che pongono in rilievo le parti più grossolane e compatte di queste rocce. Alla base del 2” pozzo di 40 metri ed in particolare sul successivo di 15 metri, vi sono dei sedimenti limosi fini grigi e grigio-scuri, debolmente sabbiosi con una classe granulometrica anche questa piuttosto fine. Si tratta di sedimenti che sono risaliti dalle parti più profonde della cavità e dopositati dalle piene del sottostante fiume sotterraneo, sono materiali di sicura origine flyschoide e provenienti dall’alta valle del Timavo. Dopo tutta questa serie di pozzi verticali, la morfologia nella cavità cambia radicalmente.
Uno stretto passaggio dà adito ad una serie di gallerie e cunicoli suborizzontali, il cui fondo è completamente riempito da sedimenti limosi ed argillosi sciolti. Sulle volte di queste gallerie vi sono molte cupole di erosione con diametri variabili dai 10 ai 50 cm.
Queste particolari morfologie fanno pensare ad un’antica circolazione idrica scorrente sulla volta della galleria causa il suo quasi completo riempimento da parte dei sedimenti sciolti. Viste le particolari dimensioni e frequenza di queste cupole si può supporre che la corrente idrica sia stata notevole ed abbastanza costante per tempi piuttosto lunghi. Al termine di questi stretti passaggi, la galleria sbocca in una caverna più vasta, dove il fondo è sempre costituito da notevoli ammassi di materiali limosi sciolti. Con un salto di 15 metri si raggiungono finalmente le grandi gallerie finali della grotta, dove scorre il fiume. Le pareti sono in genere verticali, con degli slarghi, nelle zone dove scorrono le acque. Anche qui lungo i bordi della galleria sono costantemente presenti i sedimenti sciolti, mentre altre parti di questi grandi vani sono occupate dalle acque scorrenti.
Nella zona dove si trova il sifone terminale il fondo è tutto occupato da massi e blocchi di crollo dalle dimensioni di alcuni metri cubi. Crolli questi del resto largamente presenti nelle grandi caverne, dove il rilascio di blocchi rocciosi viene condizionato dal loro isolamento lungo i piani di discontinuità della roccia sia stratigrafici sia deformativi (fratture).
Ciò in particolare è più probabile in una cavità come questa dove vi è il concorso tra le acque di provenienza meteorica diretta (drenaggio verticale potere prevalentemente dissolutivo) e l’enorme forza meccanica delle acque scorrenti, che nelle piene raggiungono la volta esercitando anche notevoli pressioni dinamiche. Tutte le discontinuità della roccia vengono così fortemente sollecitate, con un progressivo allargamento in corrispondenza delle fenditure e dei piani di strato, resi gradulamente sempre più beanti, fino al manifestarsi di questi collassamenti, che vanno ad innalzare progressivamente la volta della cavità, creando un’enorme cupola o nicchia di distacco, mentre al suolo avviene la formazione di un grande fologia in lingua tedesca viene chiamata “lnkasion”. Il fenomeno del grande ampliamento di queste vaste gallerie fluviali, può essere in parte anche dovuto al diverso tipo di roccia qui presente.
Dalle dolomie, come abbiamo già accennato, si passa inferiormente ad un calcare grigio, grigio-scuro micritico, che nella Grotta di Trebiciano è stato classificato come una dedolomite, probabilmente maggiormente carsificabile ed anche erodibile, che potrebbe aver contribuito a questo ampliamento dei vani. Dovrà essere eseguita una fitta campionatura delle rocce affioranti nelle caverne finali per stabilire la litologia qui presente e la sua appartenenza stratigrafica, nella successione delle rocce carbonatiche del Carso Triestino.
GENESI ED EVOLUZIONE DEL SISTEMA CARSICO: DOLINE POZZI GALLERIE
Considerando la grande importanza che rivestono le doline nella genesi ed evoluzione di queste due importanti cavità, vediamo di valutare in senso generale, questi punti di partenza anche di altre interessanti cavità del Carso.
Come è stato dimostrato dalle ricerche speleologiche protrattesi sul Carso ormai da quasi due secoli, è comunque piuttosto raro che dai fianchi o dai fondi di queste depressioni chiuse (le doline), si possa arrivare direttamente nella zona freatica od in quella delle acque di fondo. Molte doline del Carso Triestino, talvolta dopo grandi opere di scavo, hanno mostrato l’apertura di profonde grotte la cui esplorazione si è interrotta per diversi motivi, il più delle volte a causa dei depositi di riempimento, che ne hanno impedito ogni prosecuzione. In particolare ciò è stato osservato nell’area compresa tra Opicina, Trebiciano, Fernetti, in cui è presente anche quella culminazione anticlinalica, più sopra citata, dove per i noti fenomeni distensivi dei sistemi di fessurazione della roccia, viene ipotizzato che l’incarsimento sia stato più spinto che altrove. Esiste dunque in questi casi una maggiore probabilità di raggiungere le acque sotterranee in zona freatica.
Per quanto riguarda un raffronto geomorfologico tra la Grotta Lazzaro Jerko e la Grotta di Trebiciano, vi è una forte somiglianza almeno come concetto strutturale generale. Ambedue sono costituite da due tipi di cavità tra loro geneticamente indipendenti:
– La successione dei pozzi ad andamento prevalente verticale, la cui apertura si trova in due modeste doline ed un successivo sviluppo in zona vadosa, fino ad incontrare in modo del tutto occasionale le sottostanti gallerie freatiche. La successione dei pozzi ha dunque un’origine completamente diversa dalle sottostanti gallerie, anche come sequenza temporale.
– Le gallerie profonde, al momento attuale poste al limite della zona freatica, percorse da una cospicua corrente idrica, geneticamente dovrebbero appartenere ad un’antica fase carsica, iniziata in superficie e gradualmente trasferitasi in profondità, in una zona di equilibrio determinata da vari fattori geologico-strutturali e temporali.
Consideriamo ora brevemente le strutture a pozzo drenanti che iniziano nelle doline, ossia da quelle depressioni chiuse presenti largamente sulle superfici carsiche ed aventi una forma prossima ad un imbuto. Il loro bordo o perimetro esterno, nelle assise carbonatiche calcaree dotate di una carsificabilità medio-alta ed alta, è molto accidentato a causa di una più spinta degradazione meteorica selettiva ed è reso sempre bene evidente da affioramenti rocciosi molto elaborati da forme dissolutive talora assai spinte.
Il mantello del cono della dolina è costituito da rocce affioranti e da parti di esse mobilizzate, il suo fondo è generalmente non visibile perchè ricoperto da depositi argillosi, appartenenti per lo più alla classica “terra rossa”, per spessori di 4-5 metri. Al di sotto vi è generalmente tutto un caos di blocchi rocciosi che riempiono delle strutture dissolutive verticali ed irregolari, anche chiamate da alcuni Autori organi geologici. In corrispondenza dunque della parte più bassa della dolina, si trova la sua parte assorbente dove è presente un forte condizionamento evolutivo. Questa parte squisitamente drenante è costituita da diverse cavità a pozzo, a sezione cilindroide irregolare, impostate nella maglia delle fratture beanti. Ne fanno testo le altre strutture a pozzo indipendenti e subparallele, i numerosi camini, che si dipartono dalla successione dei pozzi di discesa per l’accesso alle grandi caverne terminali nelle due cavità considerate. In particolare nella Grotta Lazzaro Jerko, ne sono interessanti esempi i pozzi del Ramo Est, nonché nella stessa dolina, la Grotta Lazzaretto.
Sul Carso Triestino, in altre doline, le “terre rosse” che mascherano il loro fondo sono presenti talvolta con spessori di molte decine di metri. Ciò è stato possibile osservare nei casi dove si sono operati dei sondaggi meccanici per l’esecuzione di grandi opere pubbliche (autostrade). Risulta così che i pozzi drenanti le acque delle doline, in questi casi, sono ancora in tutto o in parte completamente otturati da questi depositi diluviali pleistocenici.
Anche nel lavoro di L. Ballarin & R. Semeraro del 1997, a proposito delle doline di grandi dimensioni come la Conca di Percedol e la Conca di Orle, viene affermato che: … notevoli sono i condizionamenti e le tracce del carsismo ipogeo, ma ciò come abbiamo più sopra considerato, vale anche per doline di modeste dimensioni. Tali fenomeni andrebbero di conseguenza geneticamente classificati tra le forme miste epi-ipogee. L’esistenza di forme del tipo pozzo riempite da sedimenti e frane, vanno a costituire le parti non visibili delle doline e ciò era stato supposto ancora ai tempi di W. Knebel nel 1906, dove vennero correttamente chiamate: Brunnenfoerrnigen Doline e tali concetti sono stati ripresi più tardi da F. Forti nel 1982. L’incontro di questi pozzi con le gallerie fluviali sottostanti va valutato dunque come un evento del tutto casuale, essendo la genesi delle due strutture carsiche di diversa impostazione.
Dal punto di vista geocarsico, in ambedue i casi si possono osservare infatti che queste morfologie sono derivate dalle due tipiche forme di carsimo:
– “Diretto” per le strutture verticali (i pozzi), dovute alla dissoluzione-erosione causata dalle precipitazioni meteoriche sulle assise carbonatiche.
– “Indiretto” per le correnti idriche in seno ai grandi sistemi di gallerie fluviali per erosione-dissoluzione (le gallerie), operate dalle acque meteoriche cadute sulle aree impermeabili circostanti il massiccio carsico (nel caso in esame il bacino in Flysch dell’alto Timavo), acque passate da superficiali a sotterranee al contatto con le rocce carbonatiche solubili per carsicità convogliate poi al di sotto del Carso in un sistema assai complesso di cavità ad andamento prevalente suborizzontale, di cui non si conosce ancora la struttura e la portata complessiva.
Vi è però una differenza di orientamento strutturale tra le grandi gallerie, Caverna Lindner della Grotta di Trebiciano e le Caverne Polley e Medeot della Grotta Lazzar0 Jerko. A Trebiciano le gallerie terminali e le correnti idriche sono orientate secondo S-N, nella Lazzaro Jerko invece le gallerie e le acque sono orientate grosso modo secondo E-W.
Si ritiene che le acque sotterranee ed il loro potere erosivo-dissolutivo nella zona epifreatica del Carso, abbiano seguito nel caso di Trebiciano, dei piani di discontinuità subverticali (faglie) orientati grosso modo secondo S-N, mentre nelle parti profonde della Lazzaro Jerko i sistemi delle grandi gallerie fluviali sembra abbiano seguito invece, altri piani di discontinuità sempre ad andamento subverticale, qui decisamente orientati secondo E-W. Per l’area carsica di competenza della Grotta Lazzaro Jerko, da un’analisi statistica dettagliata si assiste ad una notevole variabilità dei campi di fessurazione.
Assetti meso-strutturali piuttosto ripetitivi si possono riscontrare nell’area circostante la Conca di Percedol, dove vi è una netta tendenza ad un aumento dei piani di fessurazione orientati secondo E-W, subverticali o immersi verso S. La ragione di questa diversa impostazione direzionale nello sviluppo di queste gallerie non è molto chiara. Da precedenti studi sull’evoluzione delle cavità sia verticali, sia orizzontali, si è potuto ipotizzare che le scelte delle acque in circolazione ipogea nei mezzi carsici, prediligano le soluzioni di continuità della roccia (fratture, faglie), corrispondenti a strutture distensive perché maggiormente beanti.
CONSIDERAZIONI FINALI
La presenza del Timavo sotterraneo da tempo nota nella Grotta di Trebiciano, a confronto con quella che è stata preliminarmente accertata alla Lazzaro Jerko, in quanto a volumi idrici, sembra sia molto superiore in quest’ultima cavità. Per quanto riguarda Trebiciano, il fiume ha delle portate medie di 300-400 mila mc/giorno, con delle piene (supposte) che potrebbero aggirarsi tra 1 e 2 milione mc/giorno. Il livello delle acque di magra viene posto alla quota di 11,50 m s.l.m., con una quota “media” di 19,60 m s.l.m.
Nella Lazzaro Jerko il livello del fiume sembra attestarsi mediamente sulle quote di 4 e 6 m s.l.m. Va ricordato che sulla base delle concentrazioni di tritio rinvenute con l’esperimento di marcatura del 1962, le acque sotterranee di Trebiciano sarebbero costituite solamente per 114 115 dalle acque che passano per le grandi voragini di San Canziano.
Il condizionale in questo caso è d’obbligo, poichè subito dopo l’immissione del tracciante a San Canziano, una piena del fiume sconvolse tutti i calcoli delle sue portate, per cui quell’esperimento andava rifatto ma come noto, il “problema di provenienza delle acque e quello delle comunicazioni ipogee del Timavo” venne ben presto dimenticato poichè l’interesse per il Timavo si era un po’ alla volta affievolito. Quando, oppure se verranno ripresi gli studi sulle comunicazioni delle acque sotterranee, si dovrà ricominciare tutto daccapo, ma almeno questa volta avremo nelle acque della Lazzaro Jerko un punto in più per le indagini.
Dopo che saranno state eseguite tutte quelle indagini geologiche, idrologiche, idrometriche, morfologiche, di questo nuovo gioiello che la natura ci aveva gelosamente nascosto, dovremo valutare i risultati con una certa cautela. Nel campo delle indagini geostrutturali ed idrologiche del Carso Triestino, indagini in gran parte legate al grande problema del misterioso percorso ipogeo del Fiume Timavo, va ricordato che i fenomeni carsici che si sono qui avvicendati con alterne fasi, hanno avuto inizio grosso modo almeno 25-30 milioni d’anni fa, in concomitanza con la cosidetta orogenesi alpino-dinarica. Tutte le fasi del carsismo iniziale non esistono più perchè completamente cancellate dall’inesorabile abbassamento per consumazione dissolutiva di quelle antiche superfici carsiche.
Ma tutte le forme carsiche profonde, presenti nell’ambito dell’attuale massa carbonatica, possono essere state indirettamente e in alcuni casi forse anche direttamente interessate da questi tenomeni legati ad un carsismo iniziale, definito da taluni Autori come precarsico. Qualsiasi tentativo di ricostruzione di quelle paleosuperfici e di quell’iniziale circolazione idrica profonda in sistemi di cavità sconosciuti è dunque quasi impossibile, e nel campo delle pure ipotesi non esiste alcuna anche minima probabilità di arrivare a qualche conclusione realistica.
Va considerato che un’orogenesi e quindi il sollevamento, piegamento, fagliature, scorrimenti, fratturazioni varie, sono avvenimenti concatenati tra di loro e sempre succedutisi in fasi più o meno intense, intervallate anche da lunghi periodi (nel senso dei tempi geologici) di stasi e talvolta anche di parziali sommersioni e quindi di ingressioni marine, che hanno modificato, senza lasciar tracce, carsismi sotterranei che nel frattempo si erano impostati su quelle antiche masse carbonatiche che erano allora appena emerse. Ma nella valutazione degli eventi carsici prima di considerare l’evoluzione tettonica di un territorio, vanno attentamente studiati tutti gli elementi deposizionali e stratigrafici.
Nell’ambito delle sedimentazioni carbonatiche sulle piattaforme epicontinentali, le variazioni di facies sono state assai frequenti, con episodi anche di piana tidale, forme di essicamento, di dolomitizzazione, di erosione, di franamenti sottomarini, di apporti terrigeni, di rideposizioni, per parziale asportazione del sedimento carbonatico, di ricristallizzazione, ecc. Inoltre tutte le grandi successioni di facies fossilifere sono fortemente spatizzate e quindi sono di conseguenza meno solubili rispetto a dei calcari dovuti ad una deposizione tranquilla di un fango carbonatico a grana fine e finissima. Conseguenza di tutto questo la troviamo nell’enorme variabilità della frequenza, potenza, struttura, della stratificazione delle rocce, dove si può passare da deposizioni stratificate mm ritmiche a potenze indistinte di decine di metri.
Tutto ciò serve poi per capire il terzo e successivo evento, quello geomorfologico ed idrogeologico. Ma se abbiamo delle incertezze sulle due grandi ed estremamente lunghe nel tempo fasi precedenti, tutti gli avvenimenti successivi legati al carsismo possono riservarci dubbi ed incertezze interpretative. E ormai largamente accertato che tutte le acque di circolazione nelle assise carbonatiche seguono sempre dei piani che costituiscono elementi di discontinuità nella massa rocciosa, siano questi di stratificazione che di deformazione clastica.
L’evoluzione della conseguente cavità si è gradualmente impostata in queste discontinuità della roccia, dove concorre nella morfologia, per diversa intensità dissolutiva l’estrema variabilità litologico-petrografica delle masse rocciose attraversate dalle correnti idriche.
Le variabili sedimentologico-strutturali sono infinite, i tempi di svolgimento del processo carsico enormi, le tracce iniziali inesistenti, le diverse variazioni climatiche che hanno poi condizionato il tutto, note solo in larga massima, con tempi di svolgimento dei vari cicli estremamente incerti.
Se a tutti questi ingredienti aggiungiamo l’incertezza delle motivazioni delle orogenesi, poiché va ricordato che nel carsismo e soprattutto nella circolazione delle acque sotterranee troviamo un fenomeno impostato prevalentemente su motivazioni tettoniche essenzialmente distensive e quindi in completo disaccordo con tutte le teorie compressive, noteremo che il percorso degli studi e delle ricerche è molto vario e complesso.
L. Ballarin & R. Semeraro nel loro studio del 1997 ci hanno ricordato che il carsismo sotterraneo viene derivato da un’antichissima fase di fluvio-carso ed è caratterizzato da un sistema assai vasto di: … antiche gallerie (inghiottitoi, collettori) ormai frammentate da ostruzioni, ancora non datate ma che si suppone pliopleistoceniche se non addirittura fine-mioceniche, ormai fossili … In questo complesso sistema, nell’attuale zona freatica, scorre, in un complesso e probabilmante assai articolato sistema di cavità, il “Timavo” o meglio il complicato sistema idrografico ipogeo del Carso.
Gli ingredienti sono davvero tanti, i risultati finora ottenuti interessanti ma le certezze poche, le variabili infinite, si evince pertanto che sull’idrologia carsica vi sono ancora assai dubbi e questa nuova finestra che è stata aperta sulle acque sotterranee presenti nelle parti profonde della Grotta Lazzaro Jerko, per noi speleologi può riaccendere solamente la speranza di una qualche ulteriore scoperta sul meccanismo evolutivo di quel lungo tratto ignoto del: … Timavus fluvius in cuius fontes Recca fluvius per subterranea erumpit …….
Fabio Forti & Fulvio Forti