PALMANOVA MON AMOUR
Questo articolo poteva e doveva essere scritto da tutti ma non da me, sia per la mia scarsa cognizione storica dei luoghi dove avevamo svolto il compito affidatoci, sia per le mie opinioni, considerazioni e punti di vista a volte dissacranti e fuori tempo. Mi spiego: i “tutti”, ossia gli altri componenti dello “staff” incaricato per i lavori di esplorazione (si fa per dire) e rilevamento topografico delle gallerie artificiali costruite nel XV secolo dai veneziani e completate nel XVIII dai francesi, per rendere la città di Palmanova una roccaforte inespugnabile.
Come spesso accade, tutti quei lavori, veramente faraonici considerando le epoche in cui furono iniziati, non sono serviti a nulla o quasi. I fortilizi1, le gallerie a loro collegate e non, le vie di sortita delle cavallerie, il fossato, i muraglioni ciclopici che circondavano la città e i rivellini posti a loro difesa, sono stati attaccati soltanto dal tempo e in qualche caso da persone poco scrupolose del loro patrimonio storico.
Forse non sarò sottoposto a critiche dai lettori del presente scritto in quanto la Redazione della nostra rivista “Progressione” cestinerà questo articolo che non tratta di grotte ma bensì di un’attività cominciata qualche decennio fa e oggi molto in auge, chiamata “Speleologia Urbana”.
Ovviamente i lavori di rilevamento e similia delle opere belliche sopra esposte non hanno preso l’avvio per nostra iniziativa, ma tramite il Comune di Palmanova che, sentito il parere di Aldo Bobek, cittadino di detta città e socio della Commissione Grotte “E. Boegan” degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso ci ha invitato a svolgere tale lavoro (di volontariato…).
Chi è Aldo Bobek? Come ho già detto prima è stato un socio della CGEB con il quale andavo in grotta qualche milione di anni fa. Tralasciando le altre attività e questioni di questo ineffabile personaggio, a mio parere un tantino misterioso, oltre ad essere ben inserito nell’ambito militare, è un collezionista di prim’ordine: nei suoi magazzini sono conservate ogni tipo di armi risalenti ai vari conflitti, innumerevoli divise appartenenti a diversi eserciti, elmetti, apparecchi radio ricetrasmittenti ancora perfettamente funzionanti, mezzi di trasporto di ogni tipo, cannoni di vario calibro e tanto altro materiale ancora. È un peccato che questa eterogenea e interessante collezione non possa esser esposta al pubblico locale e ai turisti.
Il comune di Palmanova per attrarre maggiormente il flusso turistico, ha approvato un progetto per rendere accessibile al pubblico qualche galleria in comunicazione col proprio fortilizio e il fortilizio stesso. Dal mio punto di vista si tratta di un’opera meritoria però estremamente costosa, viste le condizioni precarie nelle quali versano, se non tanto le gallerie stesse quanto i fortilizi. Un tanto è già stato realizzato dalle forze militari presenti a Palmanova. Loro infatti, per proprio conto, hanno reso percorribile una di quelle gallerie pulendola accuratamente e illuminandola elettricamente con un generatore di corrente a bassa tensione. Il fortilizio che fa capo ad essa è stato pure intelligentemente restaurato, l’installazione poi di varie vetrinette contenenti interessanti documenti e manichini raffiguranti gli armati di quei tempi, danno al sito un tocco molto suggestivo.
Chi erano gli eroi di questa spedizione speleo-urbana? Eccoli: Augusto Diqual e Fabio Feresin nelle vesti di capoccia, il già citato Aldo Bobek e Luciano Filipas, veri cani da tartufo che concitatamente esploravano, ovvero visitavano, prima dei rilevatori, le varie gallerie e cunicoli con la non confessata ma vana speranza di racimolare qualche cimelio abbandonato o perduto dai veneti o dai napoleonici. Poi il sottoscritto, Natale “Bosco” Bone, nelle solite vesti di speleologo a perdere e carne da cannone. Saltuariamente hanno preso pure parte ai nostri lavori Nico Zuffi e Edi Brandi. Ho avuto poi il piacere di conoscere un altro “giovanotto” molto simpatico e alla mano che ha coadiuvato le mie opere di rilevamento epigee e ipogee. Si tratta di Roberto Reja, aggregatosi a noi ma non socio della Commissione Grotte “E. Boegan”, bensì della “concorrenza”. Chiamo così, scherzosamente, gli speleologi di altre confraternite e Roberto, per l’appunto, fa parte di quell’agguerrito gruppo speleologico triestino noto come Gruppo Grotte “Carlo Debeljak”.
Dopo i dovuti convenevoli con le Autorità del Comune e il Sindaco, si sono iniziati i lavori designati che venivano seguiti dagli organi di stampa locali, da vari studiosi di storia patria e da cittadini in genere. Avevamo anche la “licenza di uccidere”, ossia il permesso di spostarci e parcheggiare nei luoghi interdetti al traffico, osservati con stupore dai pedoni che transitavano e che non sapevano ancora cosa stessimo combinando.
Le opere di rilevamento topografico più impegnative venivano eseguite da Feresin e Diqual col suo sofisticatissimo (per me fantascientifico) strumento a raggio laser: senza ombra di ironia, ho sempre considerato l’amico Diqual il Leonardo da Vinci della CGEB. Al sottoscritto, inguaribile sostenitore di bussola e cordella metrica, veniva affidato il compito, assieme a Roberto, di rilevare le gallerie secondarie e misurare le distanze tra loro interposte. In definitiva si è topografato lo sviluppo complessivo di oltre 4000 m tra gallerie, galleriette e cunicoli (anche fognari). Sugli ingressi di questi manufatti è stata applicata una targhetta identificativa.
Le gallerie che portano ai fortilizi sono in linea di massima ben conservate e in certi tratti rappresentano delle vere opere d’arte architettonica. Sul loro fondo, nei punti in cui non è stato invaso da sedimenti alluvionali, è presente ancora il canalino di scolo delle acque meteoriche che, nel tempo, hanno coperto le pareti delle gallerie stesse con abbondanti depositi concrezionali e creato numerose pisoliti, o “perle di grotta”, che hanno vivamente interessato i non addetti ai lavori. Le gallerie in questione, alte in media 1,80 m per 0,80 m di larghezza, erano state rivestite con mattoni e pietra calcarea, con qualche rara intrusione arenacea e presentano aspetti della tecnica costruttiva ancora non chiariti; per avere tali chiarimenti si dovrebbero poter consultare i disegni e i piani di lavoro originali, ma questi non si trovano e forse non esistono più.
Credevo, nella mia ignoranza, che il suolo alluvionale composto da ciottolame di varia grandezza fosse, per così dire, un terreno sgretolabile. Tutt’altro! Le acque di infiltrazione hanno cementato questi ciottoli con intrusioni calcitiche, trasformando il materiale incoerente in un conglomerato durissimo e compatto. A detta degli storici per realizzare le gallerie sono prima intervenuti i minatori che riuscivano a scavare nel conglomerato soltanto un paio di metri al giorno; poi venivano i muratori e infine, a opera compiuta, il tutto veniva coperto con un notevole strato di terra trasportata in loco con migliaia di carri. Come ben si può constatare si è trattato veramente di un lavoro ciclopico.
Per raggiungere gli imbocchi delle gallerie di sortita delle cavallerie, ormai in gran parte murati, ci siamo dovuti inerpicare su terrapieni talmente rimboschiti che faticavamo a rintracciarli, quando li trovavamo. Per tali motivi abbiamo dovuto accedere nei comprensori delle caserme abbandonate dai militari da una ventina d’anni. Come i miei amici ho provato una stretta al cuore nel vedere lo stato di abbandono che regna in quel luogo. Abbandono, sommato a opere di puro vandalismo là perpetrate, hanno creato uno stato di degrado inimmaginabile. È un vero peccato! Tutte quelle costruzioni, quei vani, avrebbero dovuto avere un destino infinitamente migliore. Comunque non spetta a noi criticare cose alle quali sono forse legati problemi che non ci riguardano.
Prima di congedarmi con questo mio scritto, voglio far notare che mi sono avvicinato alla “Speleologia Urbana” con le peculiarità e lo spirito dello speleologo usuale. Questo vuol dire che arrivando alla fine di una galleria o di un cunicolo chiusi da un crollo di volta, sorgeva in me l’innato desiderio di scavare per “andare oltre”, ma subito dissuaso dagli amici presenti.
“Dove speri di andare” mi dicevano “sei su un terrapieno artificiale, le gallerie sono state costruite dall’uomo per una loro funzione logica, senza ghiribizzi di caverne o pozzi.
Cosa credi di essere in grotte naturali?” Già! Ne ho preso atto, per cui mi sono convinto che è più entusiasmante strisciare in esplorazione lungo un cunicolo fangoso in grotta che percorrere comodamente (con o senza rifiuti) le gallerie urbane.
Questo è quanto, amici lettori. Se involontariamente ho omesso qualcosa, ci penseranno gli altri componenti dello “staff” ad aggiungerlo.
Natale “Bosco” Bone
LA GENESI DEL “PROGETTO PALMANOVA”
Il grande lavoro svolto nel 2011 dalla Protezione Civile, che aveva liberato la zona antistante le mura della fortezza da un’enorme quantità di vegetali che la infestavano da tempo, aveva riportato alla luce gli ingressi delle gallerie che, partendo dal fossato, si diramano nel circostante sottosuolo e fatto sorgere negli amministratori comunali il desiderio di averne conoscenza dettagliata e precisa.
La nostra avventura nelle gallerie di Palmanova inizia nel gennaio 2012 per iniziativa di Aldo Bobek, ex socio che risiede nella città da anni, che aveva suggerito all’Amministrazione Comunale di rivolgersi a noi per l’esplorazione delle cavità. Al di là dell’intento di rivedere i vecchi amici, motivazione principale del Bobek era la sua grande passione per le cose militari, di cui è grande esperto e collezionista.
Louis Torelli, contattato per primo come Presidente, ha ritenuto opportuno aderire all’iniziativa, che avrebbe aggiunto la “speleologia urbana” alle nostre attività e mi ha proposto, di essere coordinatore del progetto. Per me Palmanova era stata fino ad allora nodo autostradale, sede di grandi centri commerciali, meta di pochissime, fugaci visite alla sua grande e bella piazza o a qualche pizzeria. Ma evidentemente le sue spettacolari porte, le imponenti mura, i nobili palazzi avevano lasciato una traccia nel mio inconscio; la possibilità di saperne di più, forse anche cose che nessuno sapeva, mi hanno indotto ad accettare l’incarico in un secondo. Fortuna volle che fossero presenti anche gli altri consoci ed amici che avrei voluto associare all’esplorazione, parola magica alla quale persone come Augusto Diqual, “Ciano” Filipas e “Bosco” Natale Bone non sanno dire di no. Seduta stante si è quindi costituito quello che a posteriori si potrebbe definire il “Palmanova Team” al quale hanno saltuariamente dato collaborazione anche Nico Zuffi ed Edi Brandi. Assidua invece la presenza di Roberto Reja, membro di un altro gruppo speleo, amico personale di Filipas, che ha partecipato a titolo personale.
Nel febbraio 2012 è stata sottoscritta una convenzione fra il Comune di Palmanova, nella persona del Sindaco Francesco Martines, e la Commissione Grotte “Eugenio Boegan” rappresentata dal presidente Louis Torelli, per l’esplorazione, il rilievo topografico e la documentazione delle gallerie della città-fortezza.
Con l’assessore Luca Piani, si sono definiti i criteri tecnici per il rilievo topografico, concordando che sarebbe stato eseguito con gli stessi mezzi con cui si esegue nelle cavità naturali, ritenuti sufficienti per gli scopi di documentazione.
I MEZZI TECNICI
Per le cavità meno complesse si sono quindi usati i mezzi tradizionali di rilievo speleo: cordella metrica centimetrata, bussola Suunto e clinometro Suunto; per le cavità più complesse (quasi tutte) si è fatto ricorso al DistoX, che incorpora, come tutti sapete, distanziometro laser con risoluzione di 0,001 m, bussola e clinometro digitali con risoluzione di 0,01°, in grado di colloquiare via Bluetooth con un palmare in cui vengono scaricati i dati, immediatamente elaborati con PocketTopo. La sensibilità ai materiali ferrosi, anche quelli facenti parte dell’abbigliamento e dell’attrezzatura speleo, ci ha dato problemi soprattutto nel rilievo delle gallerie di sortita, in cui sono spesso presenti cancelli, inferriate, attrezzi, ecc. Errori sistematici soprattutto sull’inclinazione sono stati valutati e corretti eseguendo rilevazioni su percorsi chiusi.
IL METODO DI LAVORO
Gli “esploratori” (Filipas, Bone, Reja con la “guida indigena” Bobek accompagnato da una simpatica cagnetta molto curiosa) si sono introdotti nelle varie cavità per riferirne poi caratteristiche ed eventuali problemi di percorrenza alla successiva “ondata” di rilevatori (Diqual e Feresin). È stata anche fatta una documentazione fotografica, sia pur sommaria per motivi di tempo e di attrezzatura non professionale.
Ad ogni ingresso è stata assegnata una sigla sulla base della denominazione delle zone usata dalla Protezione Civile, integrata da numerazione progressiva. Su ogni apertura è stata posta una tabella con la sigla.
LA RESTITUZIONE GRAFICA
I dati del DistoX, esportati in formato DXF, sono stati poi utilizzati per tracciare pianta, poi sovrapposta alla Carta Tecnica Regionale (CTR), e sezione delle cavità con un programma CAD. Per ottenere risultati coerenti, cioè far coincidere ingressi ed uscite delle gallerie non cieche con le posizioni individuabili sulla CTR, bisogna però eseguire due correzioni indispensabili relative alla declinazione magnetica (superiore ai 2°) ed all’angolo di convergenza reticolo (di poco superiore ad 1°) che impongono una rotazione delle piante in senso orario di un angolo compreso fra 3° e 4°.
TIPI DI CAVITÀ ESPLORATE E TOPOGRAFATE A PALMANOVA
Palmanova nacque dal nulla nella piana friulana per volere della Serenissima con l’intento di contrastare gli Arciducali più che i Turchi, la cui minaccia dopo Lepanto sembrava ridimensionata. A partire dal 1593 e fino ai primi anni del ‘600 sorsero i nove baluardi, ciascuno con una galleria di sortita agibile anche dalla cavalleria, uniti da possenti muraglie dette “cortine” e le tre porte monumentali: Porta Marittima (o Aquileia) a sud, Porta Udine a nord-ovest e Porta Cividale a nord-est, il tutto circondato da un ampio fossato.
Nella seconda metà del secolo furono aggiunti i “rivellini”, terrapieni fortificati esterni al fossato a difesa delle porte e delle cortine. Nel sottosuolo di questi furono scavate le “gallerie di contromina”, alcune lunghe quasi 200 m, altre molto più corte, che servivano per minare le postazioni di eventuali assedianti e contrastare simili scavi degli stessi. Sono gallerie cieche, salvo casi eccezionali, predisposte per essere allungate in caso di necessità con pareti in pietra e volte in mattoni o pietra.
All’inizio del XIX secolo Napoleone fece realizzare una terza cerchia difensiva più esterna costituita dalle “lunette”, estesi fortilizi con feritoie per fucili e cannoni, collegate al fossato con gallerie lunghe un centinaio di metri e con un sistema di drenaggio delle acque meteoriche dei terrapieni. Le lunette sono edifici di grande pregio architettonico sia nella parte epigea che ipogea.
Oltre a tutto questo abbiamo visitato e rilevato anche il sistema idrico di Porta Udine, il sistema di scarico delle acque reflue di Porta Aquileia ed alcuni manufatti di tipo particolare. Il totale dei rilievi ammonta ad oltre 4 km di lunghezza.
LO STATO DELLE GALLERIE
Il crollo di alcune strutture sia epigee che ipogee impedisce o rende difficoltoso l’accesso ad alcuni tratti del complesso. Lo stato di conservazione delle gallerie sembra peraltro generalmente buono anche per merito del fenomeno carsico: le acque meteoriche hanno operato la dissoluzione del carbonato di calcio della ghiaia calcarea che, calcificando negli interstizi delle volte, le ha consolidate. Comunque di pietre e mattoni di stabilità dubbia se ne trovano tanti, soprattutto nelle strutture non sotterranee o nelle parti iniziali delle cavità, più esposte al gelo invernale.
In certe gallerie di Palmanova si trova una quantità sorprendente di pisoliti la cui presenza testimonia che esse non sono state invase da acqua corrente, che li avrebbe spazzati via. Al contrario gli imponenti depositi di ghiaia, proveniente da crolli, che invadono altre gallerie per lunghi tratti, assicurano che esse sono state percorse da flussi idrici importanti capaci di spostare tonnellate di detriti.
IL PROGETTO, I MASS MEDIA
Le gallerie che abbiamo rilevato erano quasi tutte già note alla popolazione (giochi di bambini nei ricordi degli abitanti del luogo) e forse per questo fin dall’inizio la loro esplorazione sistematica ha suscitato il cordiale interesse sia dei Palmarini sia dei mass media, che vi hanno dedicato articoli di giornale ed interviste radiofoniche e televisive, anche in vista di una possibile inclusione della Fortezza nel “Patrimonio dell’Umanità” dell’UNESCO.
Anche la CGEB ha prodotto un breve filmato girato con criteri professionali da Antonio Giacomin, che ci ha accompagnato negli ultimi tempi assieme alla moglie Francesca Debelli, presentato a rassegne di film speleologici e diffuso in rete.
LE PROSPETTIVE FUTURE
Questo patrimonio architettonico ed ingegneristico di indiscutibile valore storico rischia di deteriorarsi per le ingiurie del tempo. Speriamo che la sua conoscenza dettagliata sia di stimolo ed aiuto per la sua conservazione ed utilizzo a fini turistici e culturali, sicuramente possibili.
RIFLESSIONI
Il fossato e le gallerie di Palmanova sono un luogo affascinante capace di riportarti indietro nel tempo, ad un’epoca in cui le fortezze erano purtroppo indispensabili e schiere di picchieri ed archibugieri presidiavano le mura, pronti a respingere i Turchi. Tempi superati (ora gli unici Turchi nei dintorni sono i camionisti che guidano i TIR sull’autostrada) ma da ricordare, come giustamente fanno i Palmarini ogni anno durante la Rievocazione Storica del secondo fine settimana di luglio, con i ricchissimi abiti di dame e cavalieri, gli assordanti colpi di cannone, i duelli, incruenti solo per l’abilità degli spadaccini, ed i rulli incessanti dei tamburi. Spettacolo sì, ma quando, sostenuto da una schiera di popolani in costume, l’enorme vessillo di Palma è sollevato per tre volte in alto al grido di “San Marco!… San Marco!… San Marco!” …un brivido di emozione corre lungo la schiena anche di chi Palmarino non è.
Fabio Feresin ed il “Palmanova Team”