VOLUME XXXVII – 1999

VOLUME XXXVII – 1999

Trieste 2000
FRANCO BESENGHI, UMBERTO TOGNOLLI Relazione dell’attività della Com­missione Grotte «Eugenio Boegan» nell’anno 1999 (117°) – pp. 5-14

FULVIO GASPARO, KONRAD THALER I ragni cavernicoli della Venezia Giulia
(Italia nord-orientale) (Arachnida, Araneae) – pp. 17-55
Vengono esposte le attuali conoscenze sull’araneofauna delle grotte della Venezia Giulia, che costituisce l’estrema propaggine nord-occidentale del carso dinarico e presenta una superfcie di 200 km2, in cui si trovano oltre 2800 cavità naturali. La fauna cavernicola della regione è molto ricca e ben nota, in quanto è stata oggetto di studi approfonditi negli ultimi decenni; al contrario, si sa molto poco sul popolamento araneologico degli ambienti di superfcie.
Le ricerche biospeleologiche svolte nel decennio 1979-1988 ed un’analisi critica dei dati della bibliografa consentono di riportare la presenza di 34 specie di ragni raccolte nelle grotte giuliane; per ognuna delle specie rinvenute vengono elencate le località di cattura, le eventuali citazioni della bibliografa ed alcune note ecologiche e corologiche. Fra i taxa di maggiore interesse fgurano Stalita nocturna Roewer e S. taenaria Schiödte (Dysde-ridae), elementi troglobi noti pure della Slovenia sud-occidentale, Meta bourneti Simon (Tetragnathidae), specie troglofla segnalata per la prima volta per l’Italia settentrionale, e Porrhomma microps (Roewer) (Linyphiidae), descritto di una grotta dell’area in esame e non più raccolto, il cui status tassonomico è da defnire; è inoltre riportata la cattura di una femmina di una specie del genere Nesticus apparentemente prossima al N. fagei Kratoch-víl, di cui vengono illustrati gli organi genitali.
Facendo riferimento alla classifcazione ecologica maggiormente impiegata negli studi biospeleologica, delle 34 specie considerate 11 sono ritenute troglossene, 21 troglofle e 2 troglobie; a proposito dei troglofli viene proposta un’ulteriore suddivisione in eutroglofli (7 specie), in grado di colonizzare anche le parti più interne delle grotte, vestibolari (5 spe­cie), facenti parte dell’associazione parietale delle zone liminali, e detriticolo-lapidicoli (9 specie), presenti esclusivamente nel detrito al fondo delle parti iniziali delle cavità sotterranee.
Viene discussa la fenologia di due specie cavernicole. Nel caso di Nesticus eremita Simon (specie eutroglofla) vengono esaminate separatamente le popolazioni viventi presso gli ingressi delle grotte e nelle parti interne, riconoscendo in entrambi i casi l’esistenza di due massimi di frequenza in primavera-inizio estate e nel tardo autunno; in base a questi dati Nesticus eremita viene considerato un riproduttore bimodale primaverile-autunnale. Per Stalita taenaria Schiödte (specie troglobia) è stato invece riconosciuto un massimo di frequenza all’inizio dell’estate, con una progressiva riduzione degli esemplari adulti nei mesi estivi ed autunnali, che prelude ad una loro scomparsa in inverno e primavera; essendo la situazione descritta verosimilmente condizionata da migrazioni stagionali in ambienti sotterranei inaccessibili all’uomo e date le scarse conoscenze sulla biologia della specie, non si ritiene di poter attribuire con certezza il massimo di frequenza riscontrato al momento riproduttivo.
L’araneofauna delle grotte della Venezia Giulia viene quindi confrontata con quella di cin­que regioni carsiche europee che sono state oggetto negli ultimi decenni di studi biospele­ologici approfonditi: Scandinavia, Baviera, regione veronese, Alpi Liguri e Montenegro. Nonostante la diversa estensione delle aree messe a confronto ed il differente numero delle grotte indagate, la quantità delle specie segnalate non varia in maniera signifcativa, fatta eccezione per la Scandinavia, dove il valore particolarmente elevato appare condi­zionato dalle tecniche di campionamento e da penetrazioni stagionali nel sottosuolo di elementi troglosseni. Viene messa in evidenza una progressiva diminuzione dei Linyphii-dae nelle faune cavernicole procedendo da nord a sud, secondo un rapporto che varia tra i due terzi ed un terzo del totale delle specie, rapporto che rispecchia la composizione delle faune di superfcie e appare infuenzato dalla presenza di specie troglobie nelle regioni meridionali. Sempre a proposito dei Linyphiidae, la distribuzione dei rappresentati del genere Troglohyphantes (particolarmente legati agli ambienti ipogei) nelle diverse aree carsiche dell’Europa meridionale permette di riconoscere, in generale, una spiccata ten­denza a colonizzare le grotte delle regioni montuose ed una riduzione del numero delle specie nelle situazioni in cui sono presenti altri ragni troglobi, soprattutto se appartenenti a diverse famiglie. Infne, per quanto riguarda la distribuzione dei ragni troglobi, questi risultano assenti nelle regioni più settentrionali, che presentano un popolamento recente, posteriore al ritiro dei ghiacciai würmiani; elementi specializzati compaiono nelle aree poste al versante meridionale dell’arco alpino (una specie per ogni area) e soprattutto nel carso dinarico, con due specie appartenenti alla stessa famiglia nella Venezia Giulia e ben nove specie, appartenenti a quattro diverse famiglie, nel Montenegro.

MARCO DURIGON A proposito delle grotte carsiche in età romana – pp. 57-75 Pur con tutte le diffcoltà dovute alla mancanza di dati precisi ed esaustivi, l’Autore cerca di individuare le possibili ragioni che hanno spinto l’uomo a frequentare le grotte carsi­che in età romana. Esse dovrebbero probabilmente rispondere a esigenze di tipo pratico, fungendo da rifugio in caso di pericolo, da luoghi di sosta per viandanti e pastori o da riserve d’acqua per gli abitanti della zona. Nello stesso tempo le grotte rappresentarono l’ambiente ideale in cui l’uomo poté entrare in rapporto mistico con gli dei.

MARCO DEL MONTE, PAOLO FORTI, MARCO TOLOMELLI Degradazione meteorica dei gessi: nuovi dati dalle torri medioevali di Bologna (Italia) – pp. 77-91 Uno dei maggiori problemi insiti nello studio sperimentale della degradazione meteorica è la scarsa ampiezza temporale delle misure, che ne limitano l’utilizzazione pratica. La maggiore rapidità del fenomeno di degradazione nei gessi rende in parte meno aleatori i dati disponibili per questo particolare litotipo ma non risolve completamente il problema. Lo studio delle torri medioevali di Bologna ha permesso di studiare l’effetto della degra­dazione meteorica sul gesso su un intervallo di tempo di quasi un millennio. I risultati ottenuti, che sono in buon accordo quelli ottenuti in 4 anni di osservazioni con il sistema del MEM su afforamenti naturali vicini alla città di Bologna, hanno anche permesso di evidenziare per la prima volta come l’inquinamento atmosferico tenda a deprimere la de­gradazione meteorica del gesso per un valore di quasi l’8%.
Tra le varie forme d’erosione dissoluzione osservate, di particolare interesse sono state le misure quantitative effettuate sui karren sviluppatisi quasi esclusivamente sui basamenti di gesso delle torri di Bologna. Queste hanno evidenziato l’esistenza di una relazione lineare tra la larghezza del karren e tempo di esposizione, mentre la profondità del karren risulta sempre essere correlata al tempo di esposizione ma in maniera esponenziale. Il successo avuto nel caso dei gessi bolognesi, dovrebbe portare ad espandere l’idea di utilizzare le superfci di monumenti come laboratori sperimentali per la misura della de­gradazione meteorica anche per litotipi differenti, quali per esempio il calcare, per cui sarebbe particolarmente importante, vista la lentezza del fenomeno su questa roccia, poter disporre di dati relativi a 1000-2000 o anche più anni.

FRANCO CUCCHI, GIACOMO CASAGRANDE, PAOLO MANCA Chimismo e idrodinamica dei sistemi sorgivi del massiccio del Monte Canin (Alpi Giulie Occidentali) – pp. 93-123
Mediante il monitoraggio in continuo di alcuni parametri chimici ed idrodinamici e l’ana­lisi di numerosi campioni prelevati nelle principali sorgenti del M. Canin, si è eseguito uno studio completo delle caratteristiche chimiche, geochimiche ed idrodinamiche del più im­portante massiccio carsico della regione Friuli-Venezia Giulia. Si sono così riconosciute le aree di alimentazione principale delle sorgenti, la presenza o l’assenza di dreni dominanti e interdipendenti, le possibili intercomunicazioni fra i diversi sistemi sorgivi, la presenza di una falda contenuta nelle assise dolomitiche e il contributo di altre aree (quella del M. Montasio, nella fattispecie) al sistema idrodinamico studiato.

FRANCESCO SGUAZZIN, ELIO POLLI Contributo per un approfondimento del­le conoscenze sulla fora briologica e vascolare delle Zelške Jame (576 S) – Grotta del Principe Ugo di Windischgraetz (119 VG), nel Rakov Škocjan (Rio dei Gamberi, Slovenia) – pp. 125-141
Nel presente contributo viene delineato l’attuale quadro vegetazionale, briologico e va­scolare, dello Sfagneto situato all’ingresso della Grotta del Principe Ugo di Windisch-graetz (Zelške Jame) nel Rio dei Gamberi (Rakov Škocjan, Slovenija). Di ciascuna delle 45 briofte prese in considerazione (13 specie di Epatiche e 32 di muschi) vengono pure forniti gli elementi corologici ed applicati comparativamente gli indici sotto il proflo ecologico; e tutto ciò per un migliore inquadramento ftogeografco. Viene pure messa a confronto la situazione attuale dello Sfagneto con quelle precedenti, emerse in seguito ai sopralluoghi effettuati da Iviani (1931) ed ai rilievi e considerazioni ftogeografche di Morton (1937). Nello Sfagneto, oltre alla conferma a distanza di 70 anni della singolare presenza di Sphagnum squarrosum in un ambiente basico, diverso da quello usuale acido di sviluppo, viene sottolineata l’interessante e rara presenza di Hookeria lucens, briofta a distribuzione settentrionale suboceanico-montana. Emerge infne come nell’ambiente stesso prevalgano di gran lunga sia le specie indicatrici di freddo o di termoflia moderata che quelle indicatrici di umidità, mentre le entità di media od elevata acidoflia raggiun­gono quasi il 25% del totale.

FRANCO CUCCHI, STEFANO FURLANI, ENRICO MARINETTI Monitoraggio in continuo del livello del Lago di Doberdò – pp. 143-153
Nel periodo compreso tra giugno 1998 ed ottobre 1999 è stato posizionato nel lago di Doberdò uno strumento contenente due datalogger per la misura in continuo del livello e della temperatura delle sue acque.
Le misure ottenute sono state confrontate con le precipitazioni e le escursioni di marea. I risultati dell’indagine hanno confermato che le caratteristiche e le modalità di riempimen­to e svuotamento del lago sono legate alle precipitazioni e al regime di acque profonde provenienti da gallerie ipogee in pressione alimentate dal vicino sistema idrogeologico del Timavo e, specie in fase di magra, da quello dell’Isonzo-Vipacco. Dai confronti risulta che le oscillazioni di livello del lago, anche in magra, non risultano condizionate dal regime marino.
Una campagna topografca ha portato a defnire con esattezza la quota media assoluta del livello del lago nel periodo considerato che è di 3,6 m s.l.m. Le oscillazioni di livello ri­sultano superiori ai 6 m, la velocità di innalzamento non dipende dal livello poi raggiunto, quella di svuotamento risente del carico idraulico; le temperature del lago sono infuenza-te dalla temperatura esterna soprattutto in fase di magra.

FULVIO BRATINA, GIORGIO DEL BELLO, ROCCO SCEUSA, ELISABETTA STENNER Valutazione funzionale di atlete praticanti la speleologia – pp. 155-166 Nell’ambito delle attività sportive è stata fatta una valutazione funzionale di atlete che praticano la speleologia. Sono state prese in considerazione sei speleologhe del CAI e su queste sono stati fatti degli studi antropometrici, sono stati valutati i volumi polmonari statici e dinamici e sono state fatte delle prove telemetriche. In particolare, durante le sperimentazioni svolte in campo, nella Grotta Gigante, sono state rilevate la frequenza cardiaca, mediante un cardiofrequenziometro telemetrico, il consumo d’ossigeno e quindi il costo energetico, mediante un metabolimetro telemetrico miniaturizzato, il K4. I dati raccolti hanno permesso di defnire il tipo di attività, da un punto di vista scientifco e, almeno in parte, di valutare gli effetti di questa pratica sportiva sulle condizioni fsiche di tali atlete. È evidente che non si vuole dare alcun tipo di conclusioni defnitive, essendo il lavoro appena cominciato.

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