PARADISE ICE CAVE
Pubblicato sul n. 1 di PROGRESSIONE – Anno 1978
Dopo una curva della larga galleria dalle pareti di ghiaccio appare una lama di luce, come un drappo, una tenda scintillante che separa due zone oscure. Rimaniamo stupiti. Mille gocce d’acqua cadono, brillanti, dalle pareti nel rumoroso torrente. Mi avvicino alla luce, guardo in alto, e vedo nubi sfumate e tratti d’azzurro. E’ la prima volta che guardo un crepaccio dal basso verso l’alto. Quante volte ci son caduto dentro poche settimane prima!
Abituato a camminarci lungo il bordo allungando il collo per scoprirne il fondo è una sensazione strana scoprire il cielo. Un momento di respiro, di contemplazione, di tranquillità alla vista di qualcosa che ti affascina di cui solitamente hai paura e che puoi osservare finalmente attentamente: lunghe stalattiti di ghiaccio luccicano gocciolanti, verticali pareti a strati azzurri e verdi salgono verso l’alto; ai nostri piedi uno spicchio di torrente argentato vien fuori dal buio e sparisce nel buio. E’ il momento che più mi ha colpito nelle Paradise Ice Cave: una successione continua di sorprese in un mondo di ghiaccio. Praticamente si tratta delle gallerie scavate, o meglio formate, dal torrente che raccoglie le acque di fusione del ghiacciaio e scorre sulla morena sottostante e dall’aria calda estiva che le percorre esercitando una azione d’uniforme scioglimento sulle pareti.
L’ingresso per il quale siamo entrati si trova a circa 2000 metri di altezza sui versante sud-est del monte Rainier; un vecchio vulcano circondato da una stupenda boscaglia di altissimi cedri rossi con un lussureggiante e selvaggio sottobosco pieno di colori.
Dopo una lunga camminata, fra gli alberi prima e sulla morena poi, abbiamo raggiunto il ghiacciaio Stevens. Fra grandi massi siamo entrati in quella che è la sua «bocca» dalla quale vien fuori uno spumeggiante torrente che abbiamo cominciato a risalire. La galleria, larga dapprima, presenta una sezione perfettamente semi circolare. Le pareti di ghiaccio riflettono, diffusa, la luce delle lampade creando un’atmosfera tutta particolare. Seguiamo il corso dei torrente camminando su massi viscidi ed instabili. Ogni tanto un fiocco rosso, non certo per abbellirle, avvolge le rocce più in vista: un filo d’Arianna a segnare la strada. Più di quattro chilometri di gallerie, tutte molto simili, sono state rilevate in un complesso intreccio e questa precauzione è necessaria per non perdere troppo tempo quando si vuol tornare. In certi incroci ci sono quattro o cinque gallerie che vanno in ogni direzione. Ambienti grandi si alternano ad altri angusti, ogni tanto un raggio di luce. Ad un certo punto siamo costretti a strisciare, con la pancia nel gelido torrente, per parecchi metri per raggiungere una grande e stupenda sala. E’ valsa la pena di bagnarsi e battere un po’ i denti. Stalattiti, stalagmiti, colonne, colate, drappeggi, eccentriche tutti di ghiaccio trasparente, scintillano alla luce delle nostre lampade immergendoci in un mondo di fiaba che non è mai uguale a se stesso, che continuamente muta nel tempo, da un giorno all’altro, lentamente sciogliendosi fino a sparire del tutto entro la prima metà dell’estate. Bili è visibilmente soddisfatto; siamo rimasti a bocca aperta di fronte a questo mondo che non avremmo mai sospettato esistesse, così complesso ed affascinante, praticamente sotto ogni ghiacciaio. Penso ai ghiacciai di casa nostra. Sono mai stati esplorati da qualcuno? Non credo. Non molti comunque. Forse vale la pena andare a darci un’occhiata.
Toni Klingendrath