NO BULLSHIT…
pubblicato su ” PROGRESSIONE N 54 ” anno 2007
Seppur con discontinuo entusiasmo e con forze sempre più esigue, sono ormai almeno sette anni che ci si prova, ma Col Delle Erbe non fa ancora rima con Foran del Muss; restano due mondi separati eppure così beffardamente vicini.
A far da terzo incomodo tra i due, la Conca Dei Camosci, residuo testimone di una tettonica che ha agito quale fattore di disturbo sull’area di potenziale giunzione.
Obbiettivo difficile dunque, ma non da poco: un unico complesso da oltre sessanta chilometri, il coronamento del lavoro di generazioni di speleologi succedutesi in “un’esplorazione” cominciata più di quarant’anni fa.
Ma comunque siam sempre lì a provarci, magari a fasi alterne, magari intervallando a cocenti delusioni un’attività speleologica meno frustrante, ma sempre lì; si potrebbe quasi considerarlo una specie di “dopolavoro” speleo, un’opera di revisione di rilievi incompleti o di cui mancano i dati, a ricercare punti di probabile prosecuzione ove spesso l’informazione latita persa in ricordi confusi o in qualche dimenticato cassetto. Per non parlare delle battute di zona tra la Conca e Casere Goriuda, tra lo Spric ed il Picut a ricercare un nuovo improbabile bypass esterno, sempre fiduciosi, per nulla appagati.
Ma è in particolare di Rotule che devo raccontare e di come, ultimi ma non ultimi, in Rotule ci siamo infilati: era cominciato nel 2003, ad onor del vero, questo revival in zona Casere complice un Cavia a far da guida nel ramo esplorato da Lazzaro nel ’97 ( articolo di Riki su Progressione 49 ).
Ma procediamo con ordine: siamo nel 2005, progressione 52, Giannetti ci narra di una ritirata dal Gortanzo, incluso disarmo, mentre avanziamo penosamente per fetide condotte, inciampando sul nostro morale che per l’occasione s’è trasferito da sotto i proverbiali tacchi a sotto le ginocchia…, unici compagni la gran voglia di bestemmia ed il miraggio di una copiosa quantità di vino sapientemente custodita al DVP.
Accantonata dunque l’idea della direttissima Gortani – Dobra ( scavo in Aragonite incluso ) ci viene naturale considerare Rotule come una probabilità di bypass fra i due sistemi. Per dirla giusta è il buon Gino che, sempre alla ricerca di informazioni utili e forte di ciò che ha visto nel ramo Lazzy 97, coglie l’occasione durante una manovra del CNSAS nel 2006, che mi vede assente perché disperso in qualche parte del globo, e proprio in quel di Rotule ( ah il caso.. ), per farsi indicare da Davide l’arrampicata da lui iniziata anni addietro nella zona a valle del trivio.
Il nostro si convince che ne vale la pena e alla prima occasione si ritrova assieme al sottoscritto alla base della suddetta verticale; ho un vivo ricordo di quell’occasione perché per la prima volta in vita mia penso bene di lasciare a casa l’imbrago che mi tocca sostituire utilizzando un vecchio spezzone di statica trovato in casera, ne deriva un vago fastidio alle carni che contribuisce assieme ad un copioso stillicidio a farci interrompere dopo circa 25m di risalita.
Il tutto si conclude, almeno apparentemente, in una punta successiva che, assieme a Gino, vede protagonista Davide Pizza alle sue prime in Canin; viene raggiunto un arrivo di dimensioni impraticabili da cui esce copiosa un’abbondante quantità d’acqua ( sia benedetto il Ryobi ), ma non viene fatto il rilievo. Mentre lasciamo sedimentare l’idea di continuare sul lato più aereo del pozzo spostandoci verso destra, decidiamo, Gino ed io, di trasferirci in Lazzy ’97, obbiettivo primario il camino soprastante il traverso sotto il quale diparte la via per Zlata. Giunti in loco però, ci viene voglia di curiosare più in là lungo le condotte oltre il traverso ( per effettuarne pure il rilievo ); così ci muoviamo verso SW fino ad incocciare contro una parete un paio di metri di fronte a noi. Si tratta di un piccolo ambiente strutturato da una evidente frattura NS, mentre la naturale continuazione del paleo freatico ce la troviamo dislocata di alcuni metri più in alto e a sinistra. Decisamente interessante, soprattutto alla luce del fatto che proprio da quel lato ( e quindi in direzione S ) ci guarda un camino da cui proviene una discreta corrente d’aria. Ci troviamo d’accordo nel cambiare programma, ma prima di attaccare la verticale ci infiliamo nella continuazione della condotta per completarne il rilievo. Dopo una decina di metri una biforcazione, e da qui, altri trenta metri circa distribuiti sui due rami che terminano occlusi entrambi da sedimento fine.
Si va su quindi : primo salto di 5 metri, poi altri 10, ma più disassati a destra, arrivo in ambiente più grande; qui un imponente camino sopra ed in basso a sinistra un pozzetto stretto, l’aria è lì. Bene. Gino mi raggiunge e si infila giù per la piccola verticale fino a sbucare in una grande condotta sfondata, la “traversa” in alto, seguono un restringimento e ulteriore sfondamento ( con condotta alla base, ma chiude.. ); un definitivo restringimento di un’altra decina di metri sino a che la nostra testolina sbuca nel largo sopra un P20 c.ca con eco. Sud pieno.
Mi calo. Dopo quindici metri il pozzo si sdoppia, non punto intenzionalmente il fondo, ma il ripiano più vicino dove uno “scavernamento” laterale mi fa presagire l’esistenza di una condotta… ancora qualche metro per posare i piedi a terra, e lei è lì. Stavolta è un paleo freatico come si deve sia per forma che per dimensioni; sono lì che fremo ma non mi ci imbuco fino a che Gino non mi raggiunge. Poi, prima vermi poi homo erectus, ci si ritrova a camminare in una galleria fossile con tutti i crismi. Ma la vacca non regala e dopo 50m decide che ci siam divertiti abbastanza sifonando in fanghi neri.
Non ci si dispera più di tanto, e così si prosegue un po’ aerei, sempre alla stessa quota, verso un restringimento delle pareti che però porta alla base di un altro camino. Vabbè, ci resta ancora da ispezionare il fondo 5m più in basso e poi quell’aria..?.
Gino va e, guarda caso, l’aria la trova: proviene da una stretta condotta che in pratica è un allargamento della stessa faglia NS che ci ha permesso d’arrivare fin là; avanziamo per 15m circa fino a giungere alla partenza di un’imponente verticale, ma non abbiamo il materiale per poter proseguire ( mai ci saremmo aspettati tanta grazia ) e perciò siamo costretti alla ritirata.
Comunque c’è tutto quel che serve : aria, ambienti via via più grandi, ma soprattutto quello in cui più speravamo: una struttura che ci portasse verso sud, direzione Dobra / Foran per capirci. Inutile negare perciò, che quei 90 metri di spostamento planimetrico, proprio in quella direzione ci lascia più che soddisfatti.
Ma è un’ euforia decisamente momentanea. Infatti, non avendone eseguito il rilievo, non possiamo accorgerci che siamo esattamente sopra il lato destro delle risalite concluse la volta precedente (“le risalite dimenticate” ).
Lo scoprirà Gino, seguito da Betty, durante la punta successiva, mentre Davide ed io, alle loro spalle, procediamo con il rilievo. Un amara delusione, e come scopriremo in seguito nemmeno l’ultima, ci accompagna verso l’uscita. In realtà, Gino ed io, rimasti più indietro, avremmo voluto ancora provare a risalire il camino tralasciato la volta scorsa, ma parte dell’attrezzatura d’arrampicata è già verso l’uscita e così si rimanda a tempi meno cupi. Passa un po’ di tempo e ci si trova, nuovamente in due, pronti ad iniziare a salire. L’idea è chiara, dobbiamo stare alti e spostarci ulteriormente a sud sfruttando la solita faglia. Dopo una quindicina di metri ci si trova di fronte ad una stretta uscita in meandro, in sottofondo il fragore di un arrivo d’acqua ci accompagna per un po’, fino a che, percorsa ancora una decina di metri , ce lo ritroviamo davanti a sbarrarci la strada. L’acqua sparisce in un ringiovanimento, mentre sopra le nostre teste appare chiara l’unica possibilità di prosecuzione. E’ un altro meandro che incrocia a novanta gradi sulla nostra sinistra, non dobbiamo far altro che arrampicare qualche metro ed infilarci nella sua parte sommitale. Da qui, dopo qualche numero di contorsionismo, riusciamo a sbucare nel largo e la situazione che ci si presenta è decisamente confortante. Siamo alla base di un pozzo veramente imponente da cui precipita una fortissima corrente d’aria che ci spara in faccia una fastidiosa quantità d’acqua non del tutto nebulizzata. Desistiamo dall’indugiare troppo, così ci spostiamo più in basso da dove sembra dipartire una serie di salti particolarmente fradici. Venti metri più in basso Gino trova la strettissima partenza di un pozzo di almeno quaranta metri, ma per raggiungerla non si riesce ad evitare in nessun modo l’acqua. Così, bagnati non poco, decidiamo di aspettare condizioni migliori.
Stavolta pure Gianni si associa alla gita, e dopo aver passato almeno tre ore a disostruire l’ingresso tappato dal ghiaccio per diversi metri, ma con la grotta decisamente più asciutta, cominciamo ad affrontare il pozzo. Gino si toglie i ferri e si imbusta nella stretta fessura orizzontale di partenza, seguo io che mi tolgo tutto e ci passo a filo, poi Gianni a ruota senza problemi. Un primo stretto budello verticale di qualche metro e Gino si trova subito nel largo, poi un piccolo pendolo e giù per quello che sembra via via trasformarsi in una forra. Ci ritroviamo quindi ad avanzare in opposizione attraverso una gran quantità di massi di crollo, fino alla partenza di una splendida condotta circolare. E mentre cominciamo a correre spintonandoci l’un l’altro in preda ad un attacco di demenza infantile, non ci accorgiamo che stiamo puntando sempre più a nord.
Ed è così che, una volta arrivati ad uno sfondamento, calatomi di sotto, scorgo, dopo poco, una Edelrid che sparisce nel buio e sopra di me le solite “risalite dimenticate” che mi pigliano per il culo.
C’è ben poco da dire : rilievo e fuori.
A questo punto Gino ed io siamo un po’ perplessi sul da farsi: ci sono un paio di condotte da controllare ( ma che, ad un primo sguardo, lasciano ben poche speranze ), c’è da traversare in alto il P50 sopra un diaframma, ed infine c’è il pozzacchione , quello della “bora scura” della volta precedente. Va da sé che scegliamo la busta 3, anche perché sembra che dopo una quarantina di metri ci sia qualcosa di interessante sul lato sud, o perlomeno così ci era sembrato a tutti e tre in palese overdose da allucinogeni, una volta “sfanalato” con il faretto di Gianni.
Già, perché, quando la volta successiva io e Gino ci ritroviamo ad oltre 60 metri dal suolo bagnati fradici, aspettandoci da un momento all’altro il miraggio risolutivo, l’unica roba che scorgiamo è la verticale sopra di noi che sparisce nel nero.
Siamo veramente zuppi ed interrompiamo lì.
Altro giro altra corsa: Davide, Riki e Betty ed il solo Gino a far gli onori di casa; io sono all’estero per lavoro. Gino con Betty a chiudere l’anello rilevando giù per le “risalite dimenticate” fino a ricongiungersi al caposaldo in Zecche, Davide e Riki a riprendere l’arrampicata sul pozzone.
I due si alzano di ulteriori 30m fino a traslare sulla destra per infilarsi in un restringimento obliquo, decisamente “marcio,” che li porta alla base di un camino più stretto; si fermano lì e girano i tacchi.
La speleosoap continua.
E’ inverno e dal momento che Gino ha un po’ di ferie arretrate, pensiamo bene di fare un mini campo interno di alcuni giorni. Oltre ai soliti due, Cavia in qualità di special guest.
Le cifre parlano chiaro: nove sacchi di cui sei dedicati all’enogastronomia.
Nonostante le premesse, ad ogni modo, riusciamo a completare le cose ancora in sospeso.
Cominciamo con il concludere la risalita sul pozzo di cui uno stretto arrivo, ostruito da massi di frana, ne decreta la fine a quota +116m. Quindici metri più in basso, da un terrazzo, diparte un promettente meandro, ma dopo 10m diventa impraticabile. Non abbiamo con noi nulla per procedere alla disostruzione, che verrà perciò affrontata prossimamente.
Nello scendere, dopo circa 30m, pendoliamo sulla sinistra infilandoci oltre un diaframma lungo una struttura parallela che, dopo averci illuso per un po’, ci conduce in un vano ( con condotta ostruita )
già esaminato in precedenza; concludiamo quindi traversando nella parte alta del P50 sopra un ponte naturale, ma si arriva ad un nulla di fatto.
Durante un campo successivo, che mi vede assente causa lavoro, vengono eseguiti numerosi scavi in condotta, anche in questo caso con scarsi risultati, ed in più si procede con il rilievo di alcune parti mancanti come il ramo discendente che porta da Lazzy ’97 a Zlata Picka.
Attualmente, lo sviluppo spaziale esplorato nella parte nuova di Rotule è di 660m con un totale di oltre 200m di risalite, mentre le prospettive d’esplorazione, salvo sorprese, restano principalmente ancorate al meandro in cima al P 116 ed, eventualmente, alla risalita sopra il traverso di Lazzy’97.
A breve ed una volta per tutte, infine, dovremo riaffrontare lo scavo del collegamento con Bus d’Ajar che aspetta da troppo tempo una conclusione.
Per ora è tutto, alla prossima.
PAOLO DECURTIS TOTO