GROTTA CLAUDIO SKILAN (5720 VG)
Pubblicato sul n. 39 di PROGRESSIONE – Anno 1998
Quest’ultimo stralcio di secolo ha riservato ai grottisti triestini più di una sorpresa con il sapore d’altri tempi. Fra tutte, quella di maggiore importanza è stata la scoperta della grotta dedicata a Claudio Skilan. Una grotta più che scoperta “voluta” dagli amici del gruppo Debeljak che, per l’occasione, hanno dimostrato una fiducia che ha ricordato quella del Lindner per Trebiciano, un’industriosità pari ai “grottenarbeiter” dell’ottocento ed una virtù, la pazienza, che pensavamo non esistesse più. Con questi strumenti hanno avuto ragione sul chiavistello (una fessura di quasi quaranta metri da trasformare in pozzo) che impediva l’accesso al più grande sistema sotterraneo del Carso triestino. Ho avuto la fortuna di visitarlo più volte: è gigantesco e stupendo. I paragoni con le grandi imprese del passato, con le grotte mito della nostra storia, la Gigante, San Canziano, i Serpenti, non sono immeritati, non solo per le dimensioni e per l’impostazione data alle esplorazioni ma anche per la mentalità, apparentemente antica, che si è rivelata vincente, dei maggiori protagonisti di questa magnifica avventura.
In meno di due lustri la Skilan è balzata prepotentemente al primo posto fra le grotte del Carso, sia per profondità che per sviluppo, impegnando nella sua esplorazione anche i soci della “Commissione Grotte” invitati dagli scopritori a collabo-rare. Gli ambienti vastissimi, i grandi pozzi interni, le lunghissime gallerie, alcune meravigliose ed inconsuete concrezioni non sono state le uniche sorprese riservate da questa generosa cavità. L’ultima, in ordine di tempo, è stata una breccia ossifera di non poco interesse paleontologico che ha indotto il Museo di Trieste a chiedere una concessione di scavo. La sua scoperta, descritta di seguito, va attribuita alla curiosità e all’abilità di Aldo e Macì che li ha spinti ad effettuare una difficile risalita di quasi un centinaio di metri per raggiungere una finestra oltre la quale li attendeva, come sempre, l’irresistibile ignoto.
Toni Klingendrath
CHI CERCA, TROVA!
Questa volta protagonista è il Carso, dove scoprire qualcosa di nuovo è sempre entusiasmante L’obiettivo è nella grotta Skilan, per terminare una risalita iniziata da Aldo qualche settimana prima. Dal parcheggio, percorro assieme agli altri il sentiero oramai troppo stufo di essere calpestato, stufo di essere il solo legame con la grotta non troppo lontana.
Fuori c’è la tendona in nylon, entro frettolosamente dentro ma questa volta “Jure” non c’è, è rimasto a casa magari un po’ preoccupato di noi curiosi esploratori moderni. Botola spalancata, quaranta metri di scale bastano per entrare in una condotta allargata a mano, ripida discesa, pozzo da centoquaranta. La corda è incontrollabile, con la zavorra attaccata sotto all’imbrago ed il fango che lubrifica il percorso del discensore, tenere d’occhio la situazione è davvero emozionante!
Sacco in spalla visto che imbocchiamo l’enorme galleria dedicata al “vedo” Brena, percorriamo circa settecento metri ostacolati da risalite, traversi e pozzi; l’aria è ferma, in qualche angolo la condensa soggiorna formando grossi nuvoloni. Una corda pende dall’alto, la sagola da nove millimetri lasciata da Aldo mi fa pensare che siamo arrivati, qui comincia l’esplorazione. In pochi minuti siamo sopra la risalita, comincio io, mi arrampico fra massi instabili cementati dal solo fango, quindi riesco ad arrivare su di un terrazzino instabile. M’infilo sotto ad una frana, in spaccata comincio a disostruire fra dei blocchi un passaggio che mi fa intravedere oltre un vano di modeste dimensioni. Aldo da sotto blatera qualcosa, percepisco che non sta nella pelle di sapere dove sto sbucando. Quindi come un talpo-ne prendo fiato uscendo dalla trappola, trovandomi in una saletta dove c’è parecchia aria che scende dall’alto in corrispondenza di un grande camino (dim. 3X3 m). Con il faretto riusciamo ad intravedere qualche nicchia venti o trenta metri sopra, ma non abbiamo sufficiente materiale per cominciare. Non siamo troppo lontani dall’esterno, il mio altimetro segna meno cento, perciò questo grosso camino può essere l’inizio di una serie di pozzi diretti verso l’esterno, dove probabilmente in superficie l’imbocco è ostruito.
La sorpresa arriva quando scendiamo, fra un terrazzo e l’altro ci accorgiamo che le pareti sono tappezzate da ossa di tutti i tipi, prigioniere di una matrice rossastra di fango, misto a roccia e detrito. A questo punto la soddisfazione è doppia. Chissà che tipo di animali vagavano per il Carso tanto tempo fa, ma soprattutto come sono finiti quaggiù?
Beh, penso che questa imponente struttura ipogea ancora oggi risulti essere un enorme mistero, sia dal punto di vista esplorativo che da quello speleogeneti-co. Quindi uno studio accurato sul ritrovamento di un giacimento ossifero ad una certa profondità farà luce su svariati que-siti nascosti in questa sorprendente meraviglia sotterranea.
Hanno risalito: Aldo Fedel (Magnesio) e Maci Palmieri
RICERCHE SCIENTIFICHE, RISULTATI PRELIMINARI MA ANCHE …EMOZIONI
Ricordo ancora con la stessa emozione quel pomeriggio in cui gli amici del Gruppo Grotte “Carlo Debeljak” mi comunicarono la notizia della scoperta di una nuova grotta: grande, bella, ricca di concrezioni e con evidenti tracce di carbone. Ed era allora stata visitata solamente la Galleria Alma, oggi ben “poca cosa” se paragonata allo sviluppo completo attualmente esplorato della grotta Claudio Ski-lan. E infatti le emozioni sono continuate con le successive scoperte, spesso al di sopra delle attese: il profondo pozzo interno, le enormi gallerie alla profondità di metri 200, le acque di fondo, prima a -341 e poi a – 378. A questa iniziale fase di esplorazioni e di scoperte è seguito un primo periodo di ricerche scientifiche rivolte all’analisi faunistica delle acque sotterranee a vari livelli, fino alle acque di base. Ricerche che comunque continuano e che non sono ancora concluse anche per la vastità degli ambienti interni.
Ma nel frattempo arriva una nuova sorpresa dalla “Skilan”: in un camino, sopra la galleria Hanke, con una risalita da funamboli circensi, è stato scoperto un deposito ossifero. Trovare resti fossili di animali in grotta non dovrebbe sorprendere! Con tutti gli esempi presenti sull’altopiano carsico, Grotta Pocala in testa, la cosa non dovrebbe suscitare tanta meraviglia. Ma questo deposito si trova a grande profondità, è un grande deposito e sopra, in superficie, la vegetazione di una grande dolina può forse farci immaginare un antico ingresso, crollato e poi cancellato.
Decido (o forse meglio mi convincono) a compiere un sopralluogo. Non è una passeggiata: questo lo sapevo, ero già stato altre volte nelle profondità della Grotta Skilan. Ma questa volta i pozzi ed i saliscendi mi mettono a dura prova e quando sembra che l’avvicinamento sia finito ci troviamo in una caverna enorme con il soffitto altissimo. In mezzo pende nel vuoto una corda: il deposito ossifero è lassù, 40 metri sopra le nostre teste. Penso che, dopo aver fatto tanto, bisogna assolutamente salire. Finita la libera, mentre supero il frazionamento sull’orlo del vuoto, vedo, poco più in su, Tony mentre sta ammirando i resti ossiferi. Mi avvicino, guardo in alto: il deposito è altissimo ed è attraversato da due camini. Ossa dappertutto, frammiste a pietrisco e fango ed apparentemente concentrate di più in alcuni strati orizzontali. Ci fermiamo ad ammirare questa meraviglia ipogea, ma anche per riposare un po’: ci aspetta la lunga via del ritorno.
Vista l’eccezionalità del ritrovamento, viene deciso di chiedere l’autorizzazione a prelevare dei campioni a scopo di studio. Nell’ottobre 1998 eccoci di nuovo impegnati in un’ulteriore visita alla Skilan: lo scopo è quello di gettare le basi per uno studio scientifico del deposito ossifero. Eseguiti i rilievi ed i campionamenti, verso sera ritorniamo in superficie. Guardo l’orologio: siamo rimasti in quell’ambiente ipogeo per quattordici ore, ma la stanchezza è sopraffatta dalla soddisfa zione di aver concluso un buon lavoro.
Per quanto riguarda il deposito ossifero, esso è situato nel settore nordoccidentale della Grotta Skilan, parte che si sviluppa nei calcari a rudiste del Cretacico. Questa formazione è particolarmente ben visibile nella Galleria Brena, che si percorre prima di raggiungere la risalita che porta al deposito, dove molti massi di frana presentano una forte erosione, forse dovuta ad acque particolarmente acide, che mette in evidenza ed in rilievo i fossili di rudiste.
Possiamo classificare il deposito come una breccia non consolidata contenente ossa piuttosto leggere e quindi apparentemente non molto antiche. Questo contrasta con il fatto che il deposito è situato a centoquaranta metri di profondità, quasi sospeso sul vuoto assieme ad enormi massi di frana e sovrastato da camini che preludono a collegamenti con la superficie, anche se per il momento impercorribili.
I resti possono essere riferiti a grossi mammiferi, prevalentemente erbivori; è stato pure recuperato un dente di orso. Il Museo Civico di Storia Naturale sta provvedendo attualmente alla preparazione ed al consolidamento dei reperti, il cui studio e la cui classificazione ci forniranno sicuramente nuove conoscenze sulla fauna relativa alla fine dell’ultima glaciazione.
Un particolare e doveroso ringraziamento a tutti gli amici del Gruppo Grotte C. Debeljak e della Commissione Grotte Eugenio Boegan, per il prezioso supporto nelle esplorazioni e per aver condiviso gioia, meraviglia e …fatica.
Sergio Dolce