…E non gettate le vostre perle dinanzi ai porci, che talora non le calpestino coi piedi e, rivoltisi, non vi lacerino. (Matteo, 7:6)
Pubblicato sul n. 17 di PROGRESSIONE – Anno 1987
L’attività di campagna della Commissione Grotte «E. Boegan» è stata, nel 1986, piuttosto notevole, superando il numero delle uscite quello – considerato a suo tempo un massimo storico difficilmente superabile – raggiunto nell’anno del Centenario. Contro le 565 uscite del 1983 (e le 393 di quello successivo e le 500 del 1985) il «Libro delle Relazioni» ne riporta infatti ben 573, quasi due al giorno.
Che tipo di lavoro racchiude questo numero? Quasi di tutto. Battute di zona (le grotte nuove bisogna trovarle), scavi (sul Carso – ma ora spesso anche sul Canin – una volta trovate è necessario il più delle volte aprirle e renderle agibili), esplorazioni e rilievi. E poi, dato che in alcune vale la pena di ritornarci, ripetizioni a scopo fotografico, turistico, di puro godimento estetico. Per non parlare ancora delle grotte come allontanamento da una realtà antipatica e quindi rifugio in un mondo più vero, più buono, più nostro.
573 uscite, 573 realtà diverse, anche se in sostanza le motivazioni che stanno alla base delle stesse possono essere ricondotte ad una matrice comune. Anni orsono su questa stessa rivista s’era cercato di analizzare il tipo di attivi tà svolta, analisi in cui s’era tentato di intravvedere le tendenze della stessa. A distanza di 7 anni il raggiungimento di un nuovo tetto fornisce lo spunto (tralasciando le analisi meramente numeriche) per una serie di considerazioni e riflessioni sul nostro mondo speleologico, sulla sua realtà, sul suo futuro.
Innanzi tutto bisogna dire che l’attività viene svolta da una quarantina di soci (la metà di quelli sulla lista: gli altri, tranne lodevoli eccezioni che si dedicano alla parte amministrativa, vivono di ricordi), spezzettata in una miriade di uscite individuali o in gruppi minimi – speleologia solitaria e speleologia dei piccoli branchi -, spesso in collaborazione informale con speleo di altri gruppi, e che le uscite, in quanto a durata, vanno da quelle di poche ore ad alcune che impegnano gli uomini per oltre un mese (spedizioni in Messico ed in Sicilia). Analizzate individualmente poi si va da un estremo all’altro: c’è chi, dopo un mese di spedizione torna in grotta quattro/cinque volte in un anno e chi colleziona 90/100 uscite, raggiungendo tale limite mangiandosi le ferie per andare in grotta a metà settimana, o – per chi lavora dalle 8 alle 14 – andando sul Carso i pomeriggi (inventando così un nuovo tipo di seconda occupazione, più appagante anche se non redditizia monetariamente).
Di pari passo con l’aumento dell’attività di campagna cresce pure il prodotto «culturale»: le pubblicazioni illustranti quanto fatto (pure queste, come le uscite, di vario spessore, costo e interesse) stanno a dimostrare un’operosità distribuita fra i vari settori culturali – cronache, studi, saggi, polemiche… – e in tutte le fasce di età (la media annua, riferita all’ultimo decennio, è di 813 articoli i cui autori occupano una fascia di età che va dai giovanissimi agli 80 anni del più anziano).
Tutto bene, quindi, magnum gaudio? Forse no, perchè l’altra faccia della medaglia (tutte le medaglie hanno due facce opposte ma inseparabili, e la CGEB non è riuscita ad infrangere questa regola), rappresentata dalla struttura politico-amministrativa che dovrebbe guidare
la Commissione coordinandone l’attività, non presenta lo stesso aspetto positivo: c’è sì un Direttivo composto da brave persone che fanno del loro meglio per permettere alla C GEB di fare speleologia, e di farla bene. C’è sì un presidente che fa molto di più di quanto si poteva pensare per procurare alla stessa i mezzi finanziari per operare. Ma non basta. Ci vorrebbe l’impegno continuo e attento (di supporto, di controllo, di conforto) di tutti i soci, perchè una Società vive del loro lavoro e della–loro presenza; in caso contrario o muore o si trasforma in una grossa azienda erogatrice di servizi (come il Touring Club, l’Automobile Club, come si sta pericolosamente avviando a divenire il C.A.I.). Purtroppo si nota in questi ultimi tempi una sempre più accentuata disaffezione per il lavoro amministrativo e politico, sintomo secondo gli ottimisti di una crisi di crescita, secondo altri di adattamento ad una nuova realtà sociale e imprenditoriale in cui l’individuo si sente sempre di più fruitore e non produttore. Ciò che è certo è che sono sempre maggiori le funzioni che vengono delegate a personale stipendiato (le guide della Grotta Gigante, i custodi delle palazzine, l’impiegata del Catasto, la contabilità – affidata ad un commercialista -, l’amministrazione del personale – affidata ad una ditta specializzata -, e così via…): il volontariato di un certo tipo è morto o sta morendo. Resiste ancora solamente per iniziative personali: faccio la tal cosa (prospezioni di precisione, lavori catastali, persino esplorazioni) perchè così ho deciso io, e poi perchè mi piace, ma non la faccio se mi viene ordinata (da un Direttiva che ho eletto – e che, probabilmente, rieleggerò – ma in cui evidentemente non mi riconosco).
Chi scrive non è certamente senza colpe (stante la decisione, maturata in questi ultimi anni e pervicacemente seguita, di rifiutare cariche di qualsiasi tipo) e non ha pertanto il diritto di fare delle prediche. Ma qui non di prediche si tratta quanto di considerazioni: di fronte ad un’attività «operativa» (sul terreno come nelle pubblicazioni, nei congressi, nei corsi di speleologia) in evidente espansione fa riscontro un impegno politico e amministrativo piuttosto tiepido, sì che questo ingrato aspetto della vita sociale finisce per gravare sulle spalle dei pochi che per sensibilità o ambizione (misconosciuti o derisi i primi, ingiustamente sprezzati i secondi – senza l’ambizione saremmo ancora all’età della pietra.) si rendono disponibili. Siamo indubbiamente il Gruppo Grotte che esplica la maggiore attività in Italia (anche se con uno scoordinamento che porta ad avere risultati proporzionalmente minori di quelli ottenuti da altre meno danarose compagini), sull’onda di quell’espansione cui accennava Finocchiaro in una sua nota se miseria apparsa su queste pagine nell’oramai lontanissimo 1981. Un gruppo che – come da lui inquadrato in quell’articolo – dopo aver vissuto sino al 1953 (anno della sua ascesa al potere) il periodo repubblicano, viveva il periodo di Cesare cui sarebbe seguita l’era augustea. Ora il dopo Carlo è giunto e si può ben dire che siamo in piena era augustea: splendore di iniziative (grandi lavori alla Gigante, lussuose pubblicazioni di grotte recanti il nostro stemma, costose spedizioni in terre lontane…), potere decisionale circoscritto ad una ristrettissima élite (con un Direttivo-Senato ridotto ad un ruolo consultivo), servizi sempre più affidati ai «barbari» (nel senso classico del termine). Ci manca soltanto la corruzione e poi saremo pronti per il nostro medioevo prossimo venturo.
Ma forse quest’analisi non è del tutto corretta: se la generazione cui appartengo (ed il cui modo di vedere le cose mi condiziona) non è stata in grado di esprimere la classe dirigente che la Società ed i tempi richiedono (ma i migliori di noi se li son presi gli dei in questi ultimi vent’anni) non è detto che le generazioni successive abbiano le stesse connotazioni negative. Forse i giovani – ai quali si deve buona parte delle 573 uscite del 1986 – riusciranno a dimostrare che la Commissione ha ancora un futuro come Gruppo Grotte, e non soltanto come ottima azienda che gestisce il terzo polo turistico della provincia.
Pino Guidi