Grotta Martina Cucchi

 

GROTTA MARTINA CUCCHI – (EX CUNICOLO DELL’ARIA – 5640 VG)

(Foto U. Tognolli) Sala del lago – Gruppo d concrezion

CRONACA DI UNO SCAVO

Pubblicato sul n. 44 di Progressione anno 2001
Era il primo settembre del 2000 ed avevo appena salutato i colleghi per, come si suol dire, andare in pensione. Quella sera, in sede, chiesi il programma per il giorno dopo. “Apriamo il cantiere di scavo al Cunicolo dell’Aria in Val Rosandra, mi fu risposto – un buco trovato da Giuliano una decina d’anni fa”.
Quello fu l’inizio. Un’allegra compagnia piuttosto numerosa (anche otto – nove amici tutti avanti con gli anni ed in buona parte reduci dallo scavo alla Lazzaro Jerco), si dà appuntamento due volte la settimana davanti all’ingresso del Cunicolo. Utilizzando teleferiche, secchi, trapani elettrici, ecc., la quantità di materiale scavato è notevole. Il tempo è buono e sulla panca realizzata nei pressi con tavoloni c’è sempre la moka di Franco(1) in funzione. Tra un secchio di pietrame e l’altro, apprendo la storia del Cunicolo. In origine era un pertugio di pochi centimetri sotto una roccia affiorante, trovato da Giuliano nel 1989, e da cui soffiava una discreta corrente d’aria. Giuliano ci si dedica subito ed allargato l’ingresso, comincia a svuotare il cunicolo. Incredibile il lavoro fatto in solitario nei primi tempi. Scavare sul fondo, riempire il secchio, uscire, recuperare il materiale e ricominciare. Anche con diversi bivacchi notturni nella vicina Grotta del Tasso in compagnia della fida Lilly(2) per guadagnare tempo. C’è, però, un limite anche all’entusiasmo ed alla buona volontà. Sospende lo scavo dopo tre metri, ma le ricerche che inizia per trovare l’origine dell’aria, lo porteranno un paio di anni dopo alla scoperta della Grotta Gualtiero.
Nel 1991 entra all’Alpina e riesce a convincere alcuni soci della CGEB a riprendere gli scavi. Con non poche difficoltà il cunicolo è scavato per sette metri ma poi il lavoro è nuovamente sospeso per la scoperta della Gualtiero che focalizza tutte le attenzioni. Nel frattempo è inserito in catasto sotto il No 5640 ed il nome di Cunicolo dell’Aria(3). Lo scavo procede bene. Dopo una decina di metri inclinati, uno slargo dà accesso ad un pozzo ingombro di pietrame. Il materiale è tirato su con i secchi, smistato sulla teleferica e scaricato fuori. Pur essendo complicato e richiedendo la presenza di almeno sette – otto persone si va avanti.  Alla base del pozzo di circa sette metri viene scavato un cunicolo orizzontale di sei alla fine del quale, dopo due mesi esatti dall’inizio, si accede ad una cavernetta nel cui pavimento si aprono alcuni pozzi molto stretti e due cunicoli impraticabili. C’è abbastanza spazio e di una cosa siamo sicuri: non sarà più necessario portare all’aperto il materiale scavato. Le temperature sono piuttosto equilibrate e la corrente d’aria inesistente.
Si esplora accuratamente ogni angolo ed assaggi di scavo vengono effettuati nei due cunicoli. Il fumo della solita sigaretta indica il cunicolo che si addentra nel fianco della Valle. Il materiale scavato viene spinto a mano fino nella cavernetta dove viene stivato. Dopo alcuni metri un vano lenticolare costringe a girare quasi ad angolo retto ma l’assenza del flusso d’aria non aiuta sulla direzione da prendere. Per ovviare alla mancanza di flusso, viene effettuato un primo tentativo di forzarlo con I’ausilio di un ventilatore. Giuliano, che ha realizzato la chiusura della grotta con ventilatore incorporato, provvede al suo azionamento mentre svariate sigarette vengono accese nei punti di possibile flusso. L’aria esce da alcuni fori tra le concrezioni che chiudono il cunicolo e quindi si prosegue con lo scavo in quella direzione. L’accesso ad un piccolo vano permette di guadagnare un paio di metri e raggiungere un fronte di blocchi concrezionati. Si scava seguendo l’aria che passa attraverso pertugi rimasti aperti in un ammasso di blocchi di concrezione, argilla e pietrame. Il tragitto però si è allungato ed è necessario trasportare il materiale lungo un percorso ad “esse” di una ventina di metri mediante un contenitore ricavato da una tanica di plastica e tirato con corde. Sembrano scene dal film “La Grande Fuga”.
Il materiale viene poi scaricato nelle fessure dei pozzetti della cavernetta previa frantumazione altrimenti non passa. Per tutto questo è necessario essere almeno in cinque e non sempre siamo in numero sufficiente. Sono trascorsi ormai quattro mesi, il tempo è quasi sempre piovoso ed il gruppo si è assottigliato; c’è qualche sporadica partecipazione di soci ma, dopo la prima giornata di scavo, spariscono. Il fango, l’acqua che scende da tutte le parti (ormai usiamo tutti le tute impermeabili) e lo spazio ridotto in cui siamo costretti ad operare non sono certo invitanti. Si va avanti lo stesso ed è diventata routine. Parcheggiare le macchine a Draga, percorrere il tracciato della ferrovia sotto l’ombrello, ritrovarsi alla Caverna del Tasso che permette di cambiarsi all’asciutto, scambiare le solite battute ed avanti a trascinare taniche piene di materiale. Sempre gli stessi cinque Giuliano, Luciano, Franco, Gianni ed il sottoscritto(4); Franco Gherbaz pur non partecipando più attivamente allo scavo, continua a darci, quando può, appoggio logistico con il trasporto in auto fin sopra l’ingresso (dispone di un permesso di transito).
Le settimane passano ed il fronte di scavo avanza con una lentezza esasperante metro dopo metro. Nonostante il materiale venga stivato con la massima cura, lo spazio disponibile diventa sempre più esiguo. Stiamo riempiendo I’ultimo pozzetto e poi sarà necessario riempire la cavernetta stessa. Giuliano comincia ad avere degli scrupoli. Teme che l’ammasso di rottami di calcite possa continuare per molti metri e che noi ci stanchiamo prima. Comincia a proporre un limite di metri da scavare ancora prima di abbandonare. Personalmente sono disposto ad andare avanti ad oltranza. Mi brucia ancora la storia della Fessura del Vento, e non voglio che in seguito altri sfondino l’ultimo mezzo metro come già successo5.
Effettuiamo, nel frattempo, un’altra forzatura del flusso con un nuovo ventilatore più potente, allestito sempre da Giuliano. Il rumore generato dall’aria attraverso le fessure è incorag giante ed anche la corrente d’aria naturale, innescata dalla differenza di temperatura.  è notevole. Sembra una delle tante uscite ormai tutte uguali. Tra l’altro, mancando Gianni impegnato altrove, siamo costretti a stivare il materiale lungo il cunicolo. Luciano e Franco a scavare, Giuliano ed io dietro a stivare. All’improvviso assieme a Giuliano abbiamo la netta sensazione che la corrente d’aria sia aumentata. Contemporaneamente davanti ci dicono che stanno per entrare in una cavernetta di un paio di metri di diametro ed il primo pensiero è per il materiale che non sarà più necessario trascinare indietro. Naturalmente ci infiliamo tutti in questo vano alla ricerca dell’aria. Tra alcuni lastroni di calcite incombenti dal soffitto, si intravede il buio. All’eco che rimanda la voce di Luciano, risponde il nostro urlo di soddisfazione.  Fatti crollare in sicurezza i lastroni, entriamo in una caverna alta sei-sette metri larga cinque e lunga una decina.
È il 14 marzo 2001 e sono trascorsi sei mesi e mezzo dall’inizio dello scavo, con la media di due uscite per settimana. Nella parte alta di questa prima caverna si apre un pozzo di una decina di metri il cui pavimento è formato da grandi blocchi di crollo. Una galleria in salita, molto ben concrezionata, termina, dopo una quarantina di metri, con un pozzo di circa dieci che si apre su quella che è la galleria principale della grotta. Questa galleria si presenta come un meandro o forra impostata in direzione NN0 di larghezza variabile da uno a tre metri alta almeno una decina. Lungo il tratto in direzione opposta, una comoda arrampicata permette di ritornare alla base del primo pozzo evitando il secondo. Proseguendo lungo la direttrice principale, scavalcato un altro pozzo di dieci metri che interrompe il pavimento, una frana di grandi blocchi concrezionati chiude la galleria dopo un centinaio di metri.  Spendiamo alcune uscite in arrampicate nella parte finale del meandro alla ricerca di una possibile continuazione ed alla fine Luciano la individua. A circa otto metri d’altezza una specie di botola sbocca alla sommità di una grande caverna ingombra di blocchi di crollo. La sorpresa consiste nel lago piuttosto profondo (risultato poi di oltre 6 metri) situato all’estremità della caverna stessa. Sopra il lago, una grande finestra di non facile accesso. Di fianco, un passaggio basso, una specie di bypass fangoso permette di aggirare la finestra e riprendere la galleria principale.  Una cinquantina di metri più avanti un ampio pozzo di otto metri sprofonda in un secondo lago che ne copre completamente il fondo; oltre si intravede una spiaggia ma senza un canotto non è possibile proseguire.
Dopo un’uscita andata a vuoto (ci siamo dimenticati in macchina i tappi del canotto), il lago, anche questo profondo 6 metri, viene attraversato. Oltre la spiaggia fangosa di approdo, un breve meandro finisce contro quella che risulterà una colata di calcite rivestita di fango, come di fango, per lo spessore di un paio di centimetri, sono rivestite tutte le pareti della galleria.  Alla base della colata due vaschette piene d’acqua ne segnano la fine. Alcune uscite vengono dedicate all’esplorazione della parte alta della galleria sopra il secondo lago alla ricerca di un passaggio alto, ma invano. Viene esplorata anche la galleria in direzione opposta (SSE) individuando alcuni punti interessanti da rivedere. Nel frattempo vengono facilitati dei tratti del percorso montando numerose staffe ed una scala rigida sulla finestra del primo lago.  Il nome della grotta viene cambiato in “Grotta Martina Cucchi”. Con l’avvento della stagione estiva era già stato notato un progressivo abbassamento del livello dell’acqua dei laghi e, dopo un ultimo tentativo di risalita, decidiamo di esplorarne il fondo. L’acqua è scomparsa e risultano vuote anche le due vaschette alla base della colata finale.  Stavolta però attraverso una delle due soffia una discreta corrente d’aria. È sufficiente una uscita per entrare in una specie di corridoio lungo cinque metri il cui soffitto si abbassa bruscamente a filo di una vasca allagata. Svariate giornate sono dedicate al tentativo di svuotare la vasca ed all’allargamento del passaggio; sopra la vasca uno stretto camino richiede un ulteriore lavoro di scavo.
Dall’inizio dello scavo nel settembre del 2000 hanno collaborato, chi con una sola uscita chi senza mancare quasi mai, i soci e simpatizzanti: Roberto Barocchi, Walter Basso, Franco Besenghi, Edi Brandi, Lucio Comello, Augusto Diqual, Luciano Filipas, Franco Florit, Franco Gherbaz, Maurizio Glavina, Pino Guidi, Giorgio Pertoldi, Marco Restaino, Gianni Scrigna, Claudio Sgai, Flavio Vidonis, Giuliano Zanini.
                                                                            Augusto Diqual
NOTE:
1 Franco Gherbaz, come Giuliano. fanatico del caffè.
2 La fida cagnetta Lilly, compagna degli scavi solitari di Giuliano Zanini al Cunicolo dell’Aria.
3 Sono registrate una dozzina di uscite ufficiali con Roberto Barocchi, E di Brandi, Luciano Filipas, Pino Guidi, Lucio Vidmar, Flavio Vidonis, Giuliano Zanini.
4 Giuliano Zanini, Luciano Filipas, Franco Besenghi, Gianni Scrigna, Augusto Diqual. 5 Augusto Diqual scopre la Fessura del Vento nel 1957 e con vari soci ne scava l’ingresso ed i primi metri di cunicolo. Costretto a sospendere lo scavo per motivi di lavoro venne anticipato da altri.
6 La grotta è stata intitolata alla memoria di Martina Cucchi, figlia del consocio Franco Cucchi emerito Geologo e Carsologo.

Il secondo lago (Foto A. Diqual)
Traverso. (Foto U. Tognolli)
Traverso. (Foto U. Tognolli)

GROTTA MARTINA – Seconda puntata

il quarto lago. (Foto U. Tognolli)

Pubblicato sul n. 47 di PROGRESSIONE – anno 2002
C’eravamo lasciati (vedi Progressione 44, pag. 15) alla fine del corridoio dopo il secondo lago. Qui, dopo un lungo perio­do di siccità, l’acqua era scomparsa. Era sparita però anche quella che riempiva i due buchi alla base della colata che chiu­de il corridoio. Al posto dell’acqua una discreta corrente d’aria in aspirazione in­vita allo scavo. In un paio d’ore di lavoro il passaggio è aperto. Oltre, dopo cinque metri di corridoio fangoso in cui si riesce a malapena a stare in piedi, il soffitto si abbassa in una specie di vasca da bagno piena d’acqua. Per proseguire, ma soprat­tutto capire dove scavare ci sono due scelte: il bagno completo o l’eliminazione dell’acqua. Si preferisce la seconda solu­zione e, dopo vari tentativi e l’ausilio di 25 m di tubo da giardino, l’acqua è sca­ricata nel vicino lago. Oltre la vasca, uno stretto camino sembra dare accesso ad un vano piuttosto ampio. Reso agibile senza grandi difficoltà in due uscite, il camino sbocca in quello che in seguito sarà chiamato ramo Christian Tamaro.
Questo ramo si presenta come una bella galleria che, con un susseguirsi di grandi vasche parzialmente allagate, scen­de dolcemente fino ad un salto di 6 metri. Dopo la sottostante vasca larga tre metri e piena d’acqua, inizia un meandro alto una ventina di metri e largo da uno a tre. Una strettoia, tra due colate di calcite, èsuperata con pochi minuti di lavoro ma lo stop avviene dopo un centinaio di metri di percorso davanti all’acqua che invade la galleria. La profondità supera il metro e mezzo e le pareti viscide sconsigliano qual­siasi tentativo in pressione o spaccata.
Prima di attrezzare il passaggio è op­portuno vedere cosa c’è dietro l’angolo e, mentre Luciano e Franco vestono le mute da sub, Giuliano fa un primo tenta­tivo di navigazione con un canottino da spiaggia. Il dislocamento è di 50 litri e dopo un paio di metri imbarca acqua e deve rinunciare. Franco e Luciano nel frat­tempo percorrono nuotando 25 metri di meandro. Più avanti il fondo risale e, dopo una decina di metri all’asciutto, trovano una caverna laterale occupata da un lago e molto ben concrezionata. Costeggiato il lago e dopo un’arrampicata di un paio di metri Luciano ritrova il meandro. Lo percorre per un tratto e si ferma sopra un saltino di un paio di metri. La cronica scarsità di luce non gli permette di valu­tare l’estensione di quello che gli sta davanti, ma l’eco alla voce è molto inco­raggiante. Si decide quindi di attrezzare il tratto allagato con una ferrata.
Un cavo d’acciaio lungo 25 m è steso ed ancorato in numerosi punti lungo la parete. Alcuni puntoni invece facilitano l’appoggio per i piedi dove le pareti sci­volose per il fango non offrono alcun appiglio. Nel frattempo Giuliano fa un al­tro tentativo di navigazione: stavolta usa una piscina gonfiabile per bambini ma con lo stesso risultato.
Con il meandro attrezzato continua l’esplorazione. Nel frattempo anche tutto il percorso fino al ramo Christian è stato facilitato. Alcuni passaggi sono stati allar­gati. La posa di parecchie staffe ed una scaletta rigida rendono molto più agevole e veloce il percorso stesso ed il trasporto dei materiali.
Dopo il terzo lago e la breve risalita, poi attrezzata anche questa con una sca­la rigida, si prosegue attraverso uno dei più bei esempi di meandro visti in Carso. Questo meandro, di cui è difficile valutare l’altezza, alla fine sbocca, con un salto di 6 metri, su una caverna piuttosto ampia (10 x 10). La caverna è per metà occupata da un quarto lago la cui profondità èvalutata in parecchi metri.
La notizia di questo lago piuttosto pro­fondo, incuriosisce Massimo Baxa che esegue un’immersione di prova. Scende fino a –8 percorrendo una ventina di metri e fermandosi davanti a quella che sem­bra una galleria che si perde nel buio. Purtroppo il fango smosso dalle pinne e dalle stesse bolle d’aria dell’erogatore in­torbidisce rapidamente l’acqua e blocca ogni ulteriore esplorazione. In seguito lo stesso Massimo ripeterà l’immersione in condizioni più favorevoli constatando l’as­senza di gallerie sommerse.
Molte uscite sono dedicate ad esplo­rare tutti i pozzetti che si aprono lungo la galleria principale senza però risultati di rilievo. Altre uscite anche per il ramo in direzione Valle dove, sotto il labirinto, sono percorsi alcuni cunicoli situati ad un livello inferiore che ritornano però tutti nel ramo principale.
Approfittando del periodo di siccità è individuato anche il collegamento tra il primo ed il secondo lago che formano quindi un unico bacino.
Esaurite le incognite verso il basso, si cercano passaggi verso l’alto, direzione verso cui dovrebbe dirigersi l’aria circo­lante nella grotta.
Un punto molto promettente è indivi­duato dopo il terzo lago, dove la galleria è intersecata dal meandro che porta al quarto, mentre quello principale sembra ostruito da una colata calcitica la cui som­mità scompare nel buio nonostante l’im­piego di fari piuttosto forti.
Con l’impiego di trapano e fix è rag­giunta, a 15 metri d’altezza, la sommità della colata. Qui un vano di modeste di­mensioni con alcuni passaggi poco age­voli smorza gli entusiasmi, ma una legge­ra corrente d’aria consiglia ulteriori indagini. Le indagini sono però brusca­mente interrotte all’uscita successiva da una spiacevole sorpresa. È bastata la pioggia caduta durante la notte preceden­te per riempire parzialmente i due primi laghi ed allagare completamente il pas­saggio d’accesso al ramo Christian.

Inizio della galleria alta. (Foto U. Tognolli)

È evidente che per continuare qualsi­asi lavoro è necessario aprire un passag­gio alto fuori del livello dell’acqua ed è a questo lavoro che ci si dedica immedia­tamente. Valutata a memoria la configu­razione del passaggio (non esiste ancora il rilievo ed i dati della poligonale non sono ancora disponibili) si scava alla sommità della colata alla cui base si apre il pas­saggio. Il tempo però è molto piovoso e dopo un paio d’uscite troviamo il livello dell’acqua tanto alto che tutto il corridoio che porta all’ingresso del ramo Christian è sotto un metro d’acqua. Giuliano, che ne ha raggiunto l’imbocco con il canotto, segnala anche un discreto flusso d’acqua che entra nel passaggio. Evidentemente i due laghi tracimano nella seconda parte della grotta che si trova ad una decina di metri più in basso. Non ci resta che so­spendere il tutto.
Dopo un mese, dedicato ad esplorare il ramo verso Valle, il livello dei laghi scen­de e si riprende il lavoro di scavo. Questo non è semplice e si preferisce abbando­nare la calcite per aggredire la roccia. Il trapano lavora meglio e le punte non sono bloccate dalla calcite bagnata.
Quando si apre un pertugio da cui soffia aria, diventa indispensabile esegui­re un controllo della direzione dalla parte interna, Il lago ormai è sceso a livelli accettabili e con il solito tubo da giardino si prosciuga il passaggio basso. Dall’al­tro lato s’individua subito il punto di col­legamento e, potendo scavare dai due lati, in breve (in ogni modo dopo due mesi di lavoro in tutto) il passaggio alto è aperto.
Si riprendono quindi le esplorazioni dei camini e delle parti alte del ramo Chri­stian ma senza grandi risultati. In paralle­lo continua la stesura del rilievo. Prose­gue anche la ricerca sistematica del percorso dell’aria forzandola con un ro­busto ventilatore realizzato da Giuliano con il motore di un tagliabordi. Come trac­ciante è utilizzato anche il fumo dei razzi da segnalazione, ma uno di questi ci fa passare un brutto quarto d’ora. Per seguire il flusso naturale dell’aria entrante nel ramo Christian, Giuliano accende il razzo alla base del salto delle “klanfe” dopo di che, andiamo ad aspettarne la traccia nelle parti più interne. Quando un leggero fumo ci raggiunge fino alla ca­verna del quarto lago, ci rendiamo conto che ce lo siamo tirato dietro con la cor­rente ascendente provocata dal nostro calore. Non rimane che tornare indietro. Il problema si presenta nella caverna an­tistante il terzo lago da dove parte la fer­rata sul meandro allagato. Essendo la parte più bassa, tutto il fumo vi si è river­sato ed è talmente denso che non riu­sciamo a trovare la strada. Solo dopo diversi tentativi con cui sbattiamo su tutte le pareti, troviamo il foro di uno dei capi-saldi del rilievo. Da questo, in sostanza tentoni, raggiungiamo il cavo e, sempre tentoni, la sommità del salto dove final­mente riusciamo a respirare liberamente aria pulita.
Il danneggiamento del canotto utiliz­zato per l’attraversamento del secondo lago ci obbliga a trovare una soluzione che sia utilizzabile con qualsiasi livello d’acqua. Anche il corridoio successivo es­sendo interessato dall’acqua richiede una sistemazione. Dopo aver discusso varie soluzioni decidiamo di attrezzare l’attra­versamento del lago con due cavi d’ac­ciaio, uno portante ed uno di guida, lun­ghi dieci metri e posti sopra il massimo livello raggiunto dall’acqua. In sostanza si cammina sul cavo basso agganciati su quello alto. Alcune staffe ed un tratto di scaletta rigida permettono di raggiungere dall’alto il cavo portante. Un secondo trat­to di cavo permette di passare nella gal­leria laterale alta e sboccare di fronte al nuovo ingresso al ramo Christian.
Poco tempo dopo, l’attraversamento aereo del lago è stato sperimentato du­rante un periodo di piena ed il passaggio alto ha permesso di raggiungere il ramo Christian invaso da un torrente d’acqua. Le vasche ed il salto successivo erano trasformate in una serie di cascate scro­scianti piuttosto spettacolari. Anche il li­vello del meandro allagato si era alzato notevolmente e la ferrata era percorribile solo fino alla fine del cavo.
Oltre, il livello dell’acqua non permet­teva di proseguire senza un bagno o sen­za attrezzare ulteriormente il passaggio. Vedremo in seguito.
Come ultimo lavoro, per proseguire le ricerche del flusso d’aria con i ventila­tori, è stata stesa una linea telefonica dall’ingresso fino al secondo lago. Que­ste ricerche però sono state momentane­amente sospese perché alla Grotta delle Gallerie.., ma questa è un’altra storia.
                                                                                          Augusto DiquaI

IL RILIEVO

 

SUB ALLA MARTINA

 

Grotta Martina, il quarto lago. (Foto li Tognollij

L’immersione parte dalla riva melmo­sa della caverna finale, in direzione Nord Nord Ovest. Bisogna tenersi più alto pos­sibile dal tondo, in maniera da evitare t’in­nalzarsi del sedimento fangoso, cosa pra­ticamente impossibile visto che dopo pochi secondi la visibilità si riduce a po­chi centimetri. La valanga di fango ti avvolge come fosse neve. Sulla volta della galleria di­scendente qualche stalattite e basta; arri­vo al fondo dove la roccia si unisce alla melma.
Quella che, un anno fa in occasione della prima ricognizione mi sembrava fos­se una galleria, è solo uno specchio di roccia che, riflettendo il mio cono di luce, preclude ogni possibilità di prosecuzione. Mi siedo sul fondo per un paio di mi­nuti per far penare i compagni che atten­dono in superficie. Poi a tastoni riemergo con l’amarezza di non aver soddìsiatto e aspettative degli amici, che comunque sono felici di rivedermi. In ogni caso l’immersione è stata inte­ressante, visto che nella nostra zona non credo ci siano sifoni che toccano gli otto metri di profondità. Timavo e Bagnoli a parte.

Massima profondità 8 metri, lunghezza 10 metri;
Max time immersione: 5 minuti.
Schiavi: L. Filipas (Cianeto), E. Feresin (Refe), G. Furlan (Giampi), E. Tomasi (el Grezzo), A. Canciani (Volare)
+ el sub anormale M. Baxa (el nano).
Massimo Baxa

IL RILIEVO DEL 4° LAGO