GROTTE? FUNGHI!
Pubblicato sul n. 9 di PROGRESSIONE – Anno 1982
Niente da fare: l’abisso Silvio Polidori (478 Fr) è tale e quale lo avevano descritto i nostri «avi».
Ci siamo andati, nell’ottobre di questo anno (1981), oltre che per vedere dei posti nuovi e sperabilmente più belli delle pietraie del Canin, soprattutto per verificare se questa grotta, la più importante della zona, continua da qualche parte.
Il primo scopo è stato pienamente raggiunto anche se il tempo decisamente avverso (pioggia & nebbia) ci ha permesso solo a tratti di gustare la bellezza della valle del Rio Pontebbana e dei monti circostanti.
Dal punto di vista esplorativo invece, fiasco completo. Ai tempi delle prime esplorazioni, negli anni 60, i materiali «superleggeri» dell’epoca nonchè la notevole circolazione idrica all’interno della cavità avevano creato non pochi problemi e così per molto tempo il Polidori tu considerato una delle grotte più impegnative e severe. Non era perciò affatto improbabile che agli infreddoliti speleologi che ci avevano preceduto fosse sfuggita qualche prosecuzione, data magari da una finestra difficilmente raggiungibile con le scale.
Come abbiamo potuto constatare, invece, gli ambienti della grotta non sono mai di dimensioni tali da poter nascondere qualche sorpresa; nella grotta circola effettivamente una grande quantità d’acqua ma in corda è stato abbastanza semplice evitare docce inopportune. Dei due rami finali, quello attivo (e più bello) termina inesorabilmente in una fessura/sifone mentre quello fossile, percorso da una gelida e misteriosa corrente d’aria, è chiuso da riempimenti sabbiosi.
In complesso si tratta di una cavità molto bella che merita una visita, se non altro per la particolarità della zona in cui si apre. La roccia inoltre è costituita da calcari scurissimi e anche questi rappresentano una novità per chi è abituato ai biancori tipici dei dintorni del D. V. P. Peccato che la profondità non arrivi neanche ai 200 metri.
Siamo usciti a notte fonda e, uno dietro all’altro per non perderci nella nebbia, abbiamo alla fine scovato la casera che ci avrebbe ospitato fino a giorno. Qui, attorno ad un bel fuoco e ad un tavolo imbandito (incredibile)!, siamo andati avanti per un bel po’ ad ascoltare particolari delle prime esplorazioni raccontati da Marietto, ultimo ed indistruttibile superstite dell’antica orda che venti anni fa devastò queste terre.
L’indomani giù in valle, degno epilogo di questa splendida gita, era ad attenderci una quantità incredibile di funghi: mai avevamo sperato di trovare dei porcini lungo il bordo di una strada asfaltata … Susi, Zagolo, Kekez, Scratapo e Marietto, per non parlare del sottoscritto, sono tutti d’accordo: torneremo!
Mauro Stocchi