1994 – Monte Boschit

 

ALBANIA RESOCONTO DELLA SPEDIZIONE DELLA C.G.E.B. SUL MONTE BOSCHIT

Mappa satellitare tratta da GoogleHeart
Legenda delle grotte: 1 Boschit – 2 Bravnkut – 3 Kakverrit – 4 Lurnit – 5 Dreles – 6 ? – 7 Zeze – 8 Gjate

Pubblicato sul n. 34 di PROGRESSIONE – Anno 1996
 Scrivo con due anni di ritardo sui risultati della nostra spedizione dell’agosto del 1994 a causa di un furto subito sulle rive del lago … di Ocrida? No, cari lettori, il lago in questione è il lago di Garda, furto che ci ha privato in un sol colpo del frutto di un paio di settimane di lavoro nel nord della “Terra delle Aquile”.
Ovviamente parlare di esplorazioni, di sistemi e gallerie di vaste dimensioni senza uno straccio di dato che non sia la sola memoria non è cosa propriamente ortodossa; vogliate perciò perdonare questa grave lacuna e tenere presente che, dopo due settimane passate stando ben attenti a non farsi sottrarre il sottraibile, arrivati nel civilissimo nord Italia, terra di lavoratori indefessi, uno può essere portato ad abbassare la guardia (clamoroso errore!).
Cominciamo col dire che la nostra spedizione è stata figlia di una prospezione condotta da alcuni nostri consoci l’anno precedente e che aveva individuato nel massiccio del Hekurave (2557 m) una zona promettente. L’area da vedere era decisamente enorme (un massiccio del Canin non diviso da confini), con un potenziale teorico di almeno 1700 metri, caratterizzata da una fascia di altipiani compresi tra i 1800 ed i 2100 metri ed una serie di risorgenze sui 7-800 metri nei fondovalle. L’area in questione è delimitata a nord dalla valle del torrente Valbones, ad est dalla località di Bajram Curi, a sud dal bacino del lago Komanit ed ad ovest dalla valle del torrente Thethit.
Presi i contatti con il nostro referente a Tirana, Boris Strati, un ingegnere minerario che essendo stato nostra guida nella prespedizione dell’anno precedente aveva conquistato pienamente la nostra fiducia, riuscimmo ad assicurarci quella che poi sarebbe stata la vera artefice della riuscita della spedizione; tale Violze, studentessa alla facoltà dove insegnava Boris, che essendo originaria delle zone dove noi eravamo diretti ci ha assicurato l’appoggio da parte dei suoi parenti residenti in zona. Pur con delle basi logistiche così valide si è comunque deciso di far partire un giorno prima del gruppo col materiale (6 persone), che si sarebbe imbarcato sul traghetto a Trieste, una persona (Elio Padovan) allo scopo di sbrigare le varie formalità burocratiche e di verificare I’effettiva disponibilità dei mezzi prenotati da casa tramite fax. Questa mossa è stata decisiva per la prosecuzione della spedizione, in quanto il furgone da noi prenotato alla Hertz di Tirana esisteva solo sulla carta e cosi, in un convulso pomeriggio di trattative e ricerche, Elio 6 riuscito a trovare un mezzo alternativo per il periodo a noi necessario.
All’arrivo al porto di Durazzo chi tra noi era ancora convinto di andare a fare una tranquilla passeggiata ha avuto subito un bel risveglio; la rada, più simile a Pearl Harbour dopo il famoso bombardamento che a quella di un porto commerciale, ci accoglieva con macabri relitti di imbarcazioni di ogni stazza, e più in là una marea di persone, assiepata lungo uno sbarramento di massi, bunker in rovina e rottami di ogni tipo che compongono il recinto dell’ambito portuale in attesa di non si sà quale evento.
Brusco risveglio dunque; ben 600 metri ci separavano dal furgone; da Elio e da Boris. 600 metri lungo i quali siamo stati fermati da almeno tre doganieri dalle divise estremamente fantasiose, da portatori volontari e attraverso i quali dovevamo trasportare la valanga di materiale al nostro seguito. Veloce corso di trattativa commerciale locale, aiutati da due personaggi muniti di carretto e ripristinata immediatamente la tecnica della testuggine di romano-storica memoria, riusciamo a raggiungere il nostro amatissimo furgone, solite scene patetiche per stivare materiali e uomini sempre di volume superiore a quello interno disponibile e finalmente siamo partiti verso il nord del paese e le sue grotte.

… ma lo spettacolo davanti ai nostri occhi … (Foto M. Petri)

Prima tappa del nostro viaggio di avvicinamento la mistica località di San Jin, rinomata stazione balneare ove trascorriamo la notte presso una delle ville ex proprietà del fu dittatore Oxa. La villa in perfetto stile titoista anni ’50 è una delle poche con servizi igienici in stile occidentale ed acqua corrente. Toccò a me e Giorgio l’onore di dividere la “Stanza dei meloni”, camera di 2 metri per 3 totalmente priva di ricambio d’aria e per un buon terzo piena di angurie mature.
Dopo una notte estremamente calda ci siamo svegliati di buon’ora per dirigerci all’imbarco dell’unico traghetto che fende le acque del lago di Komanit: traghetto di progetto cinese che parte ed arriva alle ore più gradite al suo comandante. È durante questo trasferimento che abbiamo il primo impatto con quello che la natura di questa terra ci riserverà per i prossimi giorni: innanzitutto la gente, ne trovi dappertutto, in viaggio o intenta a fare qualche cosa, anche nei posti più impensati. Cosa facciano non riesci a capirlo, ma tutti sono in perenne agitazione e tutti sono molto curiosi nei nostri confronti, soprattutto i poliziotti che evidentemente in base alla loro importanza gerarchica indossano occhiali a specchio di dimensioni adeguatamente enormi. Ma poi l’ambiente che ci circonda: le ore di traversata su questo lago incassato ora tra pareti a picco ora tra dolci declivi ci mostrano, ansa dopo ansa, una natura incontaminata, severa ed affascinante. Ad attenderci all’approdo dall’altra parte del lago la solita variopinta ed incredibilmente rumorosa folla; siamo arrivati nella parte più a nord del paese, ad un passo dal Koscovo, nella terra dove anche il regime comunista aveva permesso una sorta di autonomia avallando la pratica secolare della faida come sistema di autoregolamentazione. La città di Bajram Curri ci accoglie ignari passanti e ci ospita per la notte: noi in un appartamento all’interno di un caseggiato sinistramente simile a quelli di immagini televisive di origine libanese ed il nostro furgone in un recinto protetto da guardia armata!

Shpella Zeze: particolare dell’ingresso (Foto M. Petri)

Il giorno seguente dopo aver percorso alcuni chilometri di una polverosa carrareccia, che per un tratto segue un ramo del lago dal quale siamo venuti, ed aver abbandonato il furgone in luogo “sicuro”, alcuni di noi partono con attrezzatura “leggera” alla volta di Curraj j Eperm, villaggio posto nel centro geometrico della zona di nostro interesse. Elio e Boris ci seguiranno il giorno successivo col materiale caricato sui muli radunati all’uopo dai parenti di Violze.
Il trasferimento risulterà essere un vero calvario: la temperatura sui 40″ ed il dislivello, che tra salita e discesa è di circa 1200 metri, hanno messo a dura prova i nostri fisici ma lo spettacolo davanti ai nostri occhi ci ha fatto superare le fatiche: la valle dove si adagia il villaggio nostra meta è verdissima, coltivata in piccoli appezzamenti ordinati e divisi da una rete di luccicanti canali per l’irrigazione, anche gli alberi del bosco che circonda il paese sono curati e credo di poter dire che lo spettacolo è senz’altro simile a quello che si proponeva a Julius Kugy nelle sue Alpi Giulie dell’ altro secolo.
All’arrivo al villaggio (una trentina di case bianche a due piani ) la famiglia dello zio di Violze ci ha accolto smettendo di lavorare ed indossando il vestito della festa. L’ospitalità e la generosità di queste persone resterà senz’altro uno dei ricordi più belli di questa esperienza in terra albanese. Il piano di attacco per il giorno successivo era già pronto: saremmo andati a verificare le cavità già segnalate sulle carte topografiche in nostro possesso. La prima esperienza ipogea in terra albanese è stata l’esplorazione di Shpella Dreles una risorgiva temporanea a 200 metri dal fondo valle dove scorre il torrente Pajes. Questa cavità si è rivelata una bella galleria freatica dello sviluppo di un centinaio di metri che dopo essere scesa di una quarantina di metri finisce su di un bel sifone azzurro del diametro di quattro metri. Ci siamo poi recati alla Shpella Lumit, ampia galleria emittente che si apre sul versante opposto della valle alla quota del torrente (900 metri); la cavità, dal portale imponente, si addentra nella montagna per un centinaio di metri e finisce da un lato contro una colata calcitica ed alla base di questa su di un sifone inclinato in interstrato.  Al ritorno al campo base una volta ricongiunti con gli altri due membri della spedizione, che nel frattempo erano arrivati, abbiamo deciso per il giorno seguente di dividerci in due gruppi: uno diretto ad una grotta sulle pendici del monte Boshit (2414 m) segnalataci dai parenti di Violze ed uno diretto alla Shpella Zeze, nei pressi del borgo di Qereq Mulaj (700 m). A causa della distanza notevole tra Curraj j Eperm e la grotta sul Boshit decidemmo che la squadra lì diretta avrebbe usufruito dell’appoggio di un mulo. Il giorno successivo quello che apparve agli occhi di chi era stato destinato a Shpella Zeze era talmente al di fuori dei nostri metri di valutazione da farci rifiutare l’evidenza: la bocca della galleria che si apriva dal lato opposto della valle, sopra un canale evidentemente segnato dall’acqua uscente dalla cavità nei periodi di piena, era enorme (20 x 30 m), troppo grande per poter continuare! Due punte successive ci hanno permesso di esplorare e (sic!) rilevare circa 600 metri di gallerie di ampie dimensioni interessate da un notevole flusso d’aria e ricche di diramazioni da noi nemmeno guardate. Il limite della nostra esplorazione è stato un lago lungo una ventina di metri oltre al quale la grotta continua. Girellando nei dintorni di Zeze abbiamo rinvenuto altre due cavità una delle quali è probabilmente la sorgente di regime del sistema; esploratala per poche decine di metri mi sono fermato per carenza di luce, in testa ad un meandro profondo qualche decina di metri sul cui fondo scorreva rombando un grosso torrente. Contemporaneamente l’altra squadra esplorava la grotta sul Boshit rilevando 450 metri di cavità e arrestandosi su di un lago dopo aver intercettato un importante collettore. Sin qui i risultati speleologici. La storia del ritorno è in pratica la cronaca di una serie di avvenimenti fantozziani: dal furto della ruota di scorta del furgone (se vi ricordate era in luogo sicuro) all’aggressione della nostra amica Violze (rea di stare assieme a noi secondo alcuni “bullotti” locali) e alla partecipazione di un personaggio armato di Kalashnikov sino ad un’altra notte nella stanza dei meloni non senza aver subito un tentativo di furto di tutto il materiale sventato solo grazie a dieci centimetri di una catenella rumorosa nell’ultima giornata a Bajram Curri.
Tutto sommato è stata un’esperienza valida sia dal punto di vista umano che speleologico e se l’anno scorso la terza spedizione è saltata per problemi logistici cercheremo di farla nel corso di quest’ anno.

Partecipanti alla spedizione:

Elio Padovan, Roberto Ive, Daniela Michelini, Giorgio Stulle, Elisabetta Stenner, Paolo Sussan e
Marco Petri