APPUNTI DI ESPLORAZIONI IN GROTTE AUSTRIACHE
Pubblicato sul n. 1 di PROGRESSIONE – Anno 1978
Le prime grotte che visitai in Austria furono sul Dachstein in occasione di un convegno speleologico per la protezione delle grotte. Mi piacque molto questa nuova esperienza, sia per le bellissime zone ricche di verde e di scenari magnifici, cosa che caratterizza un po’ tutta l’Austria, e sia per il differente genere di grotte; cavità molto lunghe con saloni enormi, ricche di strettoie e di passaggi bassi, generalmente molto fangose, ma oltretutto per un nuovo elemento che qui in Italia quasi non conosciamo: il ghiaccio. Pozzi e gallerie completamente ricoperte dal ghiaccio, bellissime stalattiti e stalagmiti di colori magnifici. Anche la tecnica per esplorare queste cavità varia moltissimo.
Avrei voluto visitare qualche altra grotta un po’ più impegnativa, ma non sapevo assolutamente dove trovarla.
Conobbi un’estate, qui a Trieste, uno speleologo austriaco di Vienna: Gerald Siebert del «Landesverein fiir Hohlenkunde in Wien und Niederdsterreich», venuto a trascorrere una vacanza con la sua ragazza; lo ospitai a casa mia e così potemmo approfondire la passione comune, parlando di grotte austriache e di quelle della nostra zona e assieme visitammo alcune tra le principali grotte triestine. Se ne tornò a Vienna alla fine delle sue vacanze, piuttosto soddisfatto e continuammo a scriverci del più e del meno.
Un giorno mi arrivò a casa una sua lettera che mi invitava alcuni giorni a Vienna ed oltrettutto a partecipare all’esplorazione di un nuovo abisso nel Nedesteneich, e l’idea mi andava proprio a genio.
Partii da Trieste con il diretto per Vienna il l° novembre e sarei dovuto arrivare verso le 7 del mattino, ma per un tragico ritardo arrivai a Vienna verso l’una del giorno dopo con una fame orribile e alquanto stufo; trovai subito Gerald e partimmo immediatamente per l’altipiano dell’Eche, a circa 80 km a S di St. Pólten, dove si trova la grotta.
Dopo 2 ore di cammino, ovviamente sotto la pioggia, con una nebbia per cui non si vedeva a un palmo dal naso, sistemammo il bivacco in una cavernetta e finalmente potei mangiare e bere qualcosa di caldo, dopo circa 24 ore.
Alla mattina conobbi gli altri componenti della spedizione e, dopo una breve colazione, entrammo in grotta in un fitto nebbione. L’ingresso era una galleria piuttosto inclinata quasi completamente riempita di neve e ghiaccio, e quindi fu indispensabile calzare i ramponi; oltretutto gli speleologi austriaci non usano quasi mai stivali di gomma, ma sempre scarponi. Mi sembrava strano camminare in grotta con ramponi e piccozza, ma il tutto si rivelò particolarmente utile. La grotta era conosciuta soltanto per una piccola parte e nessuno sapeva cosa ci aspettasse.
Un salto di 30 m fa da primo pozzo, con le pareti ricoperte da un bello strato di ghiaccio; uno scenario che non avevo mai visto: tranne il freddo, il tutto sapeva di novità. Una piccola cavernetta di massi instabili precede un altro pozzo da 60 m dove finiva il ghiaccio, e si stava un po’ meglio senza quei benedetti ramponi.
Una breve arrampicata, ancora qualche pozzetto, e si arriva a una vasta caverna ricoperta da enormi massi di frana, ancora un pozzo da 30 m e purtroppo la grotta finiva in una stretta fessura riempita da materiale di frana. Beh, bello lo stesso, anche se si sperava di trovare qualcosa di più. In ogni caso la grotta risultava profonda circa 250 m.
La mattina dopo un sole splendido e un panorama tipico di quelle zone; vastissimi boschi di abeti con i fantastici colori di un autunno avanzato, il tutto circondato dalla immancabile catena di montagne.
Visitammo altre 2 grotte sempre nel Niederbsterreich; cavità ricche di strettoie, di passaggi bassi, di concrezioni bianche: bello, ma talvolta superare strettoie strisciando nell’argilla liquida dà un po’ fastidio.
Ritornai ancora in Austria il settembre dell’anno dopo, questa volta sempre accompagnato da Geri (diminutivo di Gerald). Visitammo una buona parte della Hermanshóhle, un intricato sistema di gallerie per 3,5 km, di cui circa 400 m sono turistiche, ricche anche loro di passaggi bassi e strette gallerie, caverne con bellissime concrezioni dai colori e dalle forme più strane.
Ma forse la parte più interessante di tutta la mia visita fu l’esplorazione di una nuova grotta, presso le famose miniere a cielo aperto di Eisenerzer. La grotta, la Nordostgratbaie, si apre alla base di una grande parete; con un breve meandro si è ad una arrampicata di qualche metro, un pozzo da 15 m armato con sole corde, e uno da 31 m, conducono in una vasta caverna impostata su una grossa frattura, da dove un breve salto porta su un altro pozzo di 111 m, interrotto a —60 da un piccolo terrazzo.
Decisamente la fortuna non ci era propizia e anche qui il pozzo era completamente riempito da massi di frana; risalimmo disillusi, rilevando con la solita puntigliosa precisione austriaca.
Rientrando con Geri, le chiacchiere della esplorazione riempivano la macchina, inzuppandosi poi nell’ottima birra scura locale, per concludersi solo a Vienna.
Il giorno dopo ero già a Trieste, sommerso di cose rimaste in arretrato, ma con il ricordo ancora fresco di quei posti.
Fulvio Forti