Hochlecken grosshóhle

 

HOCHLECKEN GROSSHÓHLE PRIMA (ED ULTIMA?) INVERNALE

Il canalone di ingresso: è quasi finita (Foto T.Dagnello)

Pubblicato sul n. 22 di PROGRESSIONE – Anno 1989
Andare in grotta di solito significa doverse­la vedere intanto col buio e poi, al caso, con corde, aggeggi vari ed assortiti ed anche fred­do, acqua, fango.
Scalare un canalone sui 45° di pendenza, ghiacciato, usando ovviamente ramponi e pic­cozze, è invece cosa alquanto diversa. Dove allora il punto di contatto tra le due attività? Semplice, una grotta quasi in cima al canalone, ovviamente bella profonda.
I miei inizi speleo si sono svolti con la inde­siderata complicità di un tardivo disgelo che procurò a tutti quanti lunghe e faticose marce nella neve fradicia, carichi come i proverbiali muli di troppe scale nonchè continue e poco gradite docce gelate in grotta, in un epoca in cui il PVC era di là da venire (ottima scusa, dopo, per gigantesche bevute di grog nelle osterie del circondano). Da allora, e forse per questo, la mia attività speleo invernale non si incontrò più con quella componente nevosa tanto agognata quando invece si trattava di andare a sciare.
Un anno fa, forse colpito da un infelice raptus di follia, decisi di riprendere laddove avevo smesso, aggregandomi al giro invernale all’Hochlecken Grosshòhle o Grelelé che dir si voglia, nell’Alta Austria.
Intanto, affare meno arduo del previsto, mi procurai da alcuni amici più avezzi a cotali ma­cedonie alpinistico-speleologiche tutti quei ma­teriali alpinistici la cui necessità d’uso non mi si era mai posta: scarponi impermeabili, ghette, ramponi, piccozze, etc. Poi… come usare (be­ne) il tutto? I soliti esperti mi dissero che non era il caso di preoccuparmi… avrei imparato…?!
La visita al Grelelé si svolse in due tempi: il primo per portarvi tutto il materiale ed il secon­do per il giro vero e proprio.
Come accennato all’inizio il clou dell’avvi­cinamento era il famoso canalone: la prima vol­ta se non fosse stato per la neve sarebbe sem­brata una normale passeggiata in montagna. La seconda invece tutto era ghiacciato e si dovette scalare in simil piolet-traction fino all’antro: e qui cominciò l’avventura di Annibale e dei suoi elefanti sulle Alpi.
Si dice che i principianti sono fortunati: a me, a metà della salita, si sganciarono i rampo­ni, per fortuna non contemporaneamente! Sen­za contare che in cima mi accorsi che uno scarpone aveva risentito dell’aria austriaca al punto di rompersi in punta. Per fortuna Anniba­le (che si dice fosse basso, barbuto ed irascibile) spronava i suoi (elefanti) e con l’aiuto didattico suo e degli Dei da lui invocati riuscii a risolvere gli inconvenienti. Si scese alfin nell’antro, dove l’avventura spélèo riprese il sopravvento con ovvii intermezzi lucidi di varia fatta, come quan­do, stanco di fare la scimmia sotto il peso di carburo extra e di un Bosch scarico che ripor­tavo fuori, decisi di fare un famoso traverso con tre longes e la maniglia, sicuro che il Croll mi avrebbe abbandonato, come infatti fece… Ma chi l’ha detto che solo i giovani fanno pazzie??
Si giunse così al momento del ritorno a valle: Annibale infatti non si stabilì mica in cima alle Alpi! Anche stavolta il prode condottiero seppe insegnare ai suoi elefanti, da debita dis­tanza per paura di ritorsioni e con l’aiuto didat­tico degli Dei ed anche dei Santi (forse incontra­ti in profondità), come affrontare la discesa, svoltasi peraltro con tecniche più speleo che alpine: imparai infatti come armare un canalone e che le paretine che si incontravano andavano affrontate come l’orlo di un pozzo, senza inutili paure di rovinare i rampini propri ed altrui. La parte finale fu una semplice camminata nel bo­sco.

Epilogo

Cosa dire di questa autentica (per me) spedizione? Se proprio ne avete voglia andate in grotta in montagna d’estate. In caso contra­rio diffidate dei famosi amici e fatevi un corso di arrampicata su ghiaccio per conto vostro, se non altro per evitare la cosidetta «didattica divi­na». Altrimenti penso sia sempre meglio fare solo delle belle sciate sulla neve, a meno che non vogliate entrare anche voi nel «Club degli Elefanti di Annibale».
                                                                  Renato Dalle Mule (Tubo Longo)

HOCHLECKEN GROSSHOHLE QUANDO IL GIOCO SI FA DURO… I DURI RITORNANO IN OSTERIA

Al quinto tentativo, finalmente riuscimmo a mettere fine ad una storia iniziata un anno fa: maltempo, valanghe, misteriose sparizioni di spits e piastrine rallentarono alquanto le nostre intenzioni, ma alla fine la volontà premiò chi mantenne la parola data. Alla resa dei conti rimanemmo solo in sette, appena sufficienti per l’armo, il disarmo ed il trasporto a valle di tutto il materiale, graziati però dal tempo che si man­tenne bello per tutti i tre giorni necessari a concludere il discorso.
Sono passati due mesi da quando mi trovai a risalire il canale con la neve ai fianchi; ora c’è il sole e la poca neve rimasta è molto dura, con i ramponi saliamo spediti raggiungendo l’imbocco della caverna d’entrata in poche ore. Camosci dispettosi han­no scaricato da una cengia alcune pietre sullo zaino di Marchino, poi nel tratto finale un elicot­tero ci ha sorvolato a lungo; niente paura: non era un vendicativo Papponcio che mi cercava venuto dal “D.V.P.” ma il Soccorso Alpino che andava a recuperare chi non conosceva molto bene l’uso del parapendio.
Calma e silenzio, dunque, interrotti solamente dai muggiti di Tu­bo Longo con i ramponi; la scena poteva richia­mare agli occhi di un attento spettatore il dram­ma di Annibale quando valicò le Alpi con i pachidermi proboscidati. Andò tutto liscio e all’una ci preparammo il campo nella prima galleria dopo l’ingresso. Effettivamente c’erano molte incognite da valutare: il numero di parte­cipanti era appena sufficiente, molti erano alla prima vera esperienza speleo-invernale in pro­fondità, lo Stierwascher con tutto il suo alone di leggenda gobettiana senza contare strani sogni premonitori o certi sguardi compassionevoli di chi preferiva restare a casa. Bisognava usare la testa più delle gambe e a decidere fu tutta la squadra; fiducia ai giovani, dunque, e la scelta risulta azzeccata.
Per primi scesero Puntina e Marchino, fido alleato delle riviere tirreniche, ad armare fino a «Cap Kennedy» per ritornare subito dopo al C.B. lasciando la strada libera a Beccuccio e Giulietto verso il pozzone che ar­marono in cinque ore con 15 spits nuovi grazie anche a S.Bosch. Il più era dunque fatto senza tempi morti – cosa importante – senza raffred­darsi in lunghe attese. Da ultimi entrammo io, Heidi e Tubo con il resto del materiale; Lele e Marchino potevano riposare per rientrare a darci una mano sul fondo. Sotto lo Stierwa­scher diedi il cambio a Beccuccio cominciando ad armare i pozzi successivi lasciando ad altri l’ingrato compito di portar al pascolo il pachi­derma. Pochissima acqua, meandri larghi; in poche ore eravamo sopra il Pozzo Fossile da 87 metri, ultimo ostacolo al fondo vecchio.
Qui Tubo si ferma e accompagnato da Heidi, che rinuncia al fondo per la collettività (grazie!), ritornava fuori. Lentamente, lentamente fino al Pendolo di Ragaille a metà Stierwascher dove il volpone si vede fuoriuscire la corda dal croll e rimanere di conseguenza appeso al vetusto rin­vio della sua maniglia, mossa alquanto imbecil­lesca, non c’è che dire, ma se non altro contri­buiva a «svegliare» un po’ Heidi oramai assopito dalle lunghe attese. Ritornando al fondo, sco­priamo che il P 87 ha qualche metro di più e per giungere al fondo dobbiamo utilizzare, fidando­ci, una vecchia corda dei biellesi trovata su di un terrazzo! Finalmente siamo nel cavernone: risaliamo le gallerie freatiche seguendo l’aria e dopo un’oretta siamo nel ramo attivo del sifone Gobetti. Strano che qui ci sia tanta acqua, al­trove non era così, effettivamente questo è un sistema parallelo collegato al nostro dalle galle­rie. Stretto e basso meandro attivo, storia ba­gnata per evitare ciò bisogna scendere da un’al­tra parte, in un ramo fossile ma le corde sono contate, in base al vecchio rilievo francese per cui è inutile perder tempo e prender acqua per niente. Dietrofront, comunque contenti per a­ver raggiunto l’obiettivo principale.
Ora non rimane che prender la «paga», ovvero il recupe­ro; spediti i due giovani al campo sotto lo Stier­wascher, giochiamo la partita in tre, lenti ma inesorabili come da copione giungiamo in tem­po per la merenda e un po’ di riposo dopo 20 ore di punta. Avanti sempre i giovani e dietro la squadra «facchini». Altre 4 ore e siamo nuova­mente a Cap Kennedy, qui Beccuccio prende due sacchi ed esce; io e Marchino ci divertiamo ad insaccare il «200» bagnato in un sacco ora­mai sul viale del tramonto. Ultima «coma» e via verso il sacco a pelo lasciando per l’indomani, a Tubo ed Heidi, un piccolo appalto: gli ultimi due sacchi, un lavoretto da 3 ore.
In totale la «punta» è durata 36 ore, abba­stanza poche. Dopo un po’ di riposo non rima­neva che ritornare a valle. Il canale era un dis­corso abbastanza rapido da concludere con due «mega doppie» da 200 m onde evitare spia­cevoli scivolate senza ritorno. Arrivammo in parcheggio al tramonto dove incontrammo Herrnann nostro «santolo» d’oltre Tauri, non si poteva concludere che in locanda per saziare la fame dopo tanto Ramadan. Ultime discussioni in allegria o quasi, scherzi e lazzi per ritornare a Trieste giunto in tempo a lavorare ovviamente; Amen.
Concludendo, in tutta onestà, sono con­tento per come le cose siano andate, finalmente si sono viste delle facce nuove e si sa che la speleologia invernale è un cliente difficile; forse inizierà un nuovo periodo, i ricambi si mature­ranno ulteriormente dando nuovi impulsi. In passato forse si sbagliava: «marcia o muori» è una regola che lascia pochi accoliti e scarsi risultati; meglio a volte aver un po’ di più pazien­za e programmare in maniera più «elastica» le varie punte. Adesso abbiamo i presupposti per cercare dei validi ricambi, o si semina adesso o tra 5-10 anni al massimo, un certo tipo di attività non si farà più e l’altipiano sarà popolato solo da orchetti casinisti e imbranati, voraci e caotici, utili per molte altre cose ma non certo per operare in profondità, per non parlare poi del soccorso speleo che non deve trasformarsi in un «Fort Alamo» difeso da pochi «fieri Bubul­chi» reduci da mille avventure ma oramai sulla via della pensione.
Largo ai giovani, dunque, ma sempre «ocio de soto!»
Partecipanti: R.Antonini (Beccuccio), P.Pez­zolato (Fox), Giulietto, Heidi, Lele Puntina, Marchino, Tubo Longo.
                                                                                                 Paolo Pezzolato (Fox)

NOTIZIE UTILI

  1. La cavità è chiusa da un cancello, le chiavi si possono reperire presso Hermann Kirch­mayr lindenstrasse 6 A-4810 Gmunden (Austria) -tel. 0043 7612 70320.
  2. La grotta si trova in un parco naturale e si pagano 210 scellini per il permesso d’entrata.
  3. Per pernottare noi abbiamo utilizzato o il rifugio sull’altipiano o la locanda a Uni. Feich­ten (150 scellini a notte con colazione).
  4. Cartografia Kompass 1:50.000 n. 18 Nerdichles – Salzkammergut

AVVICINAMENTO
Trieste – Tarvisio – Salisburgo – Mondsee – Un­terach – Steinbach crm Attersee Taferiklause. (Parcheggio). 450 km.

  1. Dal parcheggio si sale in direzione del rifu­gio Hochiecken (2 ore); da qui proseguire in direzione del Brunhkogel (croce sulla cima) tenendosi il Hochlecken sulla sinistra giunti sul bordo dell’altipiano, in vista della croce calarsi per il canalone (40 di pendenza circa). Dove si allarga traversare a sinistra (orografica) verso una prima caverna, traversare ancora e sullo spigolo (picco 8 gendarme a destra) utilizzare il cavo d’acciaio. Proseguire attraversando an­cora per 30 rn fino all’entrata costituita da una caverna con neve sul fondo.
  2. In alternativa, finita la pista da sci che costi­tuisce la prima parte dei sentiero al rifugio, proseguire per 100 m. poi prendere il sentiero a sinistra (croce su albero), continuare in traver­so nel bosco innalzandosi gradualmente finché la vegetazione si dirada. Siamo all’imbocco del canale, tenersi a destra e per incisili e pietre salire fin sotto alle due caverne descritte nell’iti­nerario precedente. Raggiunte le medesime u­tilizzare il cavo come sopra per giungere all’en­trata.

PERIODI
Autunno con scarse precipitazioni (sett.-nov.) Inverno con scarse precipitazioni (febb. -mar.). Se la neve è buona, consigliabile l’itinerario n. 2, in altri casi meglio il n. 1; comunque pericolo di valanghe.

SCHEDA D’ARMO E DESCRIZIONE MORFOLOGICA

Scendere le gallerie d’ingresso, a sx ometto con saletta. passato il cancello che chiude la “porta incognita” entrare nelle gallerie tenen­dosi a sinistra fino ai massi di frana, calarsi nella frana (bolli rossi) e proseguire nuovamen­te in galleria ora sul lato destro seguendo il cavo telefonico, terreno fangoso, fino ad arri­vare al primo pozzo.

1 P15 m; corda 20 m – attacco naturale a destra (orografica) rinvio; I spit a – 2 m sul bordo di un piccolo tetto. Fangoso.
2 P30 m; corda 45 m – 2 spits per attacco: a destra (orografica) 1 spit a – 2 m sul bordo di un tetto, calarsi per 20 m circa, altro spit sul bordo di una nicchia.
2 Scivolo 60 m; corda 80 m -2 spits per attacco: traversare a sinistra (orografica) 2 rinvii su concrezioni: a – 2m 1 spit su calcite: calarsi in verticale, alto due frazionamenti su ancoraggi naturali fino alla fine dello scivolo dove si trasforma in pozzo: sul bordo 1 spit poi 5 m sotto su specchio di faglia altro spit. Altri 15 m fino al fondo.
2 canalone all’ingresso : è quasi finita ! !
Terrazzino con massi. Da qui parte Stierwarscher se lo si vuole considerare in tutti i suoi 350 metri.
4 P350 m; corde 80 m + 200 m + 160 m – 2 spits di attacco, calarsi per 50 m, 3-4 frazionamenti a sinistra (guardando la parete) in punti logici si arriva a Cap Kennedy; 3 .fittoni e 2 spits per un ulteriore ancoraggio robusto. Cambio corda 80 + 200.
Da C.K. calarsi 10 mt a sx (guardando la parete): dopo altri 10 m altro spit; 2 m sotto un altro. Da qui scendere altri 10 m fino ad un altro spit nascosto da una nicchia a sx pendolando leggermente. Da qui 8-10 frazionamenti a seconda dei gusti. massimo 50 m di campata: roccia scura, abbastanza sana, difficili da individuare gli spits vecchi.
Dopo – 180 m di corda filata si arriva in una nicchia (vecchia piastrina con dado e controdado) stillicidio forte.
Ci si cala altri 20 m -congiunzione corde 200 – 160. Siamo nella zona del Pendolo di Ragaille, a sx perchè a dx viene giù la cascata: Roccia più chiara, non è un pendolo vero e proprio, con i piedi appoggiati su di una placca ci si sposta fino a 2 spits.
Da qui ci si cala al terrazzo detritico che separa in due parti questo pozzo. Risalire un paio di metri 1 spit: si attraversa tutto il terrazzo, altro spit (NB.: questa è la parte più pericolosa del pozzo, facilissimo scaricar pietre.
In salita è sicuro dare la libera a chi attende sul fondo quando si è giunti agli spits del Pendolo di Ragaille ci si cala 3 m altro spit a destra, altri 8 m 1 spit. calarsi ancora per 15 m prima verticalmente poi su placca (lame marce?).
Altri 2 spits in 5 m poi calarsi. dopo – 10 spit a sx una nicchia pendolare ed entrarvi.
I spit, altri 10 m altro spit e campata finale di 60 m per giungere alla base del pozzone. Acqua da metà in caso di forte stillicidio, si cammina calandosi per massi e dopo 30 m si arriva al campo base.
Risalire 3 m, fango (corda in loco).
4 P28 m. corda 40 m 2 spits di attacco, I spit a -2 m a sx, I spit a -12 m (1 DS – 5 m da pendolare, acqua alla fine: laghetto.
Si prosegue in meandro, acqua, tenersi alti, una corta arrampicata di 2 mnt da su un salto di 4 m, attrezzare con una corda di 6 m; attacco naturale su lama. Avanti in meandro.
5 P13 m, corda 18 m – 1 spit di attacco poi a sx un altro per frazionare.
Si arriva al campo avanzato; scritte in nerofumo, passare sotto la cascata subito dopo.
6 P 15 m. corda 20 m – 2 spits attacco-frazionamento, libera. laghetto sul fondo.
Meandro corto – tenersi alti. Usare le lame (non molto buone) per l’armo del traverso; continuare leggermente in salita fino a una grossa lama per l’armo più spit di rinvio
7 P 27 m. corda 40 m acqua sul fondo. Si continua in meandro, alti. Dopo 40 m facili si giunge alla partenza de/pozzo di 52 m.
8 P 52, corda 70 m – Dove c’è uno slargo. attacco su lama, calarsi traversando fino ad incontrare I spit; 1 metro avanti altro spit, calarsi leggermente; 2 spits. calarsi 25 m. frazionamento. continuare sul fondo. Acqua, pericolo in caso di piena. Continuare in meandro; 4 saltini di 6, 5. 7, 6 metri.
Descrizione:
9 P6. corda 8 m I spit I spuntone.
10 P5, corda 6 m I spuntone.
11 P 7 m, corda 10 m – I spit.
12 P6 m, corda 8 m 2 spits. Si arriva in una galleria: a destra ramo attivo sconsigliato, a sinistra dopo pochi metri P 87.
13 P87 m. corda 120 m – Pozzo scivolo. Attacco una clessidra – l spit. Rinvio dopo 34 m con 1 spit. 6 frazionamenti: 3 su spit, 3 su clessidre. I primi 5 a dx guardando la parete, l’ultima a sx guardando la parete.
Si arriva al cavernone finale a —751 m. Proseguendo a Sud alla fine della caverna risalire su corda in forra per 5 m – 500 m gallerie freatiche che finiscono con un camino. Proseguendo a Nord ci si cala poi si risale sempre in galleria seguendo l’aria fino a una risalita di 15 m (rumore d’acqua), corda in loco corta.
Fatta la risalita si entra in un meandro fossile fino a giungere al corso d’acqua che genera il sifone -Gobetti -794 m. Calandosi nell’attivo si continua per stretti passaggi e arrampicate spesso bagnate, serie di pozzi P 13, P 18, P 23, P 4. P 5 fino al sifone. Molta acqua. impraticabile d’estate.
Paolo Pezzolato (Fox)